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La vetta si raggiunge partendo dai piedi della montagna

Spunti per il processo costituente di Sinistra italiana

di: Chiara Casasola,

12 Giugno 2016

Categorie: Idee a sinistra, La Sinistra

La società è cambiata. Di più: è in continua evoluzione – o involuzione, a seconda di come si voglia vedere la questione – e per leggerne i mutamenti è necessario un lavoro sincronico tra la dirigenza e la base.
Per farlo vi sono alcuni nodi che devono essere sciolti fin da subito e che, se ad un’analisi frettolosa possono apparire scontati, sono invece vitali per la buona riuscita di un percorso che è appena iniziato.
Per prima cosa dobbiamo partire dai temi, ce ne sono molti e, solo per citarne alcuni, non possiamo prescindere da una seria e articolata discussione sul mondo del lavoro, dove siamo già oltre la precarizzazione e se da un lato si tratta di analizzare il tema dei voucher, della disoccupazione, dei lavoratori stagionali e degli effetti di un Jobs Act che ha drogato il sistema del lavoro, non possiamo prescindere da un’analisi anche della crescente mole di lavoratori dequalificati per spingerci poi a inglobare in questo anche una discussione sul sistema pensionistico.
C’è poi il tema dell’immigrazione, da affrontare non come emergenza, ma come elemento strutturale, come parte di una società sempre più interconnessa e che non può e non deve vedere il nostro Paese in altro modo se non attraverso la lente della sua appartenenza all’Unione Europea e ad un mondo dove gli accordi intercontinentali, a solo titolo d’esempio il TTIP, hanno delle ricadute assolutamente concrete anche sul cittadino del più sperduto paesello della Val d’Aosta, per dire.
Il tema della donna, come anello fragile di una catena che anche nell’ Occidente civilizzato subisce le conseguenze di una società ancora troppo maschilista.
Questi, e davvero molti altri temi, devono essere le fondamenta su cui si deve basare il nostro partito e proprio questo dovrebbe assorbire la maggior parte delle energie di tutti noi.
Serviranno prima di tutto uno studio serio e responsabile che possa portare ad una proposta politica concreta e soprattutto solida e dovrà essere una proposta politica dal basso, elaborata dalle comunità politiche dei territori e quindi articolata anche sulle peculiarità degli stessi, pur con una sintesi a livello nazionale.
E questa proposta politica richiederà sicuramente tempo, ma dovrà trovare la massima diffusione non tra gli addetti ai lavori, bensì là dove dobbiamo esserci, nelle città e soprattutto nelle periferie, ma anche nei paesi, quelli più piccoli, dove forse è ancora più difficile coagulare una comunità attorno ad un progetto comune.
Utilizzare tutti i canali, anche quelli forse, paradossalmente, più complicati da utilizzare in maniera intelligente come i social network su cui altri soggetti marciano; canali di diffusione massima, ma che devono essere usati con responsabilità e possibilmente non per veicolare discussioni logoranti, ma per coinvolgere le persone nell’elaborazione, ma anche nella critica a quanto si sta facendo.
E, cosa che con tutta probabilità è la più essenziale tra tutte, ascoltare. Ascoltare e dialogare con le associazioni, con i sindacati, le categorie, ma anche con i semplici cittadini.
Perché praticare un buon ascolto è il fondamento della credibilità e perché nessuno conosce le situazioni meglio di chi le vive. Parlare un linguaggio comprensibile, diretto perché ciò non significa cedere sui contenuti, ma renderli fruibili a chi non rientra nella schiera degli intellettuali …o degli editoriali.
Insisto molto su questi punti perché, anche se possono sembrare meri elementi di contorno, sono in realtà la base per creare un consenso che non sia solo elettorale; e di partiti trasformati in comitati elettorali permanenti, non so voi, ma io ne ho la nausea.
Trovo molto poco attrattive le estenuanti discussioni sui rapporti di forza interni al partito, che pure vanno affrontati, ma non credo siano la chiave di volta dell’impianto che stiamo, con gran fatica, costruendo. Accalorarsi su queste diatribe non farà altro che allontanare le persone che, ricordiamocelo bene, non vivono di politica, ma di sforzi continui, di frustrazione ed emarginazione lavorativa e sociale, che si ripercuote in uno scostamento dalla partecipazione civica.
La maggioranza invisibile troppo spesso, e sempre di più, viene tenuta ai margini – e non capisco quanto in buonafede – anche rispetto alle decisioni che la riguardano, certo vi è una dose di pigrizia e disinteresse, ma è indubbio che ci sia uno scostamento, non proprio impercettibile, tra chi decide e chi subisce le decisioni.
E noi dobbiamo essere lì, dobbiamo lottare non per loro, ma con loro, che poi vuol dire con noi, perché anche noi siamo questa maggioranza invisibile.
Noi che lottiamo strenuamente per avere voce dove voce non ci è mai stata data, che fatichiamo a mettere in fila un giorno dopo l’altro, ma che crediamo che solo attraverso la partecipazione si possa spostare la barra della civiltà un po’ più avanti e che abbiamo bisogno di una rappresentanza, prima, molto prima che di un partito vincente, se vincente significa scendere a patti con la stessa dignità delle persone che lo compongono.
Sono cose che, considerati gli impegni di ciascuno, richiederanno tempi lunghi, ma il consenso o lo si crea da lì o rimarremo ancorati a logiche vecchie, inutili.
Se non concentriamo le energie su uno studio serio e responsabile, sull’elaborazione di una proposta politica solida e la coagulazione di una base altrettanto solida, corriamo il rischio di cadere in un rinnovamento che sarebbe di sola facciata, ma che incapperebbe in un ciclico riproporsi di gare al posizionamento come fine ultimo. Perché chi si vuole trovare il posticino al sole ci sarà sempre ed è sciocco pensare che sia sufficiente cambiare le facce o non allearsi con il Partito Democratico per scongiurare questa ipotesi.

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