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Finanza globale, stato nazione e dimensione di classe

Esiste un punto di crisi del sistema

“Le sinistre non hanno ancora capito che il capitalismo industriale che permetteva reti sociali, assistenziali e che dava , attraverso il confronto sindacale e politico, delle sicurezze anche alle classi sociali più deboli è finito.

Il capitalismo finanziario globalizzato, che ha inglobato sovrastandolo quello industriale, ha rotto questo equilibrio e la sinistra non ha ancora capito quali strumenti di analisi utilizzare, che dovranno considerare un campo più ampio di quello nazionale, per trovare risposte politiche ispirate ad un riformismo radicale ma praticabile nella continuità del confronto democratico.

Se non si capisce per esempio che migrazione, disoccupazione giovanile e disparità di condizioni di impiego nel mondo produttivo delle donne, sono le due facce della stessa medaglia sarà impossibile dare risposte credibili e tangibili nel tempo breve a tutte quelle fasce di popolazione oggi escluse, espulse o sottoutilizzate.

Anche la sinistra, come la finanza, deve globalizzarsi e ritenere i confini nazionali e le politiche da fare in ciascun paese un tassello di un unico mosaico. Sarà dura ma ce la possiamo fare”

Traggo queste argomentazioni da un post di Paolo De Zen inviato alla mailing list del Circolo Rosselli di Milano.

Un testo che prendo per esempio di sinterizzazione da parte di quanti ritengono la sinistra ormai in ritardo nella “modernità” e propongono un nuovo riformismo “globalizzato”.

Personalmente ritengo analisi di questo tipo assolutamente arretrate rispetto allo stato di cose presenti proprio perché siamo di fronte a fenomeni di arretramento nel processo di globalizzazione (anche dal punto di vista finanziario) che possono sfociare in due diversi modi: quello dell’emergere delle “piccole patrie” o quello del rilancio dello “Stato –Nazione”.

In ogni caso, come dimostrano sia l’evidenziarsi di nuovi equilibri economici e militari tra le grandi Potenze, sia il fallimento di progetti sovranazionali (come l’Unione Europea o i grandi trattati commerciali), è necessario pensare ad una vera e propria riattrezzatura teorica e politica della sinistra in modo da recuperare prima di tutto la dimensione del terreno concreto nel quale svolgere la propria funzione primaria di riferimento politico rivolto alla lotta sociale.

Riprendo il tema partendo dalle valutazioni che, a metà degli anni ’90 , Arjun Appadurai esprimeva nel suo “Modernità e Polvere” predicendo la fine dello Stato Nazionale.

In quel testo era ipotizzato appunto il tramonto dello Stato Nazionale, considerato ormai come un’istituzione al limite repressiva nei riguardi dello sviluppo dei fenomeni d’innovazione nell’utilizzo dei mass media e dei flussi migratori.

Oggi ci troviamo a una revisione radicale di quel concetto, nell’espressione di un convincimento opposto : “Lo stato nazionale rimarrà in piedi, ma sarà circondato da altre forme di sovranità alcune transnazionali altre locali (in questo senso l’autore fa gli esempi dei curdi, palestinesi, Tibet, Kashmir, Catalogna, Hong Kong e di molte zone dell’Africa”.). Dal punto di vista dell’Europa oggi si potrebbe aggiungere il caso della Catalogna.

Il fenomeno della globalizzazione assumerà forme diverse rispetto al passato , anche se non si potrà parlare direttamente di de-globalizzazione (almeno nei termini che il fenomeno ha assunto dal almeno due decenni a questa parte) : “Le forme del fenomeno saranno sempre più locali, peculiari ed eterogenee, perché nessun Paese o gruppi di nazione sarà capace di imporre i suoi valori agli altri”.

Il rapporto che viene analizzato è quello tra lo Stato, sempre più in difficoltà a controllare la propria economia che cerca rilegittimazione attraverso la lingua, l’identità, il dominio della diversità culturale.

Paura, frustrazione, disperazione sono alla base di questa mobilitazione dello Stato, di fronte a quella che ormai si può definire come “banalità del terrore”.

L’Europa impostata su di una logica strettamente monetarista è ancora in una situazione di deficit (che appare a prima vista incolmabile) sui rispettivi piani nazionali e subisce, forse più di altre parti del mondo, l’impatto di questo stato di cose e si trova di fronte alla contesa tra identità e globalismo.

Intanto, mentre si verificano questi imponenti spostamenti di capitale, la condizione materiale dei lavoratori peggiora e la situazione economica complessiva dell’Unione Europea appare in una situazione di arretramento complessivo sicuramente non certificata dalle percentuali di crescita o di decrescita del PIL dei rispettivi Paesi

L’Italia si trova in una situazione d’incapacità di difesa del proprio residuo patrimonio economico soprattutto perché si trova di fronte ad uno specifico intreccio perverso tra politica ed economia che finisce con il paralizzare scelte di fondo che sarebbero necessarie, soprattutto dal punto di vista dell’intervento del pubblico sia sul piano degli investimenti che della gestione in un quadro complessivo d’insufficienza grave anche dal punto di vista della realtà finanziaria(pensiamo alle difficoltà del sistema bancario, stretto anche dalla “questione morale”) e delle infrastrutture.

Un tempo si discuteva sulla natura del capitalismo italiano dividendoci, a sinistra, tra chi lo considerava un “capitalismo straccione” e chi invece lo riteneva capace di una “forte innovazione” al riguardo della quale andava presentato un progetto di alternativa radicale e complessiva.

Erano tempi però nei quali le prospettive di sviluppo erano ben diverse da quelle di adesso e soprattutto era molto diverso il sistema politico.

Lo squassamento del sistema politico che stiamo verificando ai nostri oggi, la sua assoluta subalternità alle istanze più bieche della finanziarizzazione a livello europeo e mondiale, la stessa natura “speculativa” dell’agire politico e dell’autoreferenzialità dei suoi esponenti reclamerebbero un’immediata inversione di tendenza di cui non s’intravvedono le linee di prospettiva e i soggetti portanti.

L’Italia vive un deficit forte di qualità democratica che si riflette pesantemente anche sul piano dei rapporti internazionali a tutti i livelli, tralasciando anche per ragioni di economia del discorso l’analisi sui dati di instabilità del quadro internazionali dovuti al riemergere di tensioni belliche di carattere bipolare e della vera e propria esplosione in corso nell’area che va dall’Afghanistan al Nord Africa e nel cuore dell’Africa stessa: laddove la ripresa della politica coloniale e la lotta per l’egemonia in campo energetico stanno producendo danni gravissimi all’economia mondiale facendo crescere anche mostri nati e alimentati dallo stesso Occidente, in particolare nel periodo in cui gli USA hanno esercitato le funzioni di “potenza globale”.

L’establishment USA pare aver compreso appieno queste importanti novità nelle dinamiche del ciclo e stanno approntando una campagna elettorale comunque ripiegata su logiche nazionali e sub-continentali, mentre crescono ambizioni imperiali da parte della Russia ed emerge una crisi profonda di quelle che erano considerate potenze emergenti oggi ripiegate in una dimensione di tipo meramente economicista.

Svaniscono così le ambizioni globaliste e, di conseguenza, la stessa dimensione d’opposizione al fenomeno che per i primi 10 anni del secolo era apparso inarrestabile: commentatori autorevoli fanno presente che, all’interno dei democratici USA, sarà difficile per Sanders tenere tutto assieme con la “vecchia colla no – global” dopo aver offerto l’illusione di una svolta e aver ripiegato alla fine sul consueto opportunismo governista.

L’Europa appare così abbandonata alla deriva, ed è questo il limite vero dell’operazione UE prima ancora dell’asservimento monetarista.

Un quadro di declino complessivo del pensiero e dell’agire politico al riguardo del quale la sinistra non appare in grado di proporre un’alternativa, neppure nella più debole accezione riformista.

Il messaggio conclusivo è di pessimismo, essendo anche assente la capacità di esprimere una rappresentanza adeguata dei ceti sociali più deboli, dell’impostare una battaglia di fondo contro la crescita delle diseguaglianze, di collegamento a livello internazionale proprio sui temi della politica industriale, del ruolo del movimento dei lavoratori, dell’essenza stessa di ripensare il rapporto tra politica ed economia.

La sinistra è chiamata a ripensare definitivamente se stessa partendo da alcune considerazioni di fondo: esiste un punto di evidente crisi del sistema deve essere rimarcato con forza.

Fin qui il liberismo, accettato da tutti, aveva garantito una capacità unificante attraverso lo sviluppo, comunque, delle forze produttive. Il fenomeno di quella che abbiamo definito, fin dalle soglie del millennio, come “globalizzazione” e la richiesta di cessione di sovranità dello “stato nazionale” con la crescita trasversale del potere delle multinazionali, non realizza più questo elemento, neanche attraverso, come abbiamo potuto osservare nei tempi più recenti, rilanciando pesantemente l’industria bellica.

L’incertezza nel controllo dell’uso delle risorse naturali e la difficoltà nel controllo totale dello sviluppo tecnico – scientifico oltre ad una lunga fase di dominio delle “lobby” tecno-teocratiche al vertice della superpotenza, stanno portando il sistema a un rischio concreto, di implosione.

La sinistra in Italia e altrove può così disporre di nuove ragioni fondative per ricostruire, in questo difficile frangente, una propria capacità prefiguratrice fornendo, attraverso l’identità e l’autonomia della propria struttura politica, forma, coscienza, realtà sociale, analisi delle contraddizioni.

Questo è vero perché il carattere di classe, il meccanismo dello sfruttamento, non solo perdura ma giunge, alfine, nella loro pienezza esprimendosi in forme nuove, come stiamo costatando proprio attraverso l’analisi degli episodi fin qui descritti.

Un insieme di questioni quelle appena elencate che necessitano di un’analisi adeguata perché da essa dipenda il livello di costruzione di quegli assetti politico – istituzionali, soprattutto sul piano della dimensione geo – politica, decisivi al fine di affrontare il quadro complesso di contraddizioni materialiste e post – materialiste in atto a partire dal tema della guerra, dei rapporti interstatali e sovranazionali dai quali discendono problematiche come quelle delle migrazioni e del terrorismo ma anche dell’antropizzazione del territorio, del consumo del suolo, dell’utilizzo delle risorse fondamentali da quelle energetiche all’acqua, al conflitto di genere, ai temi della convivenza civile e della “diversità”.

L’assenza di una di futuro fa scivolare l’essenza del tempo dentro la logica dello “scontro di civiltà” che a parole tutti rifiutano ma che appare la sola salvaguardia per i dominatori di mantenere la loro posizione di predominio sotto qualsiasi latitudine, ponendosi al riparo sotto la protezione di bandiere inventate, fasulle, simboli mistificanti della realtà.

Il recupero di una visione critica dei processi in atto, prima di tutto sul piano culturale, opportunamente spostata nella rielaborazione progettuale in una dimensione seriamente sovranazionale, potrebbe rappresentare un primo passo per una ripresa di funzione e di ruolo per una nuova sinistra posta all’altezza delle contraddizioni dell’oggi comprendendo come risulti decisiva l’elaborazione di un compiuto progetto sub- culturale che fornisce un’identità alla proposta di utilizzo coerente delle novità scientifiche e tecnologiche, in una dimensione d’interscambio egualitario non asservito a un indistinto dominio del globalismo conservatore.

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