Questa mattina ho preso parte a un convegno organizzato dai nostri compagni e dalle nostre compagne a Verona su Enrico Berlinguer. Vi confesso che ho fatto tanta fatica a intervenire. Perché era ed è troppa, insostenibile e intollerabile, la distanza tra il suo insegnamento, le sue parole così severe, precise, taglienti, sulla questione morale e la cronaca di questi giorni, che ci fa intravedere una vergogna senza fine. Esiste — e dobbiamo essere noi a dirlo — una nuova grande questione morale nel Paese e a sinistra. Ed è, come diceva Berlinguer, una questione tutta politica. Non ha a che fare soltanto con la corruzione governata da un uomo a libro paga dei servizi segreti di uno Stato estero e di un Emirato. La nuova questione morale si nutre di un sottobosco di relazioni opache, equivoche, inopportune, nel quale non si capisce dove finisce la politica e iniziano gli affari e gli interessi privati. E chiama in causa direttamente ciò che sono i partiti: ora come allora soggetti sconnessi dalla vita delle persone, dai problemi della società, senza ideali e senza passione civile. Non più luoghi di elaborazione culturale e intellettuale ma troppo spesso gruppi di potere e comitati elettorali, senza processi democratici veri e trasparenti sia nella elezione dei gruppi dirigenti sia nella scelta dei candidati e degli eletti. Non basta evocare una diversità, occorre rimuovere le oligarchie dalla politica e riconsegnare i partiti alla società, ai lavoratori e alle lavoratrici, alle persone comuni. Siamo titolati a parlare di Berlinguer solo se ci impegniamo a reagire a questa nuova questione morale e dimostriamo che siamo davvero, ancora, diversi.E la diversità, se siamo capaci di praticarla, non solo di evocarla, va di pari passo con un altro ingrediente. Arrivo al percorso costituente. Si tratta dell’autonomia politico-culturale, di un modo autonomo di guardare la società, il mondo. La sinistra ha perso — ce lo siamo detti dopo il 25 settembre — perché ha perso un punto di vista autonomo sul mondo, un orizzonte, una prospettiva critica rispetto al capitalismo. Non solo per errori contingenti! Ma perché in tutti questi anni tutto il centro-sinistra, il Pd in primo luogo, ha garantito in questi anni la tecnica del governo, la conservazione di un equilibrio sociale e di una distribuzione della ricchezza che si è spostata progressivamente dal lavoro alla rendita e ai profitti. E non ha maturato, neppure in questi anni di crisi e di pandemia, la consapevolezza di un cambio di passo. È qualcosa di più profondo persino della lettura degli ultimi quindici anni: il giudizio su questo ultimo scorcio di neo-liberismo, sul rapporto tra Stato e mercato. È la mancanza, strutturalmente, di una lettura critica del capitalismo e di una proposta di alternativa. Perché questo Pd, sino a qui, la sua costituzione materiale, la sua cultura politica, i suoi legami sociali sono imbrigliati dentro una camicia di forza liberal-democratica. Allora questa fase costituente è una occasione vera, da non sprecare, innanzitutto per noi che l’abbiamo chiesta e sollecitata per anni, se mette in discussione tutto questo. Se c’è spazio, c’è cittadinanza, per una visione critica, per un punto di vista critico. Non possiamo chiamarci fuori ma dobbiamo pretendere che sia vissuta sul serio, che sia l’occasione per riflettere sul serio, a partire dai fondamentali. Dobbiamo starci dentro e fare battaglia politica. Con coraggio, come ha detto Roberto. Che è il contrario della rassegnazione, dell’andare avanti perché non c’è altro da fare. Occorre proporre a testa alta, innanzitutto, il cambio del nome, perché i nomi sono importanti, indicano i contenuti. E chiedere che il processo costituente non si concluda con i gazebo, ma vada fino in fondo.Nel frattempo, infine, non dimentichiamoci di fare opposizione a questo governo, ritrovando la nostra ragione sociale in due questioni fondamentali: nella pace, che vuol dire innanzitutto non votare un nuovo decreto di rifinanziamento degli aiuti militari all’Ucraina.E nel rapporto con il lavoro e cioè concretamente con le lavoratrici e i lavoratori, a partire da quelli delle crisi aziendali aperte, dall’ex Ilva di Taranto all’ex GKN di Campi Bisenzio, dalla Blutec alla Jabil di Marcianise. Con quei lavoratori che passeranno il Natale in cassa integrazione o senza stipendio, con quelli che vivono nel ricatto del lavoro nero e della precarietà. O ricominciamo da qui, rifondiamo da qui, oppure non rifondiamo nulla. E sarebbe un peccato capitale, simile a quello di chi ha tradito la nostra fiducia e la nostra comunità politica.
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La Costituente, La Sinistra, Politica Interna,
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