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Fondamenta: ecco cosa siamo davvero

Oltre le critiche, il racconto della tre giorni a Milano dagli occhi dei protagonisti.

di: Elena Frigerio,

26 Maggio 2017

Categorie: Articolo 1 - MDP, La Sinistra

È un weekend di Milano dominato ancora da una primavera pazzerella. Il sole e le nuvole si alternano, illuminando e oscurando lo spazio Megawatt.
All’interno le voci rimbombano insieme alla musica. Un palco modesto sta al centro, e attorno a semicerchio sono disposte file di sedie ancora vuote, che poi dovranno essere aggiunte per permettere alle tantissime persone che entreranno di sedersi.
C’è aspettativa, insieme alla voglia di incontrarsi, di confrontarsi. Ci sono ragazzi che percorrono lo spazio avanti e indietro. Sono loro che si assicurano che tutto funzioni, sono loro il vero motore dell’iniziativa. Non sono qua per “fare un centro-sinistra moderato”, non sono alla ricerca di un posto nelle istituzioni, non sono neanche qui ad aspettare le parole di Pisapia né a cercare una rivincita, non sono qui per nostalgia, per allearsi o non allearsi con il PD, per restare nel proprio recinto, non sono qui per parlare di tattica politica. Potrà sembrare strano, innaturale, inspiegabile agli occhi di sinistrologi esperti che sanno meglio di tutti cosa sia la sinistra, cosa non sia, cosa deve e non deve essere, chi ci può stare e chi no, ma tutti quei giovani provenienti da ogni parte d’Italia, che si sono fatti chilometri e chilometri per partecipare non ad una festa, non ad un concerto, ma ad un’iniziativa politica, sono qui perché semplicemente si sentono a casa. La casa è loro perchè loro sono i protagonisti, non gli ospiti, lo sono perché se ne prendono cura per primi, perché sistemano le sedie, montano i banner, accolgono chi entra. Sentirsi finalmente a casa: è questa la frase che per tre giorni si sente ripetere, perchè un partito è come una casa, e come ogni casa ha delle regole, regole funzionali a qualsiasi tipo di convivenza, regole che qualcuno minimizza o dimentica.
Sarebbe bastato che chiunque abbia criticato la nostra iniziativa fosse venuto di persona a vedere, dandosi la possibilità di annullare per un attimo i pregiudizi legati alle parole “partito” e “sinistra”. Avrebbe visto questi giovani, queste donne, questi uomini, vecchi, amministratori, lavoratori, dirigenti, impiegati, del nord, del sud, del centro, che hanno utilizzato un weekend primaverile per decidere di fare politica, rinunciando a giornate di sole e alla Milano degli aperitivi. E fare politica significa ascoltarsi, cioè fare in modo che il punto di vista di ciascuno abbia il suo spazio, anche impiegando fino a sei ore di tempo per ciascun tavolo tematico.
Sei ore per cinque tavoli, trenta ore totali. Trenta ore a parlare di temi, di problemi, di soluzioni, di esperienze. Trenta ore che non hanno trovato spazio nel pregiudizio di chi non c’era e ha pensato di raccontare da fuori ciò che abbiamo costruito.
“Partiamo dai temi, dai problemi della gente comune”, quante volte abbiamo sentito questo mantra? Ecco, noi lo abbiamo fatto. Senza scoppiettii, senza urla, senza inseguire i titoli di giornali, solo con la pazienza e l’umiltà di ascoltarsi a vicenda, perché l’ascolto, prima della libertà di parola, è l’essenza stessa della democrazia.
E alla giornata conclusiva, i giovani riempiono le prime file insieme ai loro rappresentanti e agli ospiti. Sono loro i protagonisti, con gli occhi in attesa delle parole che avrebbero indicato l’orizzonte, la via politica da percorrere.
E le parole sono arrivate: non un passo indietro sui voucher, non un passo indietro sui nominati nelle liste elettorali. Lavoro, scuola, tassazione equa, diritti. Ecologia, pari opportunità, uguaglianza. Uno spazio fatto di valori, di storie, di parti sociali, di vite che si uniscono per fare la buona politica, che alcuni chiameranno moderata, perché aspiriamo a governare e non a fare rappresentanza, e alcuni chiameranno radicale, perché su alcuni punti non siamo disposti a fare un passo indietro. L’ansia di etichettarci, ancora una volta, sembra più forte della volontà di capire, o anche solo di ascoltare.
È a Roberto Speranza che tocca l’ultimo intervento, quello che chiude l’iniziativa. Lo fa a modo suo, senza urlare, senza alzare i toni, ma quando pronuncia la frase “superare il renzismo” la sala viene giù per gli appalusi. È scattata una scintilla, un moto di ribellione, un’improvvisa voglia di lottare e di darsi da fare che si legge negli occhi di tutti e nelle parole di chi, andando via, ammette di essersi emozionato. Si legge nei sorrisi di chi sa di aver fatto, a suo modo, qualcosa di grande. Qualcosa di importante che verrà bollato e sminuito, ma che non impedirà a tutti noi di proseguire la rotta, con il coraggio di chi non ha paura di lottare per le proprie idee perché sa di non essere da solo.
Andiamo avanti. Per la politica, per la sinistra, perché questa è la nostra casa.

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