Se si vuole cogliere tutta l’arretratezza del dibattito politico e culturale del nostro Paese, è utile esercizio volgere lo sguardo altrove, dove la lotta politica diventa spesso questione di vita e di morte e dove la libertà di espressione non è appannaggio di circoli intellettuali chiusi nel narcisistico e autoreferenziale culto di se stessi , e diventa motore di cambiamento e trasformazione sociale.
Ce lo ha insegnato Giulio Regeni, la cui giovane vita è stata strappata dalla violenza diabolica della repressione e la cui memoria rischia di essere destinata all’oblio, sacrificata sull’altare della ragion di Stato.
Con questo spirito mi sono imbattuto in rete in un saggio denso e appassionato di Shaimaa Abdelkarim, della School of Global Affairs and Public Policy dell’Università americana del Cairo.
Il saggio Towards New Dominations: Flawed Devotions to Human Rights Discourse and its Contigent Hope ( Verso nuove forme di dominio : la fede imperfetta nel discorso dei diritti umani e la sua speranza contingente) si muove nell’ambito della ricca corrente dei Gender and postcolonial studies e ci restituisce una spiegazione convincente di come la retorica dei diritti umani si sia trasformata in una nuova e raffinata tecnica di dominio, a salvaguardia degli interessi dell’imperialismo occidentale.
Come scrive Karen Engle, “dalla fine della Guerra Fredda, i diritti umani sono diventati la lingua franca tanto degli stati quanto dei movimenti sociali, dalla sinistra alla destra. Con riguardo ai primi, alcuni stati pretendono di intervenire – anche militarmente – in altri stati per proteggere i diritti umani, mentre questi resistono all’ingerenza sempre in nome dei diritti umani. Peraltro i Movimenti Sociali, di tutte le forme, sono soliti presentare le loro richieste dentro la stessa cornice del rispetto dei diritti umani. Persino gli argomenti per una significativa redistribuzione della ricchezza e delle risorse sono largamente avanzati nel nome dei diritti umani (sociali ed economici).”
Tuttavia mentre per Engle il discorso dei diritti si avvale della stessa retorica quando viene “articolato dagli stati, dai movimenti sociali e persino dalla critica da sinistra al discorso dominante”, finendo per legittimare la nuova figura dell’ “individuo neoliberale e market friendly”, per Shaimaa Abdelkarim l’equivalenza delle espressioni usate non rende conto della differenza che esiste tra il discorso dei diritti strumentalizzato per fornire legittimità internazionale alle potenze dominanti e la lingua dei diritti, intesa come “la lingua delle lotte”.
Per fare ciò bisogna partire da due considerazioni .
Da una parte vi è l’ “ironia” costitutiva dei diritti umani: il meccanismo per cui, nonostante la loro formulazione sacrale nei trattati internazionali e nelle Costituzioni degli stati, vi è sempre un gap tra quanto i diritti umani offrono nel presente e le promesse di liberazione universale che sono sempre rimandate a un futuro incerto. Questa ironia contribuisce a costruire una teologia dei diritti umani, per cui l’obiettivo dei movimenti diventa spesso il riconoscimento formale di un diritto, mentre viene accantonato il grido di dolore degli oppressi le cui condizioni materiali di vita non cambieranno certo in virtù di un formale riconoscimento giuridico.
Così se per la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo tutti gli uomini “sono uguali”, nella realtà l’uguaglianza è un ideale che viene rimandato a un futuro indeterminato in cui i benefici della crescita economica raggiungeranno anche i cosiddetti “paesi sottosviluppati” , secondo la ben nota definizione dell’ “infame quarto punto” del discorso inaugurale della presidenza Truman del 1949.
Ma intanto la nostra fede nei diritti umani, una vera e propria nuova religione laica, colonizzerà le nostre lotte e le nostre aspirazioni e ingloberà nel discorso dominante ogni istanza di liberazione.
E’ la stessa logica che ha portato il governo britannico a rinegoziare la propria appartenenza all’Unione Europea con il cosiddetto Emergency Brake, quel freno di emergenza che consente al governo di sospendere i diritti sociali ( assegni familiari, indennità di disoccupazione, etc. ) per i nuovi immigrati (europei e non), utilizzando come pretesto la crisi economica globale.
Ugualmente pensa di fare il governo tedesco, che ha allo studio una legge discriminatoria, razzista e classista che esclude dall’applicazione del salario minimo garantito per legge i rifugiati che saranno accolti nel territorio della repubblica federale tedesca.
In secondo luogo, Shaimaa Abdelkarim segnala un altro vizio costitutivo dei diritti umani : essi sono figli della pretesa illuministica di sostituire il dominio di Dio con le istanze regolatorie e formalistiche della Ragione, “una ragione che rende ciascuno di noi soggetto alla sua universalità” in modo tale che l’“individuo europeo secolarizzato acquisisce il controllo nella creazione del mondo e deve proteggere questo mondo contro tutti coloro i quali vi si oppongono”.
Per scardinare questo dispositivo occorre “deformalizzare” il dominio della legge , dando corso a quella “fantasia dei diritti” (questa volta al servizio della lotta) che Jason Beckett contrappone alla “irredimibile realtà della macchinazione politica”.
Una macchinazione politica di cui , per citare il triste dibattito parlamentare di questi giorni sulle unioni civili, sono espressione tanto il legalismo parlamentare invocato dal movimento 5 stelle per giustificare di fronte all’opinione pubblica il loro clamoroso voltafaccia, quanto la crudele realpolitik di Renzi che, pur di salvare il governo del Partito della Nazione, non esita a sacrificare le aspettative e l’aspirazione alla felicità di migliaia di donne e uomini, lesbiche e gay, e dei bambini che accolgono nelle loro famiglie.
In questi anni ho attraversato tante storie di movimento, dall’attivismo lgbt alla lotta al razzismo e allo specismo, per questo vorrei dire a tutt* che non è ottenendo il riconoscimento di un catalogo di diritti ad hoc e la negazione di altri ( dalla stepchild adoption alla tutela patrimoniale in caso di separazione con addebito di colpa – vero obiettivo dell’eliminazione dell’obbligo di fedeltà) che otterremo giustizia piena , ma tornando ad alimentare il torrente delle lotte.
Mentre venti di guerra soffiano forti, e a Roma il 5 marzo si annuncia una grande manifestazione contro l’indecente spettacolo che è andato in scena al Senato sulle unioni civili , mi sento di raccogliere l’invito della giovane ricercatrice del Cairo.
Non una chiamata alle armi, ma un appello a continuare la lotta sapendo che nessun discorso dei dominanti può liberare con le sue formule astratte le esistenze prigioniere degli oppressi.
Scrive Shaimaa Abdelkarim :
“ La lotta non deve essere sanguinaria ma purtroppo lo sarà. Perché non lo sia, citando Hegel, le masse europee devono innanzitutto decidere di svegliarsi, indossare i loro cappelli pensanti e finirla con il gioco irresponsabile della Bella Addormentata”.
Una speranza che è anche un programma di lotta.
Continuons le combat !
Vive a Catania. Attivista politico antirazzista, antisessista e antispecista. Si interessa di questioni economiche e di politica europea e internazionale.
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