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Fertility day: un’offesa al femminile

La crudele presa in giro dell'iniziativa della ministra Lorenzin

di: Alessia Galizia,

9 Settembre 2016

Categorie: Politica Interna

È ormai da giorni che tutti i canali mediatici sono invasi da polemiche riguardo l’iniziativa lanciata dal Ministro della salute Beatrice Lorenzin che prende il nome di “fertility day” e che si svolgerà il prossimo 22 settembre. Una campagna il cui scopo dovrebbe essere quello di coscientizzare circa il tema della fertilità ed incentivare alla natalità.
Il ministro Lorenzin innanzitutto ci ricorda che “la bellezza non ha età, ma la fertilità si”. Indubbiamente uno slogan corretto dal punto di vista medico – scientifico ma che lascia passare un messaggio piuttosto discutibile. Ci tengo a precisare che nessuno qui mette in dubbio che la maternità sia un’esperienza di vita straordinaria, ma voglio anche ricordare che non siamo rimasti fermi all’età della pietra, l’uomo e la donna si sono evoluti e responsabilizzati, ma soprattutto la società è passata attraverso innumerevoli stadi di cambiamento. Ciò fa sì che oggi non possiamo pensare che non ci sia legame tra natalità e condizioni di vita. Per una donna, laureata o non, mettere al mondo un figlio ad una giovane età, risulta attualmente un’ardua impresa. Questo perché spesso lo stipendio percepito è talmente basso da mettere in dubbio perfino la sussistenza economica della donna stessa, la quale indubbiamente non può pensare ad un figlio che non sarebbe in grado di mantenere.
Per non parlare poi delle garanzie che spettano, o meglio dovrebbero spettare alle donne lavoratrici. Diciamoci la verità, il principio di eguaglianza formale e sostanziale, che il nostro art. 3 della Costituzione promuove, non viene assolutamente applicato in questo campo. Una donna con a carico figli piccoli ad un colloquio di lavoro viene immediatamente scartata perché le aziende a lei preferiscono una donna indipendente, senza vincoli in tal senso, o ancor di più un uomo che il rischio di dover partorire ovviamente non lo correrà mai. E a queste situazioni non si sfugge nemmeno se si è una donna impiegata, ma in dolce attesa, che vuole usufruire del suo sacrosanto diritto alla maternità, perché quella stessa donna dopo 5 mesi (e mi sono mantenuta strettissima con i tempi) faticherà, e non poco, a riappropriarsi della posizione lavorativa che aveva guadagnato.
Inoltre, a tutto ciò, dobbiamo collegare il fatto che viviamo in una società che ci costringe ad una vita scandita da ritmi frenetici i quali rendono la nostra modernità, per usare un termine alla Zygmunt Bauman, “liquida”, una società, quella di oggi, dove non si ha neppure il tempo di dedicarsi alle proprie relazioni familiari. Questo rappresenta uno dei punti più cruciali: la società, in parte, ci vuole donne emancipate e lavoratrici, ma solo per essere pronte a rispondere alle esigenze economiche provenienti da pubblici e privati, attive su questo fronte tanto da impedirci, poi, di fatto, di occuparci dei nostri figli. Il mantenimento che però a noi interessa non è solo economico, ma anche affettivo: un bambino non si mette al mondo solo per aumentare la percentuale di natalità di un Paese, non stiamo parlando di un numero, ma di una persona con bisogni ed esigenze anche maggiori rispetto ad un adulto.
In più in questa campagna si riscontra un’imbarazzante superficialità nel trattare argomenti a dir poco delicati. La slide che sponsorizza la fertilità come bene comune non tiene conto di quanto in realtà questo tema attinga alla sfera più intima di noi donne. In primis non c’è il minimo tatto nei confronti di chi è stata privata dalla natura della possibilità di compiere una scelta in tal senso, inoltre non è detto che sia aspirazione comune di tutte quella di diventare madri. La donna ha mille sfaccettature, può ricoprire innumerevoli ruoli e fra questi anche, e non solo, quello di madre. Perché condannare, quindi, chi ha altri progetti per il suo futuro o chi i progetti ha provato a farli ma non è riuscita?
Sono una donna, ho solo venti anni e pretendo di decidere autonomamente riguardo al mio futuro. Non voglio uno Stato interventista in tema di natalità, piuttosto vorrei uno Stato attivo sul fronte delle politiche sociali. Vorrei uno Stato che prima di incentivarmi a procreare mi fornisca le condizioni per farlo, vorrei uno Stato che non mi costringesse a compiere una scelta fra maternità e carriera, vorrei uno Stato che non mi considerasse solo come madre, ma che mi considerasse prima di tutto come donna. E soprattutto vorrei un Ministro che non pensasse che per incentivarmi a mettere al mondo un bambino basti darmi in mano una clessidra e ricordami che l’orologio biologico fa tic tac.

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