Esse - una comunità di Passioni

La Gabbia

L'Umanista n° 25

di: Riccardo Ceriani,

7 Marzo 2017

Categorie: Diritti, Lavoro, Società, Stato Sociale

C- Mamma!!!?… cosa sono queste urla…!?
M- Non so, Cristina…non capisco da dove arrivano…!…senti…mha! sembra la radio…ascoltiamo…
R-“…nel video diffuso sui social, diventato virale in poche ore con migliaia di visualizzazioni, si vede uno dei dipendenti che riprende la scena dicendo “non si può entrare nell’angolo rotture della

L…” mentre inquadra se stesso, il collega che ne blocca la porta con un muletto e ripete più volte di averla “chiusa in gabbia”, e poi due donne, filmate dall’alto della protezione grigliata del locale esterno per i rifiuti, una delle quali urla disperata per farsi liberare…”

C- Mamma!!…sono urla umane!!…hanno chiuso una donna da qualche parte!!

M-…si Cristina, mi pare che sia proprio così…non ci posso credere…vai su google che vediamo il filmato…

C-…mamma…guarda…è incredibile!!…c’è una donna rinchiusa in un gabbione che urla con tutte le forze, mentre si tiene una mano come se si fosse fatta male, e fuori due uomini che ridono e riprendono tutto con uno smartphone…ma perché??

M- L’articolo che sto leggendo sulla stampa on line dice che due dipendenti hanno sorpreso due donne, forse residenti in zona in un campo Rom abusivo, a frugare nei cassonetti delle rotture del supermercato in cui lavorano come operai addetti al rifornimento degli scaffali, e le hanno rinchiuse facendo un filmato della scena!

C- Ma se erano cassonetti dei rifiuti, perché i dipendenti non le hanno lasciate fare?

M- Non saprei di preciso, Cristina; però ricordo quando io ho lavorato per alcuni mesi in un supermercato, pochi anni fa quando ancora non avevo il mio lavoro. Anche lì c’era un’area riservata alle cosiddette “rotture” ed era protetta contro i furti.

C- Ma perché? Se sono rotture, perché le proteggono dai furti?

M- Ricordo che nessuno poteva toccare quelle confezioni di prodotti perché si tratta di alimentari o altri piccoli prodotti di varie merci, ancora buoni ma che non si possono vendere perché i sacchetti o le scatole non sono più integri e, siccome i clienti non li comprano più, vengono appartati per registrarli nelle perdite e poi smaltirli nei rifiuti.
Oppure li regalano alle associazioni che si occupano di assistenza ai poveri e passano a ritirarli.
Anche i dipendenti non possono prendere quei prodotti, altrimenti, qualche collaboratore disonesto potrebbe danneggiare apposta le confezioni per poi portarseli a casa.

C-Allora, i dipendenti potevano limitarsi a sgridare quelle donne e farle allontanare. Perché le hanno chiuse? E perché hanno filmato tutto?

M- Alle volte le persone si comportano in modo violento per una specie di ripicca, una rivalsa per invidia o per senso di impotenza. In questo caso specifico, forse, i dipendenti si sono sentiti frustrati perché loro non possono prendere quei prodotti, pena il licenziamento in tronco, ma, siccome sono custoditi all’esterno e la gabbia non è sempre chiusa a chiave, qualcuno può rubarli e non gli succede nulla. Così, forse, hanno fatto i giustizieri accanendosi sulle colpevoli. Inoltre le due donne sono Rom, zingare di un gruppo accampato nelle vicinanze e sai quanti pregiudizi ci sono nei confronti degli zingari. Così quei due uomini si sono sentiti anche in diritto di riprendere la scena per dimostrare a tutti che loro sono gente in gamba, che punisce gli zingari, a maggior ragione se li sorprendono a rubare. In più si tratta di donne, cioè individui fisicamente più deboli di quei due giovani uomini. Sono sicura che se avessero sorpreso due uomini grandi e grossi a rubare, non li avrebbero rinchiusi, perché avrebbero avuto paura della loro reazione. Con due donne, invece, i più violenti ed incoscienti possono arrivare anche a fare cose del genere.
Queste sono forme emarginazione verso i deboli, verso gli stranieri e verso le donne, che purtroppo molti condividono e in genere sono atteggiamenti messi in atto e condivisi proprio da persone senza potere e senza ricchezze, in una specie di “guerra fra poveri”, causata e alimentata anche dall’assenza delle istituzioni che non sanno prevenire le situazioni di degrado e povertà, aprendo così la strada agli odi e alle soluzioni personali stupide e violente.
Ora saranno questi due operai a pagare il prezzo più alto, perché hanno sequestrato due persone: rischiano un processo penale grave per accertare responsabilità ed eventuali reati, e il licenziamento da parte del supermercato che subito si è dichiarato estraneo ai fatti e li ha pubblicamente moralmente condannati.

Conosco un uomo, ogni tanto parlo con lui di queste cose. Lui dice che non è razzismo. Dice che è qualcosa di peggio perché sono tutti vittime, sia chi infierisce, sia chi subisce. E le donne sono più vittime di tutti, perché subiscono la forma più vigliacca della violenza, quella che abusa della forza fisica impari e quella ancora peggiore, fra le mura domestiche, che pretende di essere motivata dall’amore.
Le istituzioni non sempre sanno proteggere queste deboli vittime, soprattutto le donne, come dimostrano le cronache giudiziarie in cui si vedono spesso i carnefici farla franca, e non sanno educare i persecutori e punirli quando è il caso, facendone quindi “vittime” a loro volta, anche se imperdonabili, perché non vedono limiti certi ai propri comportamenti, nessuno glieli insegna e glieli impone. Sono vittime della disgregazione sociale.

Quell’uomo è chiamato L’Umanista e dice che tutto questo non è razzismo.
È “disperazzismo”.
Ed io sono d’accordo con lui.

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