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COSMOPOLITICA: la sinistra riparta dal diritto allo studio e dall’accesso all’istruzione

Il contributo di Jacopo Dionisio e Alberto Irone

di: Associazione Esse,

20 Febbraio 2016

Categorie: Istruzione

L’istruzione in Italia sta vivendo negli ultimi anni una delle sue crisi più profonde, dovuta a molteplici cause, che hanno determinato come primo effetto il ridimensionamento del mondo della conoscenza, passato per l’abbandono di un modello di massa, con la conseguente diffusione di una concezione sempre più “elitaria” dell’accesso all’istruzione: sempre meno famiglie e studenti possono permettersi di sostenere il proprio percorso di studi, trovando difficoltà a completare l’obbligo scolastico e accedere ai gradi più alti del percorso di studi.

Tutto questo si inserisce in un contesto in cui il mondo dell’istruzione è da troppo tempo oggetto di vere e proprie campagne denigratorie, che hanno diffuso messaggi devastanti come quello lanciato pochi mesi fa dal Ministro Poletti, il quale aveva attaccato gli studenti universitari che si inseriscono nel mondo del lavoro ad età più avanzata perché hanno ottenuto più tempo per conseguire una laurea con il massimo dei voti.

Questa è solo una delle dimostrazioni di come il rapporto tra istruzione e mondo del lavoro nel nostro paese sia visto in modo completamente distorto. Ci troviamo di fronte ad un sistema produttivo che investe principalmente in settori tradizionali a scarso contenuto di conoscenza e di innovazione, e quindi caratterizzato da scarsa domanda di profili qualificati e di laureati, eppure l’idea che da anni si è affermata nel dibattito pubblico punta il dito contro un sistema universitario accusato di essere incapace di formare professionalità adeguate e, più in generale, di introdurre gli studenti nel mondo del lavoro.

In questo momento storico, segnato da una delle peggiori crisi economico-finanziarie dell’ultimo secolo, caratterizzata nel nostro paese dall’innalzamento dei tassi di disoccupazione, sempre meno famiglie possono permettersi di mantenere gli studi dei propri figli: lo Stato dovrebbe essere chiamato urgentemente a farsi carico di maggiori investimenti per finanziare scuola, università e ricerca.

Abbiamo invece assistito, purtroppo, al fenomeno contrario, confermato da varie indagini: l’Italia investe pochissimo sull’università, tanto da essere al 35° posto tra i 37 Paesi dell’area OCSE per quanto riguarda l’incidenza della spesa per l’università sul PIL; la tassazione media negli ultimi 10 anni è aumentata del 51% e ad oggi la contribuzione studentesca rappresenta addirittura il 24,5% dei fondi totali destinati all’università.

Questa, però, ad oggi è una prospettiva senza alcun riscontro nella realtà: in Italia solo l’8% degli studenti riceve la borsa di studio (Francia 38%, Germania 25%), mentre 1 studente su 4, seppur idoneo, non la riceve per assenza di finanziamenti adeguati. Il 44% dei fondi stanziati per il diritto allo studio proviene dalla tassa regionale pagata dagli studenti: la popolazione studentesca si finanzia da sé un diritto che dovrebbe essere garantito dallo stato.

La situazione peggiora ancora se si considera l’introduzione della nuova modalità di calcolo ISEE: come da noi previsto e denunciato, oltre il 20% degli studenti si è improvvisamente trovato “più ricco” e quindi, anche a parità di ricchezza reale, si trova nell’impossibilità di chiedere la borsa di studio.

In questo quadro, già drammatico, si inserisce la scelta da parte di molti atenei di aumentare il numero dei corsi a numero chiuso o programmato, che limitano il diritto degli studenti ad avere libero accesso all’università nel corso di studi immaginato per il proprio futuro. Nonostante i tantissimi ricorsi vinti negli ultimi anni, ci scontriamo con l’assenza di volontà politica da parte del Ministero di affrontare e superare questa problematica.

Di fronte a questi dati impietosi, non ci si può stupire davanti al crollo di iscritti all’università: 24858 in meno dal 2013/2014 al 2014/2015, di cui quasi 19000 nel solo meridione, che vive condizioni di particolare arretratezza in un quadro nazionale già critico: basti pensare ai casi limite di Campania e Sicilia, dove le regioni per lungo tempo non hanno investito nulla in diritto allo studio.

Anche il sistema d’istruzione superiore vive da anni una grave crisi dovuta a diverse cause: dai tagli lineari delle finanziarie 2008 e 2010, ai tanti interventi promossi da governi di centro-sinistra e centro-destra, mai capaci di mettere in discussione un modello di scuola che dal dopo-guerra ad oggi rimane sostanzialmente inalterato nel suo impianto didattico.

Il mondo della scuola superiore disperde nel proprio percorso migliaia di ragazzi che non arrivano al conseguimento dell’obbligo scolastico: la dimensione del fenomeno dell’abbandono scolastico arriva nel sud e nelle isole a punte del 20, 25% sul totale della popolazione studentesca.

A fronte di una situazione inalterata nel corso degli ultimi anni per quanto riguarda le scelte virtuose da parte della politica su innovazione e investimenti sull’istruzione, sostanzialmente cancellati dal centro-destra, la condizione della scuola superiore è andata via via aggravandosi, rendendo sempre più difficile definire il ruolo di scuola e università nel paese e, conseguentemente, riconoscere la sua fondamentale funzione “unificatrice” nella società italiana.

L’attuale governo ha deciso di non farsi carico di queste urgenti questioni, lavorando alla promulgazione di una legge sbagliata e iniqua come la “Buona Scuola”, che vede l’assenza di investimenti per il diritto allo studio e il contrasto alla dispersione scolastica e l’introduzione, invece, di misure per incentivare gli investimenti privati e indebolire le rappresentanze degli studenti e dei lavoratori.

Riconoscere il diritto allo studio dovrebbe significare difendere la Costituzione, applicando pienamente quanto disposto negli articoli 3, 33 e 34, che sanciscono il compito dello Stato nel rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono l’uguaglianza sostanziale, il pieno sviluppo della persona umana e l’accesso ai gradi più alti dell’istruzione.

Crediamo non si possa rispondere alla crisi economica senza guardare all’investimento in istruzione come una delle chiavi per far ripartire economicamente il paese. Ed è proprio questo che ci aspettiamo da una sinistra moderna: la capacità di mettere al centro della propria elaborazione politica la questione della conoscenza nel suo rapporto con la società. E per fare questo non ci si può limitare a recepire singole istanze dei tanti soggetti del mondo dell’istruzione.

È necessario che il nuovo soggetto politico si faccia interprete di una discussione assai ampia, che coinvolga tutto il mondo della conoscenza, e che permetta di ridare centralità all’istruzione, ribaltando la narrazione attuale che la descrive solo come un peso, cominciando da alcuni temi di vitale importanza. Bisogna ripartire dalle condizioni materiali degli studenti, che si vedono precludere sempre più spesso l’accesso all’istruzione come testimoniato dai dati sulla dispersione scolastica e da quelli relativi al diritto allo studio, su cui è necessario tornare ad investire in maniera strutturale prima che sia troppo tardi; è necessario smontare la retorica diffusa in questi anni, e ragionare sul rapporto tra istruzione e accesso al mondo del lavoro, caratterizzato dalla precarietà diffusa e dall’incapacità di valorizzare le figure con un livello di istruzione medio-alto: l’istruzione deve deve ritornare ad assumere il ruolo fondamentale di ascensore sociale perso negli ultimi anni.

 

Jacopo Dionisio
Coordinatore nazionale Unione degli Universitari

Alberto Irone
Portavoce nazionale Rete degli studenti medi

Associazione Esse

http://www.esseblog.it

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