Esse - una comunità di Passioni

I programmi di de-radicalizzazione per potenziali terroristi

Uno dei metodi anti-terrorismo, assente in Italia, a cui le polizie del resto d'Europa non vogliono più rinunciare

Hasib Hussein, 18 anni, era il più giovane dei 4 terroristi che colpirono Londra il 7 luglio 2005. Charles Farr, direttore generale del distretto antiterrorismo della capitale inglese, spiegò che dopo gli attacchi, la polizia, raccolse tutto ciò che fosse noto circa il ragazzo, acclarando che mai nella sua vita il giovane fosse balzato all’attenzione delle forze dell’ordine.

Non c’era modo di prevenire l’attentato dunque. “Tuttavia”, aggiunse il direttore, “scoprimmo che mentre era uno studente modello alla Matthew Murray School, i suoi quaderni erano pieni di scritte su Al Qaeda”. L’agente concluse allora che scrivere sul proprio quaderno non è un atto criminale, e non avrebbe mai potuto catalizzare l’attenzione degli agenti, eppure l’attenzione di una qualche figura all’interno della società avrebbe dovuto attirarla.

Il direttore Farr presentò questo caso una volta chiamato a relazionare sul programma “Channel”, un progetto di de-radicalizzazione per potenziali terroristi sperimentato nel Regno Unito. A quanto pare un progetto fruttuoso, considerato che oggi iniziative simili sono volute e difese dalle stesse forze dell’ordine.

Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Belgio sono stati i paesi pionieri nel testare programmi di questo tipo, almeno in Europa. Mentre i primi in assoluto a pensarci sono stati paesi musulmani come l’Arabia Saudita, l’Indonesia, lo Yemen, il Pakistan: la pista da loro tracciata è sembrata percorribile. Negli ultimi 15 anni, grazie all’incentivo dell’Ue, molte altre nazioni da noi li hanno adottati. Altre ancora non li prevedono, eppure iniziano a discuterne, tipo l’Italia. Ma cosa sono i programmi di de-radicalizzazione? Come funzionano?

Ne parla diffusamente Lorenzo Vidino in una recente pubblicazione uscita per l’Ispi dal titolo “L’Italia e il terrorismo in casa: che fare?”. In queste pagine si legge che tali programmi sono un insieme elaborato di pratiche di dissuasione, rivolte per lo più, in Europa, ad immigrati di seconda generazione, cioè soggetti figli di migranti ma nati e cresciuti in Occidente, spesso in situazioni di disagio economico, sociale ed emotivo.

Sono sostanzialmente due i casi in cui ha senso intervenire con pratiche di de-radicalizzazione: quando un soggetto non ha ancora compiuto reati eppure denota tendenze integraliste esponendosi a scuola, a lavoro, nel luogo di culto che frequenta, sui social network; su soggetti appena tornati da esperienze di combattimento o che scontano una pena per reati di terrorismo.

Le pratiche di cui parliamo sono allora una via di mezzo fra i programmi d’integrazione, che però agiscono su larga scala e non sui singoli individui, e le azioni antiterroristiche, che però prevedono l’uso della forza e si muovono in ambito penale. Questi tre modi d’agire non possono sostituirsi a vicenda, possono però lavorare a stretto contatto, passandosi il numero più alto d’informazioni possibili.

La de-radicalizzzione allora funziona così. Per prima cosa si forma un’unità specializzata a livello locale composta da psicologi, assistenti sociali, auspicabilmente ex-militanti e, sullo sfondo, agenti con un background nell’antiterrorismo. Questi tentano di creare una rete di contatti con qualsiasi figura che possa entrare in relazione con soggetti a rischio: presidi, insegnanti, vigili di quartiere, imam, allenatori sportivi. Loro dovrebbero fungere da “occhi e orecchie” e, in presenza di casi preoccupanti, segnalare il fatto all’unità. Raccolte informazioni più approfondite, sarà l’unità stessa poi a decidere se lasciar perdere, se ritenere il soggetto pericoloso e segnalarlo all’antiterrorismo, o se sottoporre la persona ad un programma.

A questo punto inizia l’intervento vero e proprio. Di solito si procede con un aiuto materiale che può essere cercare un alloggio, un lavoro, o infittire i legami con la società di appartenenza. Le casistiche tuttavia dicono che un sostegno solo di questo tipo non basta. Alla persona si affianca dunque un “mentore”, una figura dalle ottime doti relazionali, carisma e una certa conoscenza religiosa. Sarà lui a seguire il potenziale terrorista e con un lungo e articolato lavoro ne guadagnerà la fiducia, facendone lentamente vacillare le certezze.

Se da un lato l’adozione di tali pratiche, soprattutto all’inizio, ha incontrato la resistenza del personale a contatto con i ragazzi sentitosi trasformato in spia della polizia, dall’altro si è continuato a spiegare come così non fosse. Un sistema simile porta infatti a vantaggi non trascurabili: il suo costo è molto più basso rispetto a quello sopportato per investigazioni e atti processuali; le forze di polizia e di intelligence finiscono per essere meno oberate; consente di recuperare soggetti che potrebbero rovinarsi la vita a causa di semplici errori di gioventù.

Per queste ragioni, anche in Italia, gli operatori dell’antiterrorismo, hanno segnalato l’utilità di introdurre pratiche del genere. Lo stesso Alfano, Ministro dell’Interno, ha commentato circa l’opportunità di adottare “strategie di de-radicalizzazione del jihadismo, avvalendosi del supporto e dell’esperienza d’insegnanti, assistenti sociali e imam moderati”. Gli onorevoli Manciulli e Dambruoso stanno lavorando a progetti di legge sull’argomento. Il fenomeno migratorio ha raggiunto anche nel nostro paese una fase adulta, e pratiche di prevenzione, oltre che di repressione, del terrorismo, potrebbero avere un senso e anche una certa utilità. Il dibattito è aperto.

Odysseo

andrea colasuonno

Andrea Colasuonno nasce ad Andria il 17/06/1984. Nel 2010 si laurea in filosofia all'Università Statale di Milano con una tesi su Albert Camus e il pensiero meridiano. Negli ultimi anni ha vissuto in Palestina per un progetto di servizio civile all'estero, e in Belgio dove ha insegnato grazie a un progetto dell'Unione Europea. Suoi articoli sono apparsi su Nena News, Lo Straniero, Politica & Società, Esseblog, Rivista di politica, Bocche Scucite, Ragion Pratica, Nuovo Meridionalismo.

Politica Estera, Società,

Basta! Occupiamo il Mediterraneo

Restiamo umani

Basta. Se siamo ancora degli esseri umani dobbiamo dire: "Basta!", non c'è altra soluzione. Dire basta al genocidio del mare o non saremo... [...]

di: Carlo Marzo,

Politica Estera, Società,

Bjorn Ihler, la carcerazione disumana e la cultura del limite

La nostra migliore arma contro il terrorismo è l'umanità.

Quando si affronta il tema dell’umanità della pena in relazione a delitti immensi, per eccellenza disumani, perché contro la vita di... [...]

di: Severo Laleo,

Politica Estera, Società,

Non è l’Islam che spinge i giovani europei verso il terrorismo

Gli esperti francesi spiegano come si passa da giovane europeo a terrorista

Pubblichiamo la traduzione dell'ottima intervista a Olivier Roy pubblicata sul quotidiano israeliano Haaretz.     Olivier Roy,... [...]

di: Giada Pistilli,

Ritorna all'home page