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La notte buia della Sinistra

La Sinistra saprà azzerare sé stessa attraverso un radicale Big Bang politico?

Tra la profondità della crisi “intellettuale e morale” del Paese e il livello della discussione nelle componenti che dovrebbero rappresentare il riferimento per la ricostruzione di un senso comune democratico-costituzionale e, in prospettiva, di una credibile alternativa di governo, c’è una insopportabile sfasatura.
L’evocazione delle possibili vie di fuga dal culo di sacco in cui la Sinistra è finita spazia spesso tra la generica proposizione della “conclusione di un ciclo storico”, la richiesta di azzerare i gruppi dirigenti a prescindere, l’invocazione di un diverso marketing politico, la richiesta di una maggiore “radicalità”. Tutte cose già sentite, per la verità.  Il denominatore comune di queste sollecitazioni è il divorzio tra il destino politico della “Sinistra” e la condizione del Paese: la scelta di rinchiudersi in una dimensione autoreferenziale, di decidere di consegnarsi all’irrilevanza politica.
E insieme la rinuncia a difendere e a rappresentare le proprie ragioni, alla ricerca di un “altro” – accompagnato da domande senza risposte – la cui assenza non fa che esprimere le ragioni della sconfitta, e spiega l’attuale invisibilità agli occhi della gente.

Per alcuni, temo che questa sia la cifra di storie politiche e di traiettorie che hanno radici antiche, contro cui si è cessato da tempo di esercitare la necessaria critica.
Per altri, di uno smarrimento che richiederebbe, in qualche modo, il ritorno “ai fondamentali”.

Nelle settimane scorse, qualcuno, alla notizia che Potere al Popolo potrebbe avere raggiunto nei sondaggi la percentuale di consensi di Liberi e Uguali, ha reagito dando l’impressione di vedere nel piccolo partito della “sinistra radicale” – l’ennesimo tentativo di far sopravvivere l’esperienza di RC – un diretto concorrente o, persino, un paradigma suggestivo per la “ricostruzione della sinistra”.
C’è chi vi ha visto la conferma della tesi che le sorti della Sinistra siano ormai legate alla possibilità di federare a livello europeo le schegge che si muovono nel segno della contrapposizione aperta alla galassia socialdemocratica e, in Italia, le componenti che si definiscono in negativo rispetto al Partito Democratico, anche a costo di immaginare improbabili alleati costruendo un profilo fittizio del M5S e rimuovendo le inquietanti proposizioni  – e i comportamenti quotidiani –  che mettono in discussione le basi stesse dello Stato di diritto e che contrastano con la convinzione che l’Italia sia alle prese con la necessità di riprendere la strada dello sviluppo.

Proprio il giudizio sul M5S rischia di essere dirimente tra due diversi modi di leggere la prospettiva politica.
Laddove si è interpretato il voto a loro favore come “un voto di sinistra” e si sono sottolineate le intersezioni con la cultura politica della “Sinistra”, si è sposata un’interpretazione lontana – e per molti aspetti antitetica – rispetto al profilo che la sinistra democratica e popolare ha tenuto nel passato.
È certamente vero che il M5S ha ereditato una serie di temi e di sensibilità presenti in una parte dell’opinione pubblica “progressista” (una per tutte, l’ostilità nei confronti delle “Grandi Opere”), ma si tratta di sensibilità che si sarebbero dovute correggere, contrastare, anziché subire, illudendosi spesso di trarne vantaggio, favorendo così la diffusione del rancore scaricato sulla politica, dell’invidia sociale, del giustizialismo, di una lettura astorica e superficiale della vicenda del Dopoguerra, la cui parabola si è sviluppata per tutto il corso della “Seconda Repubblica”, dalle monetine del Raphael ai fischi a Martina, dal cappio agitato in Parlamento dal deputato leghista all’ “Impiccalo più in alto” impostasi dopo il crollo di Genova.

C’era la possibilità di contrastare tutto ciò anziché subirlo.
Anzi, una Sinistra seria avrebbe sentito il dovere di farlo, ma le varie versioni dei partiti della Sinistra non ne hanno avuto né il coraggio politico né la cultura necessaria.

Sospetto che, a condurre a questo che considero uno sbandamento, abbia concorso in modo decisivo un fraintendimento sul quale è necessario fare chiarezza o quanto meno confrontarsi in modo franco. Penso all’esordio di Articolo 1 e alle sue ambizioni.
Mi pare onesto riconoscere che quel progetto sia stato sconfitto politicamente, quantunque presentasse una peculiarità positiva che generalmente è assente nella piattaforma di partiti e movimenti che hanno avuto origine da una scissione.
Da quella piattaforma – che pure muoveva da una critica radicale degli orientamenti del PD –  era infatti assente la pulsione settaria, mossa dal risentimento che in genere ispira le esperienze nate da una rottura.
Allora, anzi, esprimemmo la volontà di essere protagonisti della rifondazione del campo di Centro-Sinistra – forti di una robusta volontà politica, di un consenso iniziale non trascurabile e della prospettiva di un risultato elettorale significativo –, pur accentuando, nel tempo, della dimensione politico-culturale che ci andavamo assegnando, il nostro profilo di una forza autonoma della Sinistra.

La sconfitta di quel progetto non data il 4 Marzo ma è iscritta nelle tappe successive che hanno condotto alla nascita di LEU, a partire dal confuso dibattito dell’autunno di un anno fa – fatto di decisioni assunte in forma verticistica e di confuse ratifiche assembleari, che inaugurarono una prassi mai dismessa – in cui, in realtà, si ebbe l’affermazione di una diversa piattaforma politica: non più l’ambizione di rappresentare il lievito di una possibile ricomposizione di una sinistra democratica, popolare e di governo, ma lo sforzo per garantire una presenza parlamentare alla “Sinistra”.

Dall’ambizione di favorire la rinascita di un campo progressista forte di una realistica visione di governo in cui svolgere un ruolo da protagonisti, si passò di fatto ad una aggregazione a cui veniva assegnata la missione di “salvare la Sinistra”.
Dove per “Sinistra” si è finito per intendere non una forza aperta a nuovi orizzonti culturali e a un concreto ancoraggio alle componenti sociali interessate al cambiamento ma, di fatto, l’elemento residuale di una componente inchiodata ai dogmi del “politicamente corretto”, percorsa da una pulsione minoritaria attestata dai comportamenti politici degli ultimi decenni, incapace di superare il lessico gergale di una minoranza (a suo modo, di una élite) e di uscire alla logica autoreferenziale che la rende, come dimostra la discussione piuttosto lunare sulla collocazione in Europa, sensibile agli impercettibili movimenti sismici che avvengono nell’area della sinistra “radicale” e alla suggestione per cui la creazione di nuove sigle possa rimuovere i limiti – drammatici – del consenso in cui si dibatte.
Come la mosca di Wittgenstein, questa Sinistra – nella quale ha finito per essere inglobata anche una larga parte di Articolo 1 – continua a sbattere nel collo della bottiglia senza trovare una via d’uscita, perché ha deciso da tempo che la bottiglia sia il suo habitat naturale.
A Sinistra c’è l’abitudine ormai cronicizzata di pensarsi come rappresentante delle diverse “minoranze”, rinunciando deliberatamente all’ambizione di rappresentare la maggioranza dei cittadini: quella che un tempo si definiva come “il Popolo”.

È piuttosto singolare – lo si è visto anche nella Conferenza nazionale di qualche settimana fa – che si susseguano richiami e citazioni che sembrano alludere a una costellazione in qualche modo riferita alla cultura politica del PCI, in particolare alla lezione di Gramsci, senza coglierne però il senso più autentico e profondo.
Penso a due definizioni del partito togliattiano, il motore di tutta la successiva elaborazione fino agli anni ’80 del secolo scorso e la ragione di fondo del suo successo.
Nell’elaborazione, nei programmi, nel comportamento politico di LEU e dello stesso Articolo 1 non riesco a vedere alcuna traccia significativa del senso della “missione” che il PCI si attribuiva in modo virtuoso, sintetizzata nelle due formule del “Partito di governo e di lotta” (i termini erano non casualmente in quest’ordine) e del “Partito nazionale e di classe”.

Che senso ha richiamarsi ai “Quaderni del carcere” rimuovendo l’uso politico che ne venne fatto?
In quella riflessione, che giungeva a valle di una sconfitta storica per certi aspetti paragonabile all’attuale, l’istanza ricostruttiva del “moderno Principe” teneva insieme la dimensione nazionale – l’idea di una rifondazione della politica e dello Stato – con l’impronta socialista che questa impresa avrebbe dovuto avere.
Metteva in chiaro che non avrebbero potuto esistere due tempi: quello della rifondazione della Sinistra e quello dei contenuti di una diversa statualità, ma la sua originalità stava nell’idea che i due processi fossero destinati a sovrapporsi.
Se la lezione – come mi ostino a credere -, al di là delle differenze abissali del contesto di allora rispetto ad oggi, continua a fornire qualche spunto anche per noi, allora ne deriverebbero almeno due corollari: l’urgenza di uscire dalla logica difensiva di una sinistra incapace di porsi esplicitamente l’obiettivo del governo e la messa in campo di una strategia delle alleanze.

L’ottica del “governo”, con le sue implicazioni programmatiche, e l’impegno a costruire delle alleanze, non a caso, furono sempre, dal dopoguerra in poi, i temi sui quali il PCI dovette subire le contestazioni più forti dai gruppi che si muovevano alla sua sinistra.
Oggi, accanto alle evocazioni della necessità di costruire un diverso punto di vista su globalizzazione, neo-liberismo e politiche europee – per lo più prive di un contenuto concreto, di riferimenti nei movimenti reali e di basi teoriche convincenti – sono proprio quei temi ad essere agitati nella polemica interna, spesso in modo implicito ma non per questo con toni meno forti.

Se l’obiettivo che intendiamo tenere fermo è quello di costruire un partito, l’obiettivo di delinearne la funzione nazionale – e oggi europea – dovrebbe essere la priorità, prima ancora dell’assillo di misurarne il grado di radicalità, magari sulla base di un’interpretazione tendenziosa del voto di marzo svolta secondo cui la proposta di LEU non sarebbe stata abbastanza radicale e troppo continuista.
Alcuni dei temi che appaiono in secondo piano, se non rimossi, da parte di chi si è assunto l’onere di costituirsi in un gruppo dirigente dovrebbero invece essere portati allo scoperto e posti con franchezza. Intanto occorrerebbe misurarsi con una questione di fondo che riguarda l’attualità o meno dello schema che ha visto il movimento socialista caratterizzarsi per la combinazione di due elementi fondativi della sua identità politica: la difesa della democrazia (e dei suoi principi incarnati dallo Stato di diritto) e il compromesso tra Stato e mercato, tra imprese e lavoro.
La prima chiaramente colpita da una crisi di legittimazione e sempre meno connessa alla “Costituzione materiale” nel senso in cui ne parlava Costantino Mortati; il secondo terremotato dall’offensiva conservatrice che ha indotto anche il campo della sinistra ad abbandonarlo sia sul terreno “teorico” sia su quello della battaglia politica.
Con la conseguenza che entrambi, non più presidiati in modo adeguato dalla Sinistra, sono stati facilmente rimossi dai movimenti populisti e nella stessa coscienza popolare.

Se si rinuncia alla retorica della “fuoriuscita dal capitalismo” (talvolta mascherata dalla declinazione estremista dei “beni comuni” e dalla attuale passione per le “nazionalizzazioni”), è necessario che il tema della democrazia e della rappresentanza politica e quello dell’equilibrio – della “giustizia sociale”, per usare un’espressione assai più pertinente e concreta dell’“uguaglianza” – tornino ad essere centrali e vengano affrontati non più soltanto al livello nazionale ma sulla scala europea e non solo.
Tutti gli accenni a piattaforme diverse e alla ricerca di nuove “centralità” emersi anche negli ultimi mesi non hanno mostrato alcuna concreta capacità di rimpiazzare il “vecchio” paradigma; al contrario, si sono risolti nella genericità e nell’allontanamento dai problemi reali della parte più debole della società.
A una forza che voglia essere autenticamente “socialista” e “di governo” non può sfuggire che il tema delle “compatibilità” debba essere affrontato, con la propria autonomia culturale e dal punto di vista degli interessi che intende rappresentare, ma non è in nessun modo giustificabile che possano essere considerati irrilevanti – o strumentali – temi come la presenza di un debito pubblico insostenibile, l’esigenza di razionalizzare la spesa pubblica, la ripresa degli investimenti pubblici e privati, il ruolo insostituibile delle imprese, l’urgenza di una politica industriale ed altri temi ancora che hanno un’influenza diretta sul tema dello sviluppo.

Il che richiederebbe anche di pensare a uno schema di alleanze sociali e politiche in cui inserire la propria iniziativa, che è cosa diversa dall’attesa di improbabili dissociazioni e rotture negli altri campi, nella fattispecie in quello del M5S, immaginando l’esistenza di una dialettica interna con un esercizio sterile che in realtà finisce per rafforzare chi è abile nel “gioco delle tre tavolette” ma non definisce alcun orizzonte strategico.

Nessuno può disconoscere o sottovalutare le contraddizioni del PD e la scarsa affidabilità di altre forze politiche, ma la grave situazione politica del Paese e l’assenza di una opposizione in grado di incidere nella realtà dovrebbero vederci comunque capaci di una iniziativa politica in grado di promuovere un fronte ampio in grado di porsi credibilmente come alternativo alle attuali forze di governo.
Esattamente l’opposto delle pulsioni isolazioniste e, al fondo, settarie, che vanno invece emergendo.
Se è fondato il giudizio preoccupato per l’orientamento delle forze di governo su temi come la giustizia fiscale, i diritti dei lavoratori, le proposte sulla legittima difesa, la caccia ai migranti e persino i rigurgiti neo-fascisti e il razzismo strisciante, occorrerebbe allora mettere in campo un’iniziativa larga di contrasto, che eviti il rischio incombente di intestare a una parte residuale delle forze politiche e dell’opinione pubblica una battaglia che invece ha la necessità di ispirarsi all’unità più ampia possibile.

Di fronte alla complessità della situazione e alle risposte fornite finora, il processo che dovrebbe condurre alla formazione del nuovo partito sembra carico di contraddizioni irrisolte e tale da metterne in discussione l’esito finale.
Soprattutto, però, non è affatto chiaro come si possa pensare che una simile iniziativa – per il suo orizzonte teorico e per le sue basi reali – possa davvero rappresentare un elemento decisivo per la costruzione di un’alternativa o comunque per contrastare efficacemente la deriva in atto nella società italiana.

In tale contesto, l’iniziativa di Pietro Grasso – la grande assente nella discussione della Conferenza di Articolo 1 – di dare vita a un Comitato promotore avviando una campagna di adesioni individuali on line (di cui si ignora l’andamento) al “Partito di LEU”, mi sembra francamente improvvida e destinata, senza correzioni significative, a collocare la proposta su un binario morto.
Manca una base programmatica, che non può certo essere rappresentata dal programma elettorale; è assente una reale capacità di esercitare una leadership; in chi dovrebbe essere protagonista mi sembra assente un’autentica passione, e nei destinatari della proposta – l’opinione pubblica democratica e progressista, il popolo – qualsiasi interesse.

Per chi ha a cuore lo stato della democrazia italiana e la prospettiva di una “riforma intellettuale e morale” del Paese, la necessità di istituzioni europee determinate a rappresentare gli interessi e le culture del Continente di fronte alle forze potenti della globalizzazione , l’esigenza di ridare piena dignità al lavoro, l’unica via possibile non può essere se non quella di lavorare, senza tatticismi e con il necessario coraggio politico, a un Big Bang dell’area che un tempo si definiva “progressista”, con una radicalità che si spinga a mettere in discussione persino definizioni, sigle, impostazioni culturali e riferimenti sociali.
Qui e ora, senza rinvii ulteriori.

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