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Per favore, la Sinistra non riparta solo da San Babila

La Sinistra non può ripartire soltanto dalla pancia di un corteo: serve un programma minimo radicale e la convergenza su una idea comune di Paese

Siamo al finire di questa triste estate gialloverde e la Sinistra oscilla ancora, quasi completamente smarrita, tra uno sguardo impotente, lanciato dal lettino di uno stabilimento a quello stesso Mediterraneo che si è trasformato in cinico campo da battaglia della politica, e l’attesa di un evento traumatico, quel terremoto che potrebbe scuotere le fondamenta del presente e offrire la possibilità di ricostruire.
Di quel terremoto non si ha ancora traccia, ma nel frattempo sul sismografo della Sinistra si registra qualche tiepida oscillazione.
A Catania, a Castellaneta, a Milano la brutalità con cui Matteo Salvini sta affrontando la questione degli sbarchi ha incontrato reazioni d’orgoglio di un popolo che sembrava ormai disperso in una diaspora senza nome e che, invece, riesce ancora quantomeno a ritrovarsi.
Questi moti d’orgoglio, però, non possono rappresentare la via breve verso scorciatoie che promettono di arrivare nelle radure del socialismo ma che inevitabilmente sfociano sempre nel bosco della confusione.

Infatti dopo la manifestazione di Piazza San Babila si sono levate voci, anche autorevoli, che al grido di “Ripartiamo da qui” fanno appello al superamento delle divergenze in nome di quell’unità della Sinistra che pure è sempre stato un principio costitutivo della nostra cultura politica.

Proletari di tutti i paesi, unitevi” ci spronava Marx e Gramsci scelse proprio il nome “Unità” per la testata che per anni ha raccolto la voce della sinistra, ma anziché quello del comunismo, lo spettro che si aggira oggi per gli ambienti progressisti è un altro: può bastare unirsi in un unica grande alleanza progressista che comprenda il liberalismo concreto di Calenda, l’iperliberismo europeista della Bonino, il globalismo della Boldrini, le nostalgie blairiane di larga parte del PD e di LeU, il sovranismo dell’altra parte di LeU, le simpatie criptoberlusconiane di Renzi, l’anticapitalismo della Carofalo, l’altra Europa e via discorrendo?
Concretamente, quanto potrebbe reggere un rassemblement del genere? E (questa è la domanda più importante) qualora riuscisse a tenere, quale linea esprimerebbe e, di conseguenza, chi rappresenterebbe?

L’inquietante dubbio è che forse la Sinistra italiana, oggi, non rappresenti quasi più nessuno nella società, o comunque che non rappresenti più le realtà in difficoltà.
Da un’analisi effettuata da “Techné” risulta che il 50% dei disoccupati abbia votato M5S e solo il 13% ha votato i Partiti di Centro-Sinistra, percentuale che scende all’8% se si considera soltanto il tasso di disoccupati che ha votato per il maggiore partito della sinistra, il PD.
Se si sommano, a quelli che hanno scelto il M5S, quelli che hanno scelto la Lega (che sono il 16%) rileviamo lo strabiliante dato in base al quale il governo attualmente in carica ha il consenso di due disoccupati su tre.

Analogo è il risultato se si guarda all’orientamento dei precari, il 58% dei precari italiani il 4 Marzo ha votato per la Lega (19%) o per il M5S (39%), mentre solo il 21% ha votato a sinistra.
E così, hanno votato per le forze attualmente al Governo il 61% degli studenti, il 54% dei lavoratori dipendenti privati, il 44% di coloro che ritengono il reddito basso il principale dei problemi italiani (solo il 17% ha scelto il PD), il 51% di quelli che pensano che il problema sia la mancanza di lavoro e il 62% di chi ritiene l’immigrazione e la sicurezza il principale problema nazionale.
Per contro, la fetta maggiore (29%) di chi è ottimista verso la situazione economica attuale ha votato per il PD.
È facile immaginare chi, tra un elettore tipo dei Parioli e un elettore tipo di Quarto Oggiaro, possa avere questo sguardo ottimistico verso il futuro economico del Paese e chi no.

Il quadro è chiarissimo anche a chi non vuole vederlo: le classi sociali più disagiate non votano a sinistra.
In altre parole, la Sinistra non rappresenta i deboli, ma i tutelati.

E non si pensi che sia solo una questione di rabbia, di pancia, oppure che il voto alla Lega possa ridursi ad un semplice “voto di protesta” di chi ha ancora la sua casa a sinistra e voglia solo dare uno scossone.
La Lega governa (e spesso anche bene) da oltre vent’anni tante città del Nord, ha assessori validi, sindaci determinati, consiglieri che hanno fatto lotte sul territorio e risolto problemi, che hanno cavalcato le onde di vertenze sociali, che sono stati vicini a chi rimaneva senza lavoro dopo che la crisi del 2009 ha costretto alla chiusura migliaia di piccole aziende in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia, nel cuore produttivo del Paese.
Hanno lottato con loro, hanno svolto ruoli sindacali, contrattazione, talvolta riuscendo anche a risolvere il problema ed evitare i licenziamenti.
La Lega ha governato tante province e governa tre importantissime regioni del Nord. In questo modo si è radicata sul territorio e nella cultura di chi in quel territorio vive.
Un nostro antico maestro avrebbe chiamato il lavoro svolto dai leghisti in questi anni “costruzione dell’egemonia”.
Altro che voto di protesta, il voto alla Lega è stato un voto di appartenenza e di fiducia.

In tutto ciò la Sinistra sembra clamorosamente assente.
Alla luce di questa analisi del reale, la proposta di una union sacrée della Sinistra, per quanto suggestiva possa risultare a qualcuno, verrebbe meno proprio di quell’elemento fondamentale per la lotta politica: la presenza nella società.
Bisogna tornare a concepire la politica rovesciandone il paradigma che abbiamo adottato dalla metà degli anni ’80 in poi: la lotta si svolge nella società, non nelle istituzioni.

Certamente, presentarsi oggi di fronte ai cancelli di un’azienda che è costretta a chiudere e portare la solidarietà della sinistra rischierebbe di ottenere la reazione che si è ottenuta ai funerali delle vittime di Genova nei confronti di Maurizio Martina, identificato non come il responsabile del disastro, ma come corresponsabile politico di chi ha abdicato al ruolo di rappresentare larghe fette di popolo e ritenuto ugualmente colpevole.

Questo spauracchio non può esserci da impedimento.
Bisogna andare a prendere dritti in faccia le bordate di fischi, la rabbia e gli insulti di chi si è sentito tradito in questi anni, ma bisogna andarci con l’umiltà di chi ha capito di aver commesso degli errori, con la buona volontà di chi quegli errori non vuole ripeterli, con la disponibilità di chi, per evitarne di nuovi, vuole ascoltare cosa quella gente ha da dire e di cosa ha bisogno, ma soprattutto, ci si deve andare con qualcosa in mano.
Con una linea, quattro o cinque punti ideologici (sì, proprio così, ideologici) ben chiari, attorno ai quali costruire piattaforme sociali territoriali da cui potranno emergere proposte concrete e realiste.

Questo è il compito che dovrebbe sobbarcarsi la dirigenza della Sinistra e all’altezza del quale deve avere il coraggio, la forza e la preparazione di porsi.
Esiste un popolo di disoccupati che ha votato in massa M5S, che non aspetta altro che un piano nazionale per il lavoro e, insieme, un territorio che cade a pezzi.
Cosa può essere più urgente, e allo stesso tempo utile, all’Italia se non una grande riforma per la ristrutturazione del patrimonio infrastrutturale italiano e per il suo ampliamento?
Matera sarà Capitale della Cultura nel 2019, sarà il caso di favorirne l’accesso logistico con strutture che poi rimangano a servizio del territorio e possono rappresentarne un volano di sviluppo?
Sarebbe necessario anche un piano industriale strategico, in grado di svolgere una analisi SWOT del tessuto produttivo italiano e individuare i settori su cui puntare e quelli che è più vantaggioso abbandonare gradualmente.

Se si vuole recuperare spazio alla Lega, bisogna per forza ascoltare la voce di quel Nord piccolo-industriale che dice di essere strangolato dalle tasse ed elaborare una proposta democratica insieme, come non si può ignorare che l’immigrazione in tante zone delle nostre città non rappresenta quel fantastico mondo meticcio in cui c’è tutto per tutti, ma più realisticamente rappresenta delinquenza, violenza, droga, prostituzione e degrado.

Allo stesso tempo, però, bisognerebbe anche dire che gran parte di questi problemi sono figli del fatto che chi è clandestino non può lavorare (e quindi delinque), ma la causa principale della “produzione” di clandestini è la legge Bossi-Fini.
Bisognerebbe dire che le sanatorie, regolarizzando i clandestini, riducono i problemi di cui sopra anziché aumentarli, ma bisognerebbe anche spiegare perché quella assurda legge non è stata cambiata in questi anni.
Bisognerebbe dire che noi siamo antirazzisti anche se si parla di certezza della pena, e che chi delinque deve pagare a prescindere dal proprio paese di origine e dalla propria nazionalità.
Bisognerebbe inoltre dire che l’Europa, se dev’essere, sia tutela dei territori e delle specificità locali, non mannaia omologante o ufficiale esattoriale.

Ci si presenti così sui luoghi di conflitto, propositivi, aperti, con una proposta di partecipazione che preveda davvero una struttura contendibile, in grado di dare voce a chi ha cose da dire. Un bel libro dei sogni, si dirà.
Certamente, se si continua a pensare che compito della Sinistra sia il bene del paese.
La nostra grande ambizione, di tutte le forze della galassia della Sinistra, è quella di costruire un grande Partito unitario.
Ebbene… Partito significa “rappresentativo di una parte”, noi dobbiamo sceglierla quella parte, dobbiamo avere il coraggio di ammettere che non si può stare con Marchionne e con i precari, con Confindustria e i disoccupati, con Amazon e i riders.
Questa scelta non significa volere la chiusura di Amazon, significa dire che le risorse per mettere in atto le politiche di sostegno a quella “parte” di popolazione che si pretende di rappresentare vanno cercate là dove le risorse sono: nei grandi capitali delle banche, delle multinazionali, delle grandi imprese, dei supermanager e via dicendo.
E si vada, su quei luoghi, possibilmente, non con la rassegnazione di chi accetta la sconfitta del proprio tempo, ma con l’entusiasmo di chi, coinvolgendo rappresentanti di lotte territoriali, è consapevole di contribuire alla costruzione della classe dirigente della sinistra di domani.

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