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Cara Rosa, ti dico in cosa non sono d’accordo

Una risposta nel merito all'articolo di Rosa Fioravante

Cara Rosa,
ho letto il tuo ultimo contributo (quello dal titolo dada-maoista) e vorrei risponderti, per la stima e l’amicizia che c’è tra di noi e perché ti ritengo una delle nostre giovani compagne più preparate. Ci sono quattro cose sulle quali dissento radicalmente. Tutto il resto lo condivido. Giudica tu il peso delle mie obiezioni nell’economia complessiva di quanto hai scritto.

 
1. Affermi che il nostro target elettorale è la classe media che si impoverisce. Vero, ma in parte. Oltre alla (consentimi: prima della) classe media impoverita c’è tanto altro. C’è una classe lavoratrice molto ampia che è disgregata, frantumata, parcellizzata, che non è mai stata classe media e che non è mai stata tanto povera come adesso. Siamo d’accordo che sia questo innanzitutto il nostro target elettorale (meglio: il nostro soggetto sociale di riferimento)? Altrimenti quando parliamo di partito del lavoro o di partito della sinistra non capisco quali interessi vogliamo interpretare, da quale punto di vista vogliamo guardare il mondo.

 
2. Nessuno di coloro che propongono il campo largo dei progressisti propone un’alleanza contro Renzi. Il ragionamento che sviluppiamo suggerisce invece l’idea di riseminare un terreno bonificandolo dal renzismo. C’è una bella differenza. Renzi è soltanto l’ultimo degli interpreti di una lunga stagione segnata dalla subalternità politica e culturale del centro-sinistra italiano rispetto ai dettami del neo-liberalismo. Renzi è colui che ha spinto il Pd fino in fondo al processo di snaturamento. Processo che, per intenderci, era in corso anche due anni fa, cinque, dieci. Quando qualcuno di noi era lì e qualcun altro era fuori. Noi vogliamo battere il renzismo e ricostruire il campo, perché siamo interessati al destino del Paese prima che a quello delle piccole formazioni politiche oggi esistenti. Altri vogliono evidentemente battere il renzismo e fermarsi lì. A me pare che questa ambizione non sia sufficiente.

 
3. Rispetto a quella stagione e quella storia tu esprimi non soltanto un giudizio politico (subalternità culturale) ma anche un giudizio morale (disonestà intellettuale). Per mille e una ragione mi limiterei al primo giudizio. Tra queste ragioni il fatto che in politica la credibilità e la coerenza sono essenziali. Ho l’impressione che ritenere i propri ex compagni di partito subalterni e disonesti non rafforzi la propria credibilità. E’ invece secondo me molto più efficace (oltre che corretto) riconoscere di avere progressivamente maturato – nel proprio percorso politico – un’idea diversa, senza disconoscere o abiurare ciò che si è stati. E’ capitato anche a me e, in situazioni e momenti diversi, a tutti noi. Non è facile ma penso che alla fine non rimuovere ciò che si è stati paghi, perché quel che siamo stati – anche nei cambiamenti – ha molto a che fare con ciò che saremo.

Ancora a proposito del campo. Esso esiste indipendentemente dal fatto che tu voglia esorcizzarlo, prendendo un po’ per i fondelli chi lo propone. Il campo largo (o come diavolo vogliamo chiamarlo) esiste precisamente perché non è quel che tu dici: non è la somma di Pd e Sel o un’altra qualsiasi alleanza elettorale tra gruppi e gruppetti politici. E’ invece un dato di realtà che ha a che fare con la storia sociale, culturale e quindi politica dell’Italia repubblicana. Per conoscerlo, incontrarlo e toccarlo, bisogna chiudere i libri e uscire di casa. E’ il reticolo di associazioni, comitati, collettivi, sindacati, corpi intermedi che animano da sempre il tessuto democratico del nostro Paese. Ci sta dentro il volontariato cattolico e il collettivo ambientalista, il circolo Arci e l’Rsu della fabbrica di fronte a casa tua. E’ un popolo, un popolo vero. Disorientato, diviso, frammentato dagli errori della sinistra politica di questi ultimi vent’anni (delle sue classi dirigenti). E che oggi non vuole più essere costretto a votare il Pd, cioè il partito che spesso considera il meno peggio, l’argine contro i populismi (populismi che sono creati, come ben sappiamo, dalle politiche di destra prodotte dai governi di centro-sinistra); e che neppure si sogna di votare l’ennesimo pasticcio elettorale della sinistra radicale o il partitino bonsai dalle buone intenzioni e dall’efficacia pari a zero. Dare una forma politica a quel campo non vuol dire vendersi per quattro lenticchie come suggerisce qualcuno ma vuol dire corrispondere alla storia della parte progressiva e democratica del nostro Paese. Penso che Alfredo Reichlin potrebbe dirtelo in maniera molto più precisa e convincente di quanto non faccia io.

 
4. Scrivi infine che viviamo nell’epoca della fine delle ideologie. Non condivido. Penso anzi che sostenerlo sia la resa alla più grande operazione di mistificazione ideologica compiuta da chi ha vinto lo scontro di classe in Occidente in questi ultimi vent’anni. L’ideologia dominante è viva e in splendida salute. Siamo noi ad avere più di qualche acciacco. Si tratta di aprire gli occhi e di trovare una linea politica che ci aiuti a risalire la china.

 

Con affetto,
Simone

Simone Oggionni

http://www.reblab.it

Sono nato nel 1984 a Treviglio, un centro operaio e contadino della bassa padana tra Bergamo e Milano. Ho imparato dalla mia famiglia il valore della giustizia e dell’eguaglianza, il senso del rispetto verso ciò che è di tutti. Ho respirato da qui quella tensione etica che mi ha costretto a fare politica. A scuola e all’Università ho imparato la grandezza della Storia e come essa si possa incarnare nella vita dei singoli, delle classi e dei movimenti di massa. A Genova nel luglio 2001 ho capito che la nostra generazione non poteva sottrarsi al compito di riscattare un futuro pignorato e messo in mora. Per questo, dopo aver ricoperto per anni l'incarico di portavoce nazionale dei Giovani Comunisti e avere fatto parte da indipendente della segreteria nazionale di Sel, ho accettato la sfida di Articolo 1 - Movimento democratico e progressista, per costruire un nuovo soggetto politico della Sinistra, convinto che l’organizzazione collettiva sia ancora lo strumento più adeguato per cambiare il mondo.

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