Esse - una comunità di Passioni

Oltre il No

contrari alla riforma renziana senza rinunciare al cambiamento

Come risponderemo alla sfida delle riforme istituzionali?

Un recentissimo romanzo a fumetti di Sergio Staino (“Alla ricerca della pecora Fassina”; Giunti, 2016), racconta le travagliata vicenda della sinistra italiana dal punto di vista di un uomo cresciuto nei passaggi storici che ci hanno coinvolto (dai “gruppetti” extraparlamentari, al PCI fino ai giorni nostri).

Con la pungente ironia che contraddistingue l’artista fiorentino, il nostro Bobo non riesce a convincere la “pecorella smarrita”, Stefano Fassina, a rientrare nel “gregge-dem”, finendo per dividersi definitivamente da lui, ormai fra i leader di un nuovo partito, Sinistra Italiana. Ovviamente, secondo l’autore, il partitino non potrà tradire la lunga tradizione di scissioni, quindi finiremmo per trasfigurarci in un piccolo soggetto dal nome “NO”, più consono rispetto al suo inconsistente programma, subordinato alla contrarietà rispetto ad ogni proposta, purché proveniente dall’area di governo.

Perché così siamo visti dal nostro elettorato potenziale, incapaci di passare alla fase propositiva nelle dinamiche di un gioco politico che ci vede bloccati alla casella riservata alle minoranze. Eppure anche il Movimento 5 Stelle dice sempre di “NO”, ma con una differenza fondamentale: noi, sinistra figlia della tradizione socialista e comunista, discendiamo da una storia di governo e non siamo credibili al di fuori di quel solco. Addirittura, nelle “regioni rosse” dell’Italia centro-settentrionale, affondiamo le radici nelle esperienze che hanno plasmato la cultura politica di quei territori, mantenendo rapporti egemonici fin dal primissimo dopoguerra.  In questi casi, gli elettori possono essersi stancati dalla fossilizzazione di quell’apparato amministrativo, dividendosi fra una esigenza di cambiamento impulsivo, tale da non far mai scegliere un lontano parente della sinistra novecentesca (gli elettori grillini), e la rassicurante ricerca della stabilità nella continuità (gli elettori PD). In entrambi i casi, non siamo contemplati: non rimane spazio per una sinistra priva di iniziativa responsabile. Rimane solamente la forza di un retroterra etico nella nostra azione politica, ovvero la difesa dei valori costituenti, ma questo non può farci dimenticare la nostra vocazione al governo, imponendoci quindi, l’esigenza di una proposta politica più consistente.

Forse non siamo credibili nemmeno urlando “NO alla riforma costituzionale”, con la nostra vocina troppo flebile ed inefficace, se confrontata al “vociare” sguaiato delle destre e dei pentastellati. Abbiamo tutte le ragioni per dire di “NO”, forse le abbiamo ancor più forti degli altri partiti, ma siamo chiamati a dire qualcosa di più.

Difatti, il pasticciato pacchetto di riforme istituzionali proposto dai renziani, al netto della cadente popolarità del “Sindaco d’Italia”, gode di un supporto ben più efficace dei gruppi di potere che spingono per modificare la Carta: quello della maggior parte degli amministratori locali di 8.000 comuni italiani. Questa fitta rette ben stabile nei tessuti sociali del paese, per quanto critica (se non ostile) di fronte ai primi prodotti del processo riformatore (vedi DL “Delrio”), non si è sottratta all’idea egemonica nel PD, ovvero la necessità delle “riforme”. È una dinamica sistematicamente presente nel pensiero dei sindaci: “i cittadini esigono risposte e dobbiamo contribuire a dare soluzioni immediate, partendo da ciò che non funziona”. Già, perché l’impantanamento della architettura democratica italiana, è un fatto, almeno quanto la sua distanza dal cittadino comune, che sistematicamente ne lamenta l’insufficienza.

I comuni sono stati svuotati della loro capacità politica, questo i cittadini lo avvertono in maniera ancora più immediata del frettoloso smantellamento delle province; il sistema dei servizi ha subito un forte incrinatura nel sistema delle aziende private a trazione pubblica (leggi sistema dei rifiuti); le Regioni appaiono sottodimensionate rispetto alle funzioni a loro attribuite, gonfie di funzioni ma senza risorse adeguate per garantire ovunque un buon livello di servizi e (soprattutto) di interagire con le piccole e medie imprese; i grandi centri urbani godono di maggiori privilegi, dovuti alla rappresentanza politica più consistente, rispetto a realtà periferiche o montane; le due camere perfettamente uguali, a netto di un bilanciamento di poteri comunque tradito dalle leggi elettorali maggioritarie, rende veramente il nostro parlamento una peculiarità italiana, tutt’altro che positiva.

La sinistra della “seconda repubblica”, ha dato un suo contributo positivo. Ciò nonostante, quella stagione di riforme, che forse ambivano anche a garantire un più ampio potere politico per gli elettori (attraverso l’elezione diretta di sindaci e presidenti di Regione), non hanno sortito i risultati sperati, anzi, talvolta hanno finito per svuotare di competenze le assemblee elette.

Ci siamo mai posti il problema di una riforma complessiva del nostro apparato istituzionale? Probabilmente le nostre campagne storiche (contro la precarietà, per i diritti, per l’eguale dignità sociale) possono essere legate a questo enorme tema. Addirittura Renzi ne sta facendo la “battaglia madre” del suo partito, radicandolo nel terreno dei “moderati” e allo stesso tempo guardando a sinistra su tematiche importanti, come unioni civili ed il nuovo fenomeno delle migrazioni di massa.

Siamo dotati delle energie adeguate per poter affrontare questa sfida, a partire dagli amministratori che faticosamente cercano di aprirsi uno spazio vitale nel pantano. Loro potranno avere un ruolo chiave, perché laddove la sinistra riesce a veder eletto un consigliere comunale, un sindaco o anche un presidente di Pro Loco, i suoi concittadini lo vedono come l’unica testimonianza di una sinistra dotata di capacità di interazione, di rappresentanza e di costruzione di una alternativa reale e tangibile.

Queste donne e questi uomini rischiano di stancarsi di dire sempre “NO”, magari rimanendo affascinanti da un centrosinistra dove, seppur in maniera schizzofrenica (proposte di legge o letteratura in aperto conflitto) e regressiva, questo dibattito è presente e con una vivacità tale da rendere il PD unico vettore per questo processo allo stato attuale. Nostro malgrado, così viene riconosciuto allo stato attuale, a discapito di quei principi che rischieranno di essere scalfiti dal referendum costituzionale.

Se ci poniamo l’obiettivo del governo, specie se indirizzato a cambiare gli equilibri della società in senso egualitario, non potremo sottrarci dall’elaborazione di risposte a questi interrogativi, anche con l’umiltà di coinvolgere mondi a noi non organici, dalla sinistra PD fino a differenti attori sociali di ogni comune italiano, pensando alla Napoli di De Magistris e non solo.

 

 

Troviamo pesante e farraginoso, prima di tutto, il procedimento legislativo. Critichiamo, in secondo luogo, il bicameralismo spurio di questo progetto. In linea di principio, siamo contrari a un sistema bicamerale[…]. Vogliamo guardare non alla forma ma alla sostanza: accettiamo quindi anche un bicameralismo, ma a condizione che, se vi saranno due camere, esse siano emanazione della sovranità popolare e democraticamente elette dal popolo.

P. Togliatti, da un intervento all’assemblea costituente del 11 marzo 1947.

Giulio Baldassarri

Studente, capogruppo di maggioranza per il Comune di Piteglio (PT) dal 2014 al 2017. Membro del consiglio comunale di San Marcello Piteglio (PT).

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