È sempre difficile commentare i risultati di tornate amministrative così complesse. Lo è per il numero e la peculiarità dei territori coinvolti, per la rilevanza simbolica che alcune città più di altre inevitabilmente esprimono, lo è per i due tempi che lo scenario politico impone con una sempre maggiore frequenza alla competizione, lo è per il contestuale moltiplicarsi di interpretazioni precipitose e discordanti, che disorientano il dibattito all’indomani del voto. Tutte queste ragioni suggerirebbero di accostarsi con maggiore prudenza ad una riflessione, che potrà compiersi nella sua interezza solo tra alcune settimane.
Tuttavia, già a questa altezza, alcune considerazioni sono consentite e ci pare opportuno condividerle. Anzitutto il dato dell’astensione. Bandita dai commenti , essa infatti persiste, non aumenta clamorosamente, ma segna una flessione di alcuni punti percentuali rispetto a cinque anni fa. Diminuzione che ci parla di una disaffezione comunque crescente, che non si contiene nemmeno quando oggetto della consultazione è il rinnovo delle istituzioni di prossimità.
In secondo luogo ci pare di poter dire che si consolida un sistema tripolare che fagocita offerta e consenso politico, riducendo, complice una persistente inadeguatezza della sinistra, gli spazi espansivi di un quarto polo evidentemente non ancora percepito come alternativa credibile al renzismo, ai populismi e alle destre.
Il Partito Democratico perde consensi ed è in manifesta difficoltà per i risultati inattesi di Milano, Torino e Bologna, città nelle quali immaginava un esito differente, nonché per la deludente esecuzione napoletana. Ciò nonostante consegue i ballottaggi quasi ovunque, si aggiudica sindaci al primo turno, permanendo un partito radicato, il giudizio sul quale dipenderà inevitabilmente dai responsi del 19 giugno.
Il Movimento Cinque Stelle, con buona pace della retorica liquidatoria che continua a descriverlo come un fenomeno esclusivamente protestatario, segna una persistenza, raggiungendo le due cifre, e condizionando prepotentemente la percezione con le considerevoli prestazioni romana e torinese.
Le destre e in esse anche Forza Italia, ritenuta anzitempo defunta, si confermano un avversario non trascurabile, laddove si coalizzano su candidati insidiosi, evitando lacerazioni legate alla contesa sulla rappresentanza del centrodestra e non certo a distanze programmatiche.
Tra queste polarità, come si diceva, persiste l’assenza di un soggetto di sinistra non testimoniale che rimuova con autonomia e coerenza culturale una rassegnazione mortifera. Abbiamo più volte ripetuto quanto occorresse resistere alla tentazione di utilizzare queste elezioni come prove generali di una formazione ancora nel pieno della sua fase costituente e pertanto massimamente vulnerabile. Lo abbiamo ricordato perché ritenevamo che la difformità territoriale imponesse cautela, perché convinti che gli esperimenti pattizi per enfasi elettoralistica siano sempre fallimentari, ma anche nella convinzione che dai risultati non sarebbe disceso un prevalente politico in ragione del quale orientare un processo fondativo.
La realtà ci riconferma nelle nostre convinzioni, suggerendoci che per il nostro elettorato effettivo e potenziale, mai mobile come di questi tempi, non rileva tanto la collocazione, che non può assurgere ad apriori, ma la solidità del profilo, unitamente ad una proposta realizzabile in grado di incidere sulle esistenze. Ed è così che a Cagliari Zedda con un approccio coalizionale classico conquista, unico caso, il primo turno in un capoluogo di Regione, sostenuto da una importante riuscita di Sel. A Bologna viene premiato (pur dentro una riduzione in termini assoluti dei voti) il taglio civico e innovativo della lista alternativa al centrosinistra. Allo stesso modo, e ci spiace non poter indugiare qui su ogni esperienza meritevole, si impongono peculiarità come Sesto Fiorentino, Tagliacozzo e Vasto in cui liste e candidati si affermano, respingendo inutili codici predefiniti, ai quali si è preferita una lettura politica della realtà di riferimento.
Ed a parere di chi scrive non vi è alternatività più sostanziale della costruzione di una proposta politica al riparo dagli assoluti e dagli assilli sulla collocazione. Se vi è una rilevanza che questo voto ci consegna, è solo l’urgenza drammatica di restituire al popolo della Sinistra una prospettiva, partitica, radicata, maggioritaria e non subalterna. Una forza permanente, che non può avere come obiettivo l’elezione di qualche consigliere comunale, ma la trasformazione dell’esistente. Una forza non indifferente, dunque, al governo dei comuni.
I ballottaggi sono vicini e con essi il rischio che nelle amministrazioni si alternino reazionari, razzisti o populisti, rispetto ai quali è irricevibile limitarsi a constatare qualche isolata vicinanza tematica. Ad ottobre si terrà un referendum che segnerà la storia di questo paese, abbiamo bisogno di un partito per vincerlo, non certo di un manipolo di dirigenti. Se sapremo valorizzare i laboratori partecipati e positivi che abbiamo citato, vi troveremo fucine di nuovi volti ed esperienze esportabili, a partire dalle quali rianimare il corpo vivo del nostro progetto e realizzare una campagna che parli chiaramente al cuore e alle menti della nostra gente.
La Sinistra, Politica Interna,
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di: Luigi Nappi,