Oggi, 3 luglio 2017, l’Italia si è svegliata e ha appreso, chi dal TG, chi dai social, chi tramite un messaggio, della morte di Paolo Villaggio, lo straordinario attore genovese che ha ideato e portato sugli schermi delle case italiane il rag. Ugo Fantozzi. Il personaggio cinematografico, senza dubbio, tra i più famosi del cinema italiano. Che lo si sia amato, odiato, studiato stufato, ognuno di noi si è almeno una volta nella vita, incontrato con il rag. Fantozzi.
Forse è tardi, forse un mea culpa corpore presenti è solo fastidiosa retorica, ma la sensazione è che noi dobbiamo delle scuse. A Paolo Villaggio, ma soprattutto al Rag. Fantozzi. Non siamo stati capaci, o forse non ne abbiamo avuto il coraggio, di prenderlo sul serio. La nostra colpa maggiore è stata quella di relegarlo a personaggio comico di avanspettacolo, macchiettistico e volgarmente banale. Abbiamo preferito rifugiarci dietro le risate, quando è andata bene, o le critiche, negli altri casi, e abbiamo fatto finta di non sentire il messaggio che il rag. Fantozzi ci stava mandando.
Non siamo stati in grado di cogliere il messaggio sociologico celato appena dietro quelle risate. Un messaggio di disagio e malessere, di solitudine e resa. Nei film di Fantozzi c’è infatti tutta l’alienazione del ceto impiegatizio, dei colletti bianchi, un tempo dipinti come privilegiati nell’immaginario collettivo, soprattutto in contrapposizione anche cromatica con le tute blu dei working class heroes. C’è la routine quotidiana, sveglia, caffè, barba, bidet, c’è la moglie sciatta e la figlia brutta. C’è il lei ai colleghi di studio, la collega inarrivabile, il direttore stronzo, la tribuna politica distante e incomprensibile. E in mezzo a questo concentrato di rassegnazione c’è quell’urlo catartico, che forse avremo dovuto ascoltare: “Per me… La Corazzata Potëmkin… è una cagata pazzesca!”. Sì perché noi, e con noi intendo tutta la Sinistra Italiana, eravamo troppo impegnati a guardare Ėjzenštejn e Truffaut, per accorgerci del grido di aiuto che arrivava dagli uffici delle aziende.
Eravamo troppo chini sui nostri dogmi infallibili per percepire il malessere di una categoria che piano piano perdeva la sua identità e si sentiva abbandonata da tutto l’arco costituzionale. Erano gli anni 70 ed era in corso un processo di arretramento economico e sociale degli impiegati, o come si direbbe, una proletarizzazione del ceto medio impiegatizio La Marcia dei Quarantamila fu l’esplosione di quella frustrazione, e noi la subimmo tragicamente, certificando uno scollamento che ancora oggi non può dirsi del tutto rimarginato.
Il lavoro parasubordinato, i contratti a progetto, il part time, le odierne storture sono una conseguenza diretta di quell’abbandono, dello smembramento di una classe di lavoratori che spesso classe non era considerata.
Ecco perché, rag. Ugo Fantozzi, matricola 1001/bis dell’ufficio sinistri, siamo qua, col cappello in mano, a porgerle le nostre scuse. Della sua condizione di miserabile felice, abbiamo ignorato la miseria facendo volare via la felicità.
Ma dall’alto della sua umanità, confidiamo che saprà non essere duro con noi come noi lo siamo stati con lei!
di: Guido Rovi,