1. Va bene. Accettiamo pure il garantismo come prospettiva da cui osservare la violenza subita dalle due ragazze a Firenze; garantismo dovuto in ogni evento presunto criminoso in uno stato di diritto. Non slanciamoci perciò in giudizi, e, per questo evento, non facciamoci sfiduciare rispetto all’integrità delle forze dell’ordine. Se vogliamo farci sfiduciare rispetto alle forze dell’ordine bastano già il G8 del 2001, gli omicidi di Aldrovandi, Uva, Cucchi, e mille altri casi più o meno straordinari sui quali il garantismo ha già esaurito la propria funzione di prudenza.
2. Proprio in relazione a questo, pare molto meno accettabile il discorso che, in modo anche subdolo o sibillino, tende a mettere in questione l’atteggiamento della persona violata come concausa della violenza. Era un occupante, andava menato; era un drogato, andava ammazzato; era svestita, voleva provocare quindi andava toccata.
3. Osserviamo le donne di certe culture, biasimiamo le limitazioni – anche, ma non solo, in materia di abbigliamento – che queste donne devono rispettare. Osserviamo, poi, le donne che, libere da tali limitazioni, si comportano e vestono come pare loro di essere più a proprio agio, giudichiamo subito la loro libertà come una concessione o, peggio, come un invito ad approfittare e a liberare le peggiori pulsioni bestiali. Qual è il giusto modo di vivere per la donna? Ne esiste uno? Cosa legittima il paternalismo con cui l’autonomia della donna viene sempre degradata a oggetto di giudizio?
4. La cultura dell’“Escile per soddisfarmi” e del “Copriti o sei ‘cagna’” ha radici molto profonde e, nonostante le sue sembianze talvolta goliardiche, ha conseguenze inaspettate. O forse prevedibilissime, ma troppo spesso trascurate.
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Dottorando di ricerca in Filosofia politica. Collaboratore di Micromega: Il Rasoio Di Occam. Autore di: L'uguale dignità degli uomini (2013); e allora? (2014); Dialogare con il Solipsista (2015); Dal laicismo alla laicità (2016); Il non detto (2017).
di: Nicolò Tammuzza,
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