Il PCI fu un partito unito, rigido nelle sue regole interne ed incredibilmente grande… il più grande d’Europa.
Addirittura, alla sua sinistra, ci siamo permessi il lusso di avere tanti altri partiti comunisti come Democrazia Proletaria e Potere Operaio in cui militarono tantissimi giovani e giovanissimi provenienti dal movimento studentesco.
Il PCI non subì scissioni significative e finì per mantenere salda la sua egemonia politica a sinistra.
Le sue successive mutazioni (pds, ds e pd) sono riusciti, grossomodo, a mantenere l’impostazione politica secondo cui la battaglia si deve condurre all’interno del partito e non fuori!
Perseguendo ossessivamente questo modus operandi si sono giustificati i provvedimenti più impopolari e, soprattutto, hanno progressivamente spostato questo grande apparato politico sempre più a destra fino ad arrivare a Renzi e alle sue alleanze sgangherate e innaturali con AP e organizzazioni centriste varie.
Questo trend si aggrava soprattutto in Sicilia dove i democratici sono federati con organizzazioni politiche come Sicilia Futura dove si annidano vecchi politici, buoni per tutte le stagioni, come Salvatore Cardinale e Michele Cimino. La regia di questa “ambigua” operazione è tutta di Davide Faraone, uno dei fautori della tanto contestata “Buona scuola” e fedelissimo di Renzi.
Questa radicale metamorfosi nella leadership dei democratici ha spalancato le porte ad una dirigenza acritica che governa a livello nazionale ma che perde sistematicamente molte competizioni elettorali come a Roma, Torino, Monfalcone, Livorno, Parma e via discorrendo.
Al contrario,dove governano non brillano (come ad esempio in Campania con dall’enigmatico Vincenzo De Luca) e in altri casi, come a Palermo, preferiscono nascondersi dietro il carisma di un uomo forte come Leoluca Orlando. Ma il cucchiaio di legno fra i dirigenti del pd spetta al suo presidente nazionale Matteo Orfini su cui potremmo scrivere un romanzo noir. D’alemiano di ferro che convertitosi al renzismo ha gestito, come commissario, il pd romano dopo le discusse dimissioni di Ignazio Marino che ha avuto la sola colpa di essere un uomo lontano da Renzi. Infatti, è bastata un’ inchiesta giudiziaria per indurlo alle dimissioni. Ovviamente, dopo la bufera, Marino è stato assolto. Questa operazione ha regalato la capitale d’Italia alla mediocre Virginia Raggi del M5S i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Per quanto riguarda il candidato del pd, un tale Giachetti, si è rilevato l’ennesimo flop di regime.
Alla luce di questi ed altri fatti, fu così che una parte responsabile del partito, non esente da colpe nel recente passato, ha deciso di scindersi dal pd per dare vita, insieme a tanti compagni fuoriusciti da sinistra italiana, al movimento dei democratici e progressisti. Molti valutano positivamente questa scelta politica altri, invece, la considerano una vera e propria fuga dopo le varie sconfitte congressuali di Bersani e compagnia. Piaccia o meno, per chi come me viene dalla sinistra comunista divenuta extra parlamentare nel 2008, è una boccata d’ossigeno per il rilancio di una certa sinistra dilaniata da anni di minoritarismo e settarismo che ne hanno decretato di fatto la sua marginalità politica ed istituzionale.
Oggi, la nuova sinistra, rivitalizzata nelle forze e nella capacità di coinvolgimento e aggregazione, si ripropone di dare voce ad operai, minoranze, e soprattutto a tutte le vittime di contratti ambigui e sfuggenti determinati dall’ultima riforma del lavoro. Ad ogni modo, le elezioni regionali siciliane saranno la prova del fuoco della nuova sinistra . Claudio Fava si è presentato in ticket con Ottavio Navarra proponendo una coalizione larga, radicale e non marginare che coglie l’opportunità storica della prima vera scissione avvenuta nel partito che fu il PCI. Dunque, se le urne premieranno questo progetto, ci saranno le condizioni politiche per riproporlo a livello nazionale. Intanto, quel che resta del pd e, soprattutto di Ap (molti generali di Alfano hanno ufficializzato il loro sostegno a Musumeci) appoggeranno, ancora una volta, un candidato che non viene dalla loro organizzazione: il magnifico rettore dell’università degli studi di Palermo, Fabrizio Micari, fortemente voluto da Leoluca Orlando. La sinistra del Pd guidata dal ministro Orlando e compagni, pur appoggiando Micari, assume posizioni sempre più critiche nei confronti di questa classe dirigente regionale e nazionale. Gli “Orlandiani” e dissidenti vari si stanno riorganizzando bene e mirano apertamente alla guida del partito. Renzi è accerchiato e una probabile,fragorosa, sconfitta in Sicilia potrebbe avere un suo peso specifico notevole. La nuova sinistra non avrà nessuna pregiudiziale e sarà pronta al dialogo purché si ridefiniscano chiaramente e coerentemente il perimetro delle alleanze.
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