È il tempo della responsabilità, dicono in queste ore. Siamo d’accordo: sono necessarie grande responsabilità e posizioni chiare, nell’interesse del Paese.
Il disastro Monte Paschi non ha nulla a che vedere col referendum e chi sostiene il contrario, nella migliore delle ipotesi, non sa di cosa parla.
Le soluzioni avanzate fin qui sono semplicemente sconsiderate: forzare correntisti a partecipare al rischio azionario significa scaricare ancora una volta sui più deboli il prezzo salato di colpe che non hanno.
Per una volta, senza scorciatoie e tentennamenti, si pratichi il buonsenso: si proceda ad acquistare e rendere pubbliche quote di Monte Paschi, senza cedere alla tentazione di firmare altri assegni in bianco al sistema bancario o peggio ancora di costringere i piccoli risparmiatori a farlo.
L’esempio dell’amministrazione Obama, sul punto, ci dice che l’unico vero estremismo è ignorare la soluzione più ovvia.
E se è vero che gli accordi bancari europei oggi impediscono questa soluzione, allora è il momento giusto per metterli in discussione, come già da mesi fanno illustri economisti e perfino i vertici di Bankitalia.
Sono nato nel 1984 a Treviglio, un centro operaio e contadino della bassa padana tra Bergamo e Milano. Ho imparato dalla mia famiglia il valore della giustizia e dell’eguaglianza, il senso del rispetto verso ciò che è di tutti. Ho respirato da qui quella tensione etica che mi ha costretto a fare politica. A scuola e all’Università ho imparato la grandezza della Storia e come essa si possa incarnare nella vita dei singoli, delle classi e dei movimenti di massa. A Genova nel luglio 2001 ho capito che la nostra generazione non poteva sottrarsi al compito di riscattare un futuro pignorato e messo in mora. Per questo, dopo aver ricoperto per anni l'incarico di portavoce nazionale dei Giovani Comunisti e avere fatto parte da indipendente della segreteria nazionale di Sel, ho accettato la sfida di Articolo 1 - Movimento democratico e progressista, per costruire un nuovo soggetto politico della Sinistra, convinto che l’organizzazione collettiva sia ancora lo strumento più adeguato per cambiare il mondo.
di: Franco Astengo,
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