Il prossimo 22 settembre si terrà il Fertility Day, giornata nazionale di sensibilizzazione, istituita dalla Ministra della Salute Beatrice Lorenzin, per spronare a fare figli “in età fertile”, con la falsa pretesa che ciò serva a far uscire l’Italia dal novero dei Paesi europei con i più bassi tassi di fecondità. Tale infelice iniziativa, dispendiosa, inutile ed offensiva, va condannata per molte ragioni ma, da giuslavorista, vorrei concentrarmi su un aspetto in particolare. Se si legge il rapporto Istat 2016 si comprende chi sono i giovani in età fertile: per dirla con le parole del Presidente dell’Istat Giorgio Alleva, i giovani italiani sono tra quelli che “pagano gli effetti più pesanti della crisi” e, aggiungo, delle riforme del mercato del lavoro degli ultimi vent’anni. Ma davvero si può credere che i giovani non fanno figli perchè non sanno che la fertilità diminuisce nel tempo? Mettiamoci nei panni di una giovane coppia “in età fertile”. Durante gli studi, per avere figli dovrebbe trasferirsi in Germania, dove le coppie di giovani studenti, oltre a ricevere assegni familiari mensili, possono frequentare università dotate di asili nido interni o aule speciali per far riposare o cambiare i neonati. Terminati gli studi, in Italia la coppia dovrà attendere molto tempo prima di trovare lavoro, visto che il tasso di disoccupazione giovanile supera da diversi anni il 40% (nel 2014 ha raggiunto il 42,7%). Ma anche una volta trovato un lavoro (sempre che non si tratti di stage, tirocini o praticantato, che sono gratuiti), la giovane coppia dovrà passare attraverso anni di precariato: il Jobs Act di Poletti e Renzi, infatti, non ha affatto ridotto, come promesso, la possibilità di ricorrere a forme di lavoro temporaneo come voucher, lavoro a chiamata, lavoro somministrato, apprendistato e contratti a termine, per non parlare delle tuttora possibli forme di “lavoro autonomo economicamente dipendente” ma senza tutele, come co.co.co. e partite iva. Per una giovane lavoratrice, poi, tutte queste forme di lavoro discontinuo e a termine inducono a prorogare la maternità, perchè se interviene una gravidanza, nella maggior parte dei casi il contratto non viene rinnovato. Se la lavoratrice riuscisse ad avere un colloquio di lavoro, sarà costretta a rispondere all’illegittima quanto consueta domanda sulle sue intenzioni di avere figli. Infine, dopo questo calvario, se riuscisse ad essere assunta a tempo indeterminato, dovrà aspettare ancora per la maternità, visto che il licenziamento è diventato facile, grazie al contratto a tutele crescenti, introdotto dal Jobs Act. È vero che è tuttora nullo il licenziamento per gravidanza o per congedo parentale, ma in tutte le altre ipotesi il licenziamento illegittimo costa ormai poco all’impresa: solo 2 mensilità per ogni anno di anzianità del lavoratore. È evidente, quindi che per i giovani “in età fertile” anche il contratto a tempo indeterminato è divenuto instabile, visto che il costo di separazione non ha efficacia deterrente per almeno tre anni in caso di piccola impresa, sei anni per una media, dodici anni o mai per una grande impresa. Se anche non vi fosse il rischio di uscire dal mercato del lavoro, esistono molti altri ostacoli per le giovani coppie: retribuzioni basse, assegni familiari irrisori, ammortizzatori sociali assenti o insufficienti, mancanza di un reddito minimo, presente, invece in tutti i paesi europei, Italia e Grecia escluse. Senza parlare della mancanza di servizi e serie politiche di conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Le giovani coppie che decidessero di avere figli li potrebbero crescere, quindi, solo grazie al sostegno economico e fisico dei genitori. Il nostro welfare resta uno dei peggiori d’Europa e aiuta meno chi ne ha maggiormente bisogno: nel periodo storico con il più alto tasso di disoccupazione giovanile, la riforma degli ammortizzatori sociali introdotta col Jobs Act va a penalizzare proprio i disoccupati con storie contributive più brevi e discontinue, cioè proprio i giovani e le donne, per i quali occorrerebbe, invece, introdurre una tutela ad hoc, come in altri paesi europei. Si pensi, ad esempio, alla Danimarca, dove basta la laurea per accedere ad un assegno settimanale di 3.390 corone (454 euro) per due anni. O si pensi alla Francia dove con il Revenue de solidarieté active, si erogano 1100 euro al mese per una coppia con 2 figli.
Il Fertility Day, in conclusione, va condannato perchè sposta la responsabilità della denatalità, addossandola alle giovani coppie che aspettano troppo a fare figli, invece che al vero responsabile: uno Stato che non sostiene i giovani, ma anzi li penalizza e, con campagne propagandistiche come questa, li umilia.
La Sinistra, Politica Interna, Società,
di: Luca Rossi,
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