Care compagne e cari compagni,
il quadro di profonda crisi del sistema finanziario europeo non può essere banalizzato. E’ facile, troppo facile lanciare frasi ad effetto senza, prima, contestualizzare il quadro complessivo e, poi, definire quelli che possano essere gli scenari futuri che sottendono la frase ad effetto stessa.
Procediamo dunque con ordine.
E’ indubbio che la crisi del sistema finanziario abbia lontane radici, derivi dalla crisi del modello di produzione fordista e dalla necessità, per il capitale, di ripensare il modo di fare plusvalore. Da qui, solo da qui, nasce la progressiva privatizzazione del sistema bancario italiano da un lato e, dall’altro, la destrutturazione dell’impresa, con la riduzione di impianti e di forza lavoro voluta dal modello postfordista e la contemporanea finanziarizzazione dell’economia.
E’ in questo scenario che dobbiamo inserirci, se vogliamo davvero comprendere ragioni e dare risposte.
Purtroppo il tempo a disposizione non mi consente un intervento organico, ma alcune cose vorrei dirle.
A mio avviso il nuovo partito dovrà inserire, nel proprio programma, alcune cose fondamentali. La prima: affermare l’idea che di per sé il debito pubblico non è un male, se serve ad intervenite nell’economia reale con un’attenta pianificazione; l’attuale esplosione di tale debito, inoltre, non è causa della crisi ma la sua conseguenza, derivante dalla conversione del debito privato in debito pubblico. Sono dati ufficiali: nel quadriennio 2008 2011la Commissione Europea ha erogato aiuti alle banche private pari a 4500 miliardi di euro, più del 36% del PIL.
La seconda, sostenere l’idea della progressiva ripubblicizzazione di banche popolari e casse di risparmio, il nervo del passato sviluppo del sistema delle piccole e medie imprese, in un quadro che veda il ripristino dell’intervento pubblico nell’economia. Solo così il sistema bancario potrà tornare a svolgere il tradizionale, e benefico, ruolo di collante tra chi ha eccesso di liquidità da un lato e chi ha bisogno, invece, di liquidità dall’altro. Questo non tanto a livello nazionale ma a livello territoriale: il sistema di credito cooperativo è assolutamente inadeguato ed insufficiente e va sostenuto affiancandolo con un ritorno del sistema di casse e popolari.
La terza: il mutamento delle regole europee sull’emissione di valuta. E’ impensabile continuare a permettere alla banca centrale europea di stampare valuta, di venderla alle banche private a tassi ridicoli, e permettere poi a queste ultime di rivenderla a tassi usurari alle banche centrali nazionali. Occorre ridare il potere di stampare valuta a tutte le banche centrali nazionali dell’Unione.
Ed ancora: una modifica delle logiche di utilizzo del quantitative easing: è senz’altro utile che la BCE immetta liquidità nel sistema; molto meno utile consentire alle banche private di utilizzare tale liquidità esclusivamente, o quasi esclusivamente, per ripianare le voragini aperte, nei propri conti, attraverso la smodata esposizione in derivati.
Occorre ripensare, globalmente, il sistema dei controlli sul sistema bancario privato. Sistema bancario europeo e sistema bancario italiano. La governance va ripensata. E’ davvero assurdo, infatti, stupirsi di fronte a quanto accaduto, per fare un esempio eclatante, in Banca Etruria. Troppo facile dire: la Consob, o Bankitalia, ciascuna per le proprie competenze, non hanno fatto il loro dovere. Più corretto sarebbe dire: le autorità di vigilanza italiane non hanno più i penetranti poteri loro attribuiti nel passato; tali poteri sono stati loro sottratti, in una logica di deregulation che vuole che sia lo stesso istituto bancario a controllare cosa avvenga al proprio interno. E allora mi verrebbe da dire, con le parole di Ovidio: quis custodiet ipsos custodes, chi controlla cioè gli stessi controllori? Restituiamo alla vigilanza i poteri di controllo, rendiamoli maggiormente penetranti.
Un cenno, poi, sull’abuso dell’emissione di strumenti finanziari derivati. Dato del 2013: novecentonovantatremila miliardi di dollari di carta straccia in ci. Oggi sono, senza dubbio, di più. Evitiamo, però, frasi facili e luoghi comuni. Il derivato nasce, infatti, con una funzione benefica ed indispensabile: quella di coprire un’azienda da alcuni fra i principali rischi della propria attività, una sorta di assicurazione contro eventi non previsti: pensiamo al rischio di cambio, negli scambi commerciali in valuta. Dunque non demonizziamoli: semplicemente, bisogna porre strigenti limti all’utilizzo, consentirlo solo e comunque con finalità di copertura; inoltre, chi lo emetta deve provvedere ad una ragionevole provvista a garanzia della prestazione.
Sempre in tema più prettamente finanziario, Sulle vendite allo scoperto e gli strumenti con leva, che hanno effetti discorsivi del mercato, occorre essere drastici: vanno assolutamente vietati; nel contempo, la creazione di nuovi strumenti e prodotti deve avvenire solo a seguito di penetranti controlli da parte della vigilanza, che ne verifichi obiettivi finalità e target di cliente; la mifid 2, nuova disciplina dei mercati e degli strumenti finanziari che entrerà, si spera, in vigore il 1 gennaio 2018 va verso questa direzione ma troppo timidamente. Occorre, in buona sostanza, tornare ad un governo dei mercati e degli strumenti finanziari. In tale contesto, separare le banche d’investimento dalle banche commerciali, per rendere più trasparente l’attività svolta e permettere controlli più efficaci; prevenire, dunque, situazioni come quella di Deutche bank, sotto il mirino in questi mesi, che se crollasse porterebbe con sé conseguenze inimmaginabili.
Lasciatemi dire un’ultima cosa. In questo scenario, l’idea che si debba uscire dall’euro è un’idea pericolosa. Perché abdicheremmo, per lungo periodo, ad una necessità: quella di realizzare l’idea di Altiero Spinelli, della Carta di Ventotene, dell’unione dei popoli europei, di un’Europa dei popoli, che passa necessariamente (ma non solamente, sia chiaro, e non primariamente) da una moneta unica. E su questo, sull’ idea di Ventotene, le sinistre europee devono unirsi e non dividersi, perché cambiare si può. A partire dalla battaglia per dare maggiori poteri al Parlamento europeo, il potere di dare fiducia ma anche sfiducia alla Commissione, in particolare quando essa violi le regole del trattato, come troppo spesso sta succedendo in particolare in ambito finanziario.
Ripensare l’Unione europea dalle fondamenta, come strumento di affermazione di un nuovo ruolo del pubblico e di sperimentazione di nuove forme di cogestione; aumentare il bilancio europeo, finanziandolo anche attraverso la Tobin tax.
Si tratta di idee, di suggestioni; che se trovassero attuazione renderebbero però il sistema più equo, più giusto, più vicino ai cittadini ed ai loro bisogni reali.
Sono nato a Roma nel 1967, ho vissuto in Molise fino a 18 anni, poi per ragioni di studio ho vissuto prima a Teramo, poi a Parma dove mi sono stabilito definitivamente. Laurea in giurisprudenza, con tesi in Diritto delle assicurazioni. Faccio politica da oltre 25 anni, dal movimento studentesco della Pantera, per approdare tra le file di Rifonzazione comunista, partito nel quale sono stato per anni in segreteria provinciale, occupandomi di economia, lavoro e welfare. Ho lasciato Rifondazione nel 2014 e da allora lavoro, con la comunità di passioni di Esse per un nuovo, grande Partito della sinistra. Attualmente sono membro del Comitato operativo regionale dell'Emilia Romagna di Sinistra Italiana, nonchè co-portavoce provinciale.
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