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Magri, il rifiuto dell’imperfezione in politica.

Una recensione di Guido Pasi al libro di Oggionni.

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11 Aprile 2021

Categorie: Cultura

Devo premettere che sono grato a Simone Oggionni di avere scritto questa biografia di Lucio Magri.
Trovo che la prima parte sia molto precisa. I miei eventuali dissensi, sul ’56 ungherese per esempio, sono da riferirsi a Magri stesso, non tanto ad Oggionni.
La parte che riguarda il “manifeso-PdUP” invece mi trova bonariamente critico. La storia di quella piccola impresa cominciò per me nel 1969, quando richiamato ad una visita all’Ospedale Militare di Bologna, passai alla Feltrinelli e comprai la rivista. Un anno dopo ero allo Stensen a Firenze dove nacquero le Tesi “Per il Comunismo”. Dal teatro di Borgo Panigale dove si svolse il primo convegno operaio al cinema Aurora di Alfonsine gremito di folla con Luigi Pintor, io e i compagni di Alfonsine fummo tra i primi a costituire un Centro di Iniziativa Comunista “Il Manifesto”. Su tutta questa fase e quella successiva la ricerca di Oggionni mi sembra corretta ma insufficiente, lo dico di nuovo bonariamente e non per polemica. Non è una novità del resto. Quella storia la si racconta quasi sempre come se fosse stata una vicenda di pochi. Si svolge a Roma e ne sono protagonisti oltre a Lucio, Rossana. Luciana, Pintor e qualche altro. Certo nel libro di Oggionni c’è anche Bergamo e c’è Milani. C’è Famiano e il collettivo di Medicina di Roma. Ma non c’è una cosa che io considero essenziale: la divisione con Aldo Natoli e la decisione di andare oltre la rivista, costituire un “gruppo”, perché di questo si trattò. Magri non era certo facilmente convincibile ad affrontare una strada che lui sapeva bene essere difficile e minoritaria. Io credo che se non avesse incontrato diversi collettivi sessantotteschi e in particolare quello di Bologna, con un nucleo operaio straordinariamente consapevole e radicato, non si sarebbe deciso. Noi del resto, anche noi alfonsinesi con qualche aggancio nei delegati della Marini, non avremmo mai scelto il manifesto se non si fosse trattato di tentare un ruolo attivo e autonomo dal PCI. Non diventammo mai un movimento di massa, ma nemmeno fummo un piccolo gruppo predicante e questo Oggionni lo dice. Magri era sensibilissimo al peso reale dell’iniziativa politica, era tutt’altro che un intellettuale narcisista. Ai tempi di Rifondazione una volta mi disse: “Pasò hai visto? Finalmente con una qualche base di massa…”. Pertanto mi tocca ancora una volta rivendicare la mia, la nostra presenza in quella storia. Siamo stati tanti, tanti quadri sparsi in tutta Italia o quasi che diventeranno poi lo scheletro della battaglia contro lo scioglimento del PCI.
Infine: la terza parte, quella che parla del periodo che va dall’ingresso nel PCI e di Rifondazione è sostanzialmente condivisibile. Non che sia importante essere condivisi da me. Mi scuso quindi se mi vedo costretto ad aggiungere un’altra nota individuale. Credo che Magri abbia sbagliato. Forse, come mi suggerisce Massimo Serafini, ad accettare l’unificazione delle mozioni all’ultimo congresso del PCI, vanificando la sua relazione ad Arco di Trento. Io mi espressi contro quell’unità, ma ovviamente i fatti andarono diversamente. Poi alla fine del1992 dopo aver tentato inutilmente di vivere nel “gorgo” ingraiano entrai in Rifondazione. Tornai così a fare parte dello stesso partito di Lucio che poi, secondo me, sbagliò ad uscire da Rifondazione. Il fatto che poi non abbia seguito la strada di chi aveva con lui costituito il gruppo dei Comunisti Unitari rivela, sempre secondo me, la consapevolezza di un passo falso, un’incertezza almeno. Insomma io che a lui devo tanto, che a lui sono ancora legato, credo che si sia rivelata ancora una volta una sua tendenza a rifiutare l’imperfezione in politica. È stata una dote? Forse. Oggionni lo sottolinea. Ma alcuni di noi avrebbero preferito vederlo in campo anche quando non era vincente. Una sera a casa sua mentre in TV si ascoltava Bertinotti pronto a quello che poi sarebbe stato il rifiuto di sostenere Dini, caduto Berlusconi, dissi: “Non capisco dove vada a finire questa cosa”. “Te lo dico io- mi rispose- nel puttanaio”. Qualche mese dopo io decisi che sarei rimasto nel “puttanaio”, ero entrato in Rifondazione alla fine del ‘92 con tutti i dubbi del caso e pensai che fosse meglio giocarsela lì. Lui no. Il resto si sa: dichiarò comunque il suo voto a Rifondazione anche successivamente e poi, come scrive Oggionni, si dedicò solo al Sarto di Ulm, consapevole che l’ardito pioniere non aveva poi dato “un grande contributo alla storia dell’aviazione”.

Guido Pasi

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