Esauriti, nei roghi di due guerre mondiali, i cicli dell’imperialismo e dei grandi totalitarismi del ‘900, la fase della distensione come superamento graduale della morsa imposta dai blocchi e la decolonizzazione aveva aperto all’idea di una fase di progressiva espansione della democrazia e di una sorta di “compimento della storia” anche laddove quella che si pensava fosse dittatura del proletariato si era trasformata in una dittatura di una burocrazia oligarchica.
Invece proprio al momento del crollo di quel bipolarismo qualcuno cominciò a parlare di “fine della storia”, di affermazione del pensiero “unico” del capitalismo, di un modello da esportare sulla punta delle baionette.
Principiò da lì quello che possiamo davvero definire “arretramento storico” se intendiamo confrontarlo con le nostre idee per l’appunto storiciste, delle “magnifiche sorti e progressive”.
Un arretramento che ha portato a questa fase caratterizzata dai nuovi imperialismi (o meglio dai nuovi imperatori).
Se l’elezione di Trump aveva impressionato, la dittatura a vita confermata per XI in Cina (occasione d’attualità per scrivere queste poche righe) e la prossima rielezione di Putin in Russia ci confermano.
La dinamica della storia sembra essersi prima arrestata e poi di aver voltato all’indietro.
Come recuperare la politica soffocata dall’imperio?
Servirebbe forse un nuovo illuminismo ma nel pensiero dominante non se rintracciano segnali, mentre chi cerca di opporsi comunque sembra seguire un andamento anticiclico annaspando ai margini del vorticoso affermarsi dell’Impero fondato sulla spossessione di ormai indistinte moltitudini.
Moltitudini cui certo non possono bastare, per ritrovare identità e rappresentanza, i soli riti della democrazia borghese e tanto meno di quella “diretta” e/o del pubblico.
La Costituente, La Sinistra, Politica Interna,
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