L’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre ha segnato uno spartiacque irreversibile nella vicenda del renzismo.
La campagna elettorale del premier, imperniata sull’enfatizzazione delle (presunte) riforme del suo governo, ha impattato con la condizione reale del Paese, con un esito perfino imprevedibile per la portata sia del risultato sia dell’affluenza.
Lo avevamo detto e così è stato: insieme alla riforma costituzionale, a uscire sconfitto è stato un intero impianto politico, che puntava sul definitivo compimento della transizione al centro del Partito Democratico, sull’assorbimento di forze centriste e di centrodestra nel partito di Renzi, sulla nascita del Partito della Nazione come unica opzione di governo in competizione con le destre e i populismi.
E’ da quella sconfitta, e dalla nostra vittoria (pur densa come sappiamo di contraddizioni), che ha preso forza e campo l’offensiva che, finalmente, la sinistra del PD sta mettendo in campo in questi giorni e in queste ore.
Dai comitati di ConSenso all’iniziativa politica di Sinistra Riformista, dall’iniziativa di Giuliano Pisapia all’agenda sociale proposta da Laura Boldrini fino all’impegno in prima linea di tanti amministratori locali – sindaci e presidenti di Regione – che quotidianamente mettono in campo esempi concreti di buon governo dei territori, possiamo riconoscere interlocutori decisivi per rimuovere l’ipoteca renziana dal campo largo dei progressisti e dei democratici.
Non si tratta, come si è detto con polemiche dai toni avvilenti, di una subalternità di Sinistra Italiana al dibattito interno al Partito Democratico.
Quanto, piuttosto, di perseguire con determinazione l’obiettivo che, tutti insieme, ci siamo dati fin dall’avvio del processo costituente di SI: la costruzione di un partito della Sinistra più grande, popolare, di governo.
Un’organizzazione che nasce piccola ha un ruolo se prova a essere feconda e non sterile, se mentre si struttura è capace di influenzare e di aprirsi a quello che la circonda, se coltiva relazioni e non si chiude a riccio nell’angolo e nella testimonianza, se riapre una prospettiva utile non a se stessa, ma alle persone che intende rappresentare.
Il lungo, e a tratti faticoso, percorso che insieme a molti abbiamo messo in campo in questi anni non sarebbe esistito senza la generosità di Sinistra Ecologia Libertà, che all’indomani delle elezioni politiche del 2013, uccisa la possibilità di un governo di centrosinistra da Renzi e dai “101”, si è messa a disposizione per costruire un soggetto più largo, per ridefinire e tornare a rendere fecondo il campo della sinistra e dei progressisti, per non consegnare la nostra vicenda politica al fortino identitario e all’irrilevanza e, anzi, costruire ponti e spazi comuni con le forze sociali, con il sindacato, l’associazionismo, le esperienze del civismo, la sinistra diffusa.
Questa è stata la ragione sociale di Human Factor, del Teatro Quirino, della sinistra di tutte e tutti di Cosmopolitica.
Sarebbe folle e incomprensibile se proprio oggi, mentre finalmente si delineano le condizioni per il superamento dell’ipoteca renziana sul campo del centrosinistra e per la costruzione di un nuovo fronte dei progressisti e dei democratici, Sinistra Italiana si chiudesse in una discussione e in un congresso autoreferenziale, in un processo burocratico chiamato a certificare scelte sui gruppi dirigenti già predeterminate a tavolino, con il risultato di tramutare un processo politico potenzialmente dirompente nell’ennesima sigla da far sedere ai tristi tavoli degli accordi fra ceto politico.
La verità è che, dopo l’assemblea del Teatro Quirino, dopo l’entusiasmo iniziale, il nostro processo costituente è stato sequestrato da un gruppo dirigente che si è auto-legittimato come tale, assumendo l’accordo pattizio e l’unità fatta col bilancino come strumento dell’agire politico sia interno – in questa infinita fase pre-congressuale di oltre un anno – sia esterno, immaginando di riproporre l’ennesimo cartello elettorale “last minute”.
Ma nonostante questo, e grazie anche a chi in questi mesi ha combattuto questa deriva e coltivato nel contempo altre strade, si apre oggi, finalmente, una fase nuova.
Per questo sarebbe stato fondamentale trasformare il congresso di Sinistra Italiana in un momento di apertura, in un’occasione di partecipazione larga, in una tappa di un percorso accidentato e difficile ma che, proprio in questi giorni, ci mostra un approdo possibile per riaprire la partita, per tornare a contendere credibilmente, da sinistra, il governo del paese alle destre e ai populismi.
Ci è stato impedito, sequestrando e comprimendo gli spazi della partecipazione e della democrazia, e decidendo che un attivista dei Parioli vale più di un operaio di Civitavecchia.
Ma rimangono in campo, e sono anzi ancora più forti, le ragioni della nostra battaglia e della nostra proposta politica.
E proprio per questo, ancora in questi giorni, dobbiamo ribadire quanto abbiamo detto in questi mesi: non sarebbe sufficiente riproporre “sic et simpliciter” schemi che appartengono a passate stagioni della politica.
Due ingredienti sono, da questo punto di vista, fondamentali.
Uno: serve un cambio di paradigma delle politiche che parta, innanzitutto, dalla lotta alle disuguaglianze.
Su questo le risposte delle “due sinistre”, sono state in questi anni insufficienti: da una parte la subalternità alla “terza via” e all’illusione di poter interpretare “da sinistra” l’egemonia mainstream del neoliberismo, dall’altra la deriva protestataria e un progressivo distaccamento dalla realtà del paese della sinistra “radicale”, che ha portato a riproporre parole d’ordine, atteggiamenti e un vocabolario ormai incomprensibili ai più.
Anche qui: l’abbandono dell’illusione della “terza via” è un fatto politico epocale che segna la vicenda di gran parte della sinistra riformista su scala globale.
Da Jeremy Corbyn a Bernie Sandes, dalle analisi (anche autocritiche) sulla globalizzazione prodotte da D’Alema e Bersani alle primarie francesi vinte da Benoit Hamon.
Siamo nel pieno di un cambio di fase, dentro la necessità di elaborare un pensiero nuovo della sinistra di fronte alle sfide del XXI secolo, a cui dobbiamo contribuire con le nostre idee, il nostro punto di vista, le nostre esperienze. In Italia e in Europa.
Due: non esistono donne e uomini spendibili in tutte le stagioni e non esiste sinistra che possa prescindere dal collettivo.
Lo abbiamo detto fin dal principio: il tema del rinnovamento era, e rimane, decisivo. Per ragioni biografiche prima ancora che anagrafiche.
Vale, certo, per chi sta combattendo una partita decisiva nel Partito Democratico e che ha comunque già dimostrato, con intelligenza, di essere pronto a dare un contributo, a mettersi a disposizione, di una nuova classe dirigente.
Ma vale anche, e per certi versi soprattutto, per noi, per la “nostra” sinistra, per lo spazio politico in cui ci siamo impegnati in questi mesi e in questi anni.
Non si può sostenere tutto e il contrario di tutto, dall’oggi al domani con indifferenza, una linea e il suo contrario, con il solo scopo di mantenere il timone e poter utilizzare il proprio, piccolo, partito come strumento di contrattazione con altri.
Non si può sequestrare il dibattito interno, trovare perfino rassicurante che un processo politico che nasce nuovo porti con sé solo poche migliaia di aderenti, autolegittimarsi a rappresentare un’organizzazione politica a cui non sono stati concessi spazi democratici in cui esprimersi e decidere.
Non si può, infine, con una noncuranza che non ci saremmo aspettati e ignorando la rilevanza della propria biografia, pensare che un soggetto politico, un’esperienza collettiva che coinvolge le aspettative e l’impegno di migliaia di compagne e compagni, sia a disposizione delle proprie scelte individuali, immaginando di poterlo a piacimento abbandonare e riprendere, decidendone il destino con investiture e colpi di mano.
Serve una politica nuova, e serve a partire da noi.
Esse è una comunità di passioni che raccoglie tante compagne e tanti compagni che hanno un sogno. Contribuire sia sul piano teorico che su quello pratico-politico a ridare alla parola Sinistra il senso che ha perduto.
La Sinistra, Politica Interna,
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