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LA LOTTA DI SILVIA

L'emergenza abitativa a Catania

Anche a Catania è emergenza abitativa. Secondo i dati contenuti in un dossier della SUNIA e della CGIL  , “nel 2014 sono stati eseguiti con l’ufficiale giudiziario 664 sfratti con un aumento percentuale del 6,58% rispetto all’anno precedente (nel 2013 gli sfratti eseguiti sono stati 623). Le richieste di esecuzione nel 2014 sono state 3112 con un aumento percentuale del 14,58% rispetto al 2013, anno in cui le richieste di esecuzione sono state 2716”.

A rendere il quadro ancora più drammatico è la decisione del governo Renzi che nel cosiddetto decreto Milleproroghe, per la prima volta dopo 30 anni, non ha inserito la consueta proroga degli sfratti per finita locazione, costringendo migliaia di famiglie a fare i conti sin da subito con la difficile ricerca di una nuova abitazione a costi proibitivi, considerato il rialzo dei canoni nelle grandi città e nelle zone ad alta densità abitativa.
Il governo ci aveva provato a indorare la pillola, annunciando un finanziamento straordinario di 446 milioni di euro per il fondo a sostegno dei casi di morosità incolpevole, che si presentano quando gli inquilini non riescono a pagare l’affitto perchè hanno perso il lavoro e non dispongono di entrate mensili certe, e per il fondo a sostegno dell’affitto a canone concordato.
In realtà si trattava di un bluff, e a dimostrarlo per la provincia di Catania ci sono dati inoppugnabili : sono soltanto 8 i casi di cittadini che hanno richiesto il sussidio, un dato di raggelante sfiducia nella capacità delle istituzioni di far fronte al disagio economico e sociale, e comunque nessuna domanda è stata sinora accolta, a causa di procedimenti amministrativi troppo lunghi e di una burocrazia che sembra fatta apposta per rinviare alle calende greche le erogazioni.
Per questo motivo il Comitato Casa per Tutti di Catania  ha convocato un presidio sotto la prefettura in coincidenza con la giornata nazionale SFRATTI ZERO e la mobilitazione dei movimenti per il diritto all’abitare e dell’Unione Inquilini.

Nei giorni scorsi il comitato aveva incontrato il direttore dell’Istituto Autonomo Case Poplari di Catania, il cui ex drettore generale è al momento sotto processo per abuso d’ufficio, falso informatico e truffa, ma il dirigente aveva chiaramente affermato che in questo momento l’ente non era assolutamente in grado di “fare nulla per rispondere all’emergenza abitativa”. Le richieste del presidio sono chiare :  di fronte a un’emergenza senza fine e a un governo che se ne lava le mani, si chiede al prefetto di Catania di adottare “misure di graduazione programmata dell’intervento della forza pubblica” nell’esecuzione degli sfratti. Un provvedimento che è stato già preso in altre parti di Italia e che, se non risolve il problema, servirebbe a dare un po’ di respiro alla situazione drammatica in cui versano centinaia di famiglie nel territorio etneo. Al presidio incontro Silvia, una donna con una storia difficile alle spalle e che è alla ricerca di un’ abitazione più dignitosa dove tornare a vivere e sperare. La sua vicenda drammatica è per certi versi esemplare ed ha tanta voglia di raccontarla. Così ci diamo appuntamento per l’indomani mattina presso un bar del centro. E’un fiume in piena Silvia, ha trovato un nuovo compagno e si è ricongiunta con la figlia dopo anni di separazione, ma sinora le istituzioni non le si sono dimostrate amiche e vuole che tutti conoscano la sua storia perchè “le ingiustizie che ho subito non si ripetano nuovamente”. Tutto inizia nel 2012 quando, dopo anni di maltrattamenti, trova la forza per separarsi dal marito. Fugge a Milano e inizialmente non si presenta all’udienza fissata per la separazione, l’ex marito la aveva continuamente minacciata e aveva paura per la sua incolumità fisica e per quella della figlia minorenne. Quando finalmente si incontrano le sue paure si materializzano: l’uomo prima tenta di investirla con la sua automobile e poi costringe con la forza la figlia a seguirlo . A seguito di questi fatti le forze dell’ordine e i servizi di assistenza sociale si convincono ad assegnare entrambe, madre e figlia, a un programma di protezione. Nel frattempo Silvia, che lavorava in giro per la Sicilia come giostraia, perde il lavoro e accanto alle minacce di un uomo violento deve fronteggiare una situazione di grave disagio economico. Viene “accolta” in una casa famiglia della provincia di Agrigento. Si tratta di un’associazione benemerita, organizza convegni sulla violenza contro le donne per “sensibilizzare le istituzioni” e fare da passerella ai soliti deputati regionali (in questo caso del PDL) sempre in cerca di visibilità e di consenso. I fatti che mi racconta sono oggetto di una denuncia circostanziata che Silvia ha trovato il coraggio di presentare il 14/03/2014, su di essi ha aperto un fascicolo la procura di Agrigento e per questo motivo li racconto in forma anonima, nell’attesa che le indagini facciano il loro corso e rispondano alla domanda di giustizia di Silvia e delle tante donne, bambine e bambini che la struttura ha ospitato in questi anni. Silvia mi racconta che all’inizio si trovava bene, ma con il tempo si rende conto che i metodi educativi di chi dirigeva l’associazione e dei suoi collaboratori hanno qualcosa che non va. Il cibo veniva razionato, gli ospiti , fino a 30 persone contemporaneamente, erano costretti a condividere spazi non adeguati, senza riscaldamento e avendo a disposizione l’acqua calda soltanto per circa due ore a sera. Le regole della casa dovevano essere rispettate rigorosamente. Appena arrivata, nota una donna che si teneva in disparte, nessuno le stava vicino anche solo per scambiare due parole. Silvia mi racconta che le ha chiesto il motivo, sentendosi rispondere di “non parlare con lei perchè altrimenti avrebbe passato dei guai”. La signora, infatti, era stata messa in punizione. Mi racconta anche di come spesso le ospiti venivano rimproverate, la dirigente rinfacciava loro che “non erano delle buone madri” e provava continuamente a metter loro contro i figli. A volte interveniva persino il marito della responsabile, urlando loro che erano delle “puttane” e che “si capiva perchè i mariti le avevano lasciate”. Le umiliazioni pubbliche e le punizioni fisiche erano all’ordine del giorno: bambini segregati per ore nello sgabuzzino in cui tenevano l’immondizia o rimproverati perchè mangiavano troppo. A un’ ospite somala, che ho sentito per telefono e che mi confema tutto, viene addirittura sbattuta la testa al muro, dicendole che “siccome non è italiana, deve ringraziare per quello che le danno”. Si tenta persino di dividerla dalla figlia, che ha la cittadinanza italiana, avvertendola che se non si comportava bene “avrebbe potuto dimenticarsela”. B. , la donna somala che per fortuna dopo aver lasciato la casa ha trovato assistenza altrove e ora vive meglio, mi racconta anche una storia curiosa : a un’ ospite polacca la dirigente si presenta “come una tedesca”, rivendicando gli orrori che i polacchi hanno dovuto subire durante la guerra ad opera dei nazisti, a cui ama paragonarsi. Silvia e B. sono costrette inoltre a lavorare a servizio di parenti della dirigente, ricevendo una paga giornaliera di 2,50 euro. Un bel giorno Silvia, ormai stanca per le angherie subite, viene messa alla porta mentre alla figlia viene fatto credere che è stata la madre ad abbandonarla. Negli anni sono state tantissime le donne che sono fuggite da questa casa, e così fa di notte la figlia di Silvia che è costretta a vagare per le campagne per oltre 7 ore prima di essere raggiunta a Caltanissetta da una congiunta. Ora le due donne vivono insieme, lei ha richiesto l’affido ma ha paura che glie lo neghino perchè la casa in cui attualmente vivono non soddisfa gli standard di legge previsti. “Evidentemente” – dice Silvia – “per la legge italiana è legittimo vivere segregati in un appartamento senza riscaldamento, senz’acqua e con cibo razionato, mentre non lo è cercare di vivere dignitosamente nella stanza che al momento posso permettermi”. Ho ancora nelle orecchie la voce dolce di B. che al telefono mi confessa di aver la voglia di dimenticare tutto e che l’esperienza in quella casa famiglia è stata la cosa più brutta della sua vita. Tu hai il diritto di dimenticare, cara B. , noi abbiamo il dovere di ricordare tutte le ingiustizie di questo mondo e di lottare insieme per trasformarlo.

 

Alberto Rotondo

Vive a Catania. Attivista politico antirazzista, antisessista e antispecista. Si interessa di questioni economiche e di politica europea e internazionale.

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