Nel suo ultimo articolo Simone Oggionni esorta a volare alto, a non trincerarsi nei recinti dell’autoreferenzialità. L’invito a non rinchiudersi nelle proprie stanze (bello il riferimento al partito che, nel titolo, fa riecheggiare Majakowskij) mi pare vada raccolto a pieno. Non solo – e questo sarà il cuore del mio ragionamento – per ragioni estetiche, per così dire di buona educazione. Non solo per evitare scontri su piccoli accidenti e inutili frizioni terra terra con chi, in buona o cattiva fede, volontariamente o no, costruisce ostacoli dentro Sinistra italiana e nel dibattito che precede e istruisce il Congresso fondativo del nuovo Partito, finalmente alle porte.
Bisogna volare alto perché, quando si hanno grandi ambizioni, non si può fare altrimenti. A ben guardare una delle ragioni principali dello scarso appeal che ha messo piombo nelle ali al progetto che sembrava aver preso corpo a Cosmopolitica è proprio questo. Non saper dare vita a un’indicazione politica e organizzativa che sia portatrice di un progetto alto. Che sappia far riferimento a una strategia non fondata esclusivamente su un giudizioso e realistico programma di sinistra (per carità, indispensabile) ma alimentata anche, anzi soprattutto, dal fuoco sacro di una prospettiva profondamente trasformatrice e, alla lunga, rivoluzionaria.
Insomma non è chi non veda come tutti i grandi processi di emancipazione, sostenuti e innervati da passaggi organizzativistici, da tattiche e da strategie se pur diversamente configurate, abbiano avuto alle spalle e davanti a sé un grande sogno. Ecco anche oggi, più che mai, ci vuole un sogno! E questa necessità non intercetta soltanto un’esigenza formale, diciamo così decorativa, ma risponde a un bisogno profondo. Non si attraggono grandi masse di giovani solo e soltanto mostrando il realismo e il buon senso di una correzione possibile rispetto alle malefatte di Renzi e del Renzismo. Non basta la critica dell’attuale congiuntura politica. La falsificazione di una Sinistra che non è più sinistra è necessaria ma non è più sufficiente. Ci vuole di più. Molto di più.
Una volta il sogno era quello del Comunismo che, per molti di noi, resta e resterà un orizzonte di senso imprescindibile. Ma non si può, oggi, non prendere atto che non è questa la parola che può veicolare la nostra “grande ambizione” . Probabilmente nemmeno la parola Socialismo è più utile, perché troppe e troppo profonde sono le ferite inferte al senso di questo lemma per poterlo usare ed essere compresi. E allora, bisogna forse rassegnarsi? No. Si deve piuttosto rendere chiara l’esigenza, anzi l’urgenza, prima che sia troppo tardi, di fare i conti con le ragioni profonde della grande ingiustizia che oggi è impossibile negare: la stessa che alla base di una ridistribuzione delle ricchezze oscenamente diseguale, la stessa che ha imposto il mantra di un capitalismo ormai naturalizzato. Un capitalismo che, come un dato di natura appunto, nessuno discute ma che è costretto, per sopravvivere a sé stesso, a svelare il suo volto più feroce, persino a quella classe di riferimento che lo ha scelto e lo ha difeso.
Mai il capitalismo è stato così forte ma mai il capitalismo è stato così debole. È il paradosso del nostro tempo. La sua debolezza è figlia delle sue insanabili contraddizioni. La sua forza è figlia della mancanza di una avversario che sappia porsi alla sua altezza. La forza di una belva ferità che nessuno riesce a contenere. Siamo noi che dobbiamo provarci, nel nostro piccolo e nei limiti del contesto che ci è dato. E per farlo non possiamo non percorre una duplice strada. Da un lato quella della costruzione di una forza organizzata non minoritaria, realistica e di governo, che reinterpreti le ragioni di un’autentica Sinistra e non di una Sinistra taroccata, il nuovo Partito insomma. Dall’altro quella che lancia una grande sfida culturale, capace di indicare a tutti il nemico principale. Il movimento Cinque stelle lo ha individuato nella casta e il farlo gli ha fornito e gli fornisce una rendita di posizione di cui osserviamo gli effetti. Renzi lo ha fatto con la “rottamazione”. Noi dobbiamo, senza sottovalutare il disgusto della gente per la corruzione e i privilegi di una certa politica, indicare nel pensiero unico neoliberista il vero nemico.
Ecco che comincia a delinearsi lo scenario di un sogno possibile. Quello di sostituire le false ragioni di una competitività esasperata, di un idiotismo individualista autolesionistico, di un disprezzo per i beni comuni che travolge interessi collettivi e delicatissimi assetti ambientali. Ma più in generale – c’è assoluto bisogno di idee generali se non vogliamo morire sotto una valanga di piccole e magari sensate bagatelle – quella che si deve far filtrare, come una linfa vitale, è l’idea che la giustizia sociale non è solo un’aspirazione eticamente commendevole, ma una necessità assoluta se si vuole uscire dal cul de sac di quel darwinismo sociale che sta cancellando ogni diritto.
Uguaglianza è allora la parola. La parola chiave di quella Costituzione che oggi siamo chiamati a difendere in ogni modo possibile. Ma ancora una volta si tratta di far capire che gli sfruttati e i precari, che i rifugiati e i migranti, che i maltrattati e i reietti non sono tali per loro colpa, non lo sono a causa di una loro inadeguatezza rispetto al sistema – perché questa purtroppo è la falsa verità che è passata – ma lo sono a causa di ragioni razionalmente analizzabili che riconducono – tutte – alla responsabilità storica di un sistema di dominio fondato sulla difesa esasperata e spregiudicatissima degli enormi, colossali interessi di un numero piccolissimo di persone agguerrite e organizzate.
Imporre le ragioni della giustizia sociale, contro il pensiero unico neoliberale, significa allora battersi contro questo sistema di cose. Significa sottrarre potere a chi ne detiene il monopolio in Europa e nel mondo. Significa spogliarsi dal fatalismo passivizzante per indossare l’armatura di una nuova consapevolezza. La stessa che è andata dispersa in questi decenni. Significa spiegare e convincere che battere la casta e eliminare i vitalizi è necessario ma non è sufficiente. Ben altra è la battaglia che ci aspetta e ben altri e ben più potenti sono i nostri nemici. Si delinea così lo scenario di uno scontro epico che, in prospettiva, racconta del confliggere di enormi interessi contrapposti: quelli della maggioranza dei popoli contro quelli delle ristrettissime tecno-oligarchie finanziarie che hanno preso il controllo assoluto del mondo.
Se riusciremo a fare questo, allora potrà ridarsi la possibilità di stabilire col “popolo-nazione” quella connessione sentimentale di cui ci parla Gramsci. Con un popolo disperso e di indifferenti non si può stabilire alcuna relazione. Di qui la necessità di una grande rivoluzione culturale. È evidente l’inadeguatezza (temporanea speriamo) delle nostre forze di fronte a questa impresa, ma lo è altrettanto la necessità di non far finta che questo problema non esista.
Tirar fuori la Sinistra dalle sabbie mobili in cui si è cacciata è impresa difficile. Ma le imprese sono grandi, appunto, quando si pongono obiettivi ambiziosi. È con questa dimensione che dobbiamo familiarizzare, lasciandoci alle spalle le piccole e miserabili faccende di bottega. Passare dal sapere al comprendere, attraverso il sentire, per usare le categorie gramsciane, ci consentirà di essere all’altezza della sfida. Ma per farlo bisogna guardare e far guardare in avanti e in alto, molto in alto. Se ci fosse qualcuno che non è d’accordo forse potrà servire ricordargli le parole di Max Weber: ”È perfettamente esatto (e confermato da tutta l’esperienza storica) che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile”.
La Sinistra, Politica Interna,
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di: Simone Oggionni,