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Chi guarda chi: giovani e politica

Chi guarda chi? Chi ascolta cosa?

di: Daniela Mastracci,

21 Dicembre 2016

Categorie: Cultura, Diritti, Filosofia Politica, Società

Chi guarda chi? Chi ascolta cosa?

Il problema è arrivare. Superare lo spazio fisico e simbolico che divide chi parla e chi ascolta-vede. Perché democrazia vuol dire che a votare ci vanno tutti i cittadini aventi diritto. E questo è bene, ma come realizzarlo? Mi ha colpito sempre l’analisi delle percentuali dei votanti e ingenuamente mi chiedevo perché scendessero, voto dopo voto. Non capivo perché donne e uomini che avessero il diritto, finalmente, di esprimere il loro parere, non andassero a votare.

Dal lato dei votanti deve esserci chiara la consapevolezza del diritto, di ciò che il voto è e può fare, che aver ottenuto quel diritto è risultato storico di immenso valore, che altrettanto può uscire dalla storia, venirne reinghiottito; che chi voteremo sarà nostro delegato alla scrittura delle leggi, al governo. Dal lato delle donne e degli uomini che vogliono farsi votare? A costoro cosa spetta? Devono arrivare: si assumeranno la responsabilità di portare in parlamento la voce di chi li avrà eletti? Gli interessi di una parte della società? Queste voci e i relativi interessi giocheranno partite legislative onde garantire a tutti le migliori leggi possibili? Saranno responsabili verso i loro elettori e manterranno le “promesse” fatte? CREDIBILITA’. Penso che sia la parola giusta, come anche la risposta alla domanda sul crollo delle percentuali. Perché se il voto deve essere eguale e libero, esso deve avere il suo riflesso nella composizione delle parti in parlamento. E deve essere rispettato quanto detto affinché li si eleggesse, quei deputati e quei senatori. Mantenere la parola data, battersi entro la democratica dialettica parlamentare, per portare alla luce problemi e interessi sociali diversi, ma aventi tutti lo stesso diritto di espressione e di potenziale risoluzione. E nell’interesse generale della Cosa Pubblica, come bene comune. E’ un impegno che richiede coerenza, fatica, ma è anche elargitore di emolumenti che ne fanno un lavoro duro ma lautamente retribuito: niente per niente. Faticosa responsabilità per ragguardevole retribuzione.

Ebbene c’è credibilità?

Mi pare che qualcuna delle ultimissime eclatanti questioni politiche e amministrative faccia da specchio ad una classe politica tutt’altro che credibile. E lo dico oggi, in ritardo forse? Rispetto ad una politica che da qualche decennio non gode certo di credibilità? Lo dico oggi perché oggi mi pongo il problema, non tanto dalla parte dei politici e degli amministratori, ma dalla parte dei giovani che hanno mostrato voglia di voto il 4 dicembre. Un numero enorme di ragazzi che hanno voluto far sentire le loro voci. Perché, chi amministra e governa, ha la stampa, la tv, oltreché facebook e tweeter… ma chi non governa e non è famoso, per una qualsiasi delle strane ragioni per cui si può essere famosi, non ha alcuno spazio di visibilità, nessuna voce. La voce può essere espressa senza suoni, un giorno, con una X su una scheda elettorale. Voce che potenzialmente potrebbe esprimere pensieri articolati, opinioni costruttive, idee nuove e insolite, linguaggi che non sanno di politichese; ma quelle voci potenziali hanno un solo simbolo a disposizione, senza articolare parole e ragionamenti. Allora quel simbolo vorrebbero legittimamente usarlo al meglio possibile: scegliere bene, scegliere l’opzione che riterranno più rispondente a tutte le parole che mai diranno, ma che deputano un altro a dirle per loro. Un mandato di eccezionale importanza e grandezza.

E che cosa vedono e ascoltano quegli stessi giovani subito dopo il loro altissimo no?

La nomina del nuovo Ministro dell’Istruzione, scuola e università. La persona del ministro Fedeli immediatamente fatta oggetto di valanghe di commenti sui social, decine di articoli sulla stampa. Perché? Per via di una laurea dichiarata e mai però conseguita? Di un diploma fantasma? Laurea mancata o la sua bugia? Probabilmente né l’una né l’altra cosa, ma lo spazio tra ministra e elettori preso assieme simbolicamente: chi rappresenta chi, e come soprattutto. Mi pare che il punto sia squisitamente simbolico. E mi trovo d’accordo con chi rileva che in un paese dove le friggitorie dei McDonald’s sono piene di laureati, dove i docenti della scuola e dell’università (con salari tra i più bassi d’Europa) sono stati trattati dagli ultimi governi come “mangiapane a tradimento”, dove l’ultima parola d’ordine dell’ex governo Renzi è stata ‘meritocrazia’, dove 100.000 giovani se ne vanno via dall’Italia, dove i curricula devono essere riempiti di titoli, dove gli sforzi sono oltre ogni immaginazione, per via di una crisi che investe tutti da dieci anni, dove sono stati venduti 125 milioni di voucher; ecco in un paese così, e molto di più di così, scegliere come responsabile apicale della Scuola e dell’Università una, magari degnissima signora, e lo si vedrà seguendo ciò che farà, persona che però, senza né laurea, né maturità, né esperienza sul campo, porterà a casa 200.000 euro annui come Ministro dell’Istruzione, equivale puramente e semplicemente ad una amara constatazione di mancata credibilità: perché il mondo dei politici risulta essere così ingiustamente diverso dal mondo delle persone che faticano per una declamata meritocrazia? Perché tale impari condizione? Una disparità indigeribile, che non può che allontanare i giovani da una politica che invece stanno provando a riprendersi.

E poi il caso Giachetti. Il senso profondo della frase di Giachetti peraltro è semplice da cogliere.
E di nuovo mi sento d’accordo se, nell’analizzare quella frase, si evince che in questo paese, alla tragica mancanza di credibilità della classe politica si cerca affannosamente di porre rimedio dando l’impressione della schiettezza e della sincerità a colpi di turpiloquio. In modo apparentemente scanzonato si cerca di ammiccare al proprio pubblico-elettore. Tendenzialmente, infatti, nessuno crede più a una parola di quanto dice un politico, proprio in quanto politico, visto il divario apertosi e riempito di mancate promesse; dunque come si fa a dare qualche peso alle parole? Semplice, un’accorta dose di turpiloquio serve a dare l’impressione al popolo che, sotto sotto, ribolla una fervida convinzione, un profondo sdegno che prorompe disordinatamente e in modo “popolare”. Atto a rendersi simpatici forse? Ma è proprio nell’ammiccare agli istinti, cercare lì il momento magico dell’ “arrivare” all’elettore, che si nasconde invece la pochezza del messaggio.

Ma questa squallida soluzione retorica, l’ultimo baluardo prima della dissoluzione, fa ancora presa sui meno accorti. Mentre è solo un travestimento del vuoto, politico e morale. Allora i giovani, se provano ad avvicinarsi alla politica e riprendersi la parola, con quale parola si confrontano? Con quale credibilità, appunto? Mi dolgo del fatto che alla politica non si creda più e non plaudo alle democrazie avanzate che dismettono il voto. Ci vedo un pericolo e ho provato a spiegarlo.

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