Nella prima parte del suo bel libro dedicato a Lucio Magri (”non post-comunista, ma neo-comunista”) Simone Oggionni dedica una densa analisi allo svolgimento dell’ormai celebre convegno sulle tendenze del capitalismo italiano, organizzato dal Gramsci nel marzo del 1962 (quando si era già avviato il declino del boom).
In quel convegno, svolto ancora durante la segreteria Togliatti (che non partecipò a quell’incontro così come Ingrao) la vulgata corrente continua riconoscere un punto d’avvio di quel confronto dialettico all’interno del PCI che poi sarebbe sfociato nell’XI congresso (il primo senza Togliatti) con l’evidenziarsi, nelle forme possibili allora, di una più o meno esplicita diversità di vedute tra due diverse visioni interne nel partito.
Da quel congresso poi sarebbe discesa la presa di distanza da parte degli esponenti di quello che sarebbe diventato il gruppo del “Manifesto”, la fondazione della rivista, la radiazione dal partito.
Ma non è il ricordo di quell’itinerario l’occasione di questo intervento.
Torno al convegno del Gramsci: prima di tutto nella sua analisi Oggionni conferma quanto già Magri aveva indicato nel suo “Il Sarto di Ulm”.
Non fu quella, infatti, l’occasione di contrapposizione tra Amendola e la sinistra del partito così come, appunto, si è stati portati a credere nel corso degli anni: da parte di Amendola non c’era, sostanzialmente, una visione del capitalismo italiano come “straccione” alla fine da sostenere anche attraverso l’operazione del centro-sinistra in quel momento in via di gestazione.
Il confronto dialettico si sviluppò invece attorno ad una visione di variante nell’analisi dello sviluppo capitalistico. Un confronto portato avanti nel segno dell’individuazione delle contraddizioni da far emergere; sul ruolo della classe operaia e della sua autonomia (versus un’idea di “blocco storico” che in quel momento era comune a Togliatti e ad Amendola); sulla valutazione delle forme e delle dimensioni di “opulenza” all’interno della società italiana di allora e della relativa critica al consumismo. Una tendenza consumistica che, in realtà,a livello di massa stava muovendo i primi passi dopo gli anni faticosi della ricostruzione post-bellica, accompagnati da una repressione molto feroce verso operai e contadini e da una costante tensione di marginalizzazione esercitata verso il Partito Comunista.
Ho riassunto il tutto molto schematicamente perché l’intenzione era quella di comparare quella vicenda alla situazione di oggi e porre così un interrogativo: nello stratosferico sviluppo del capitalismo a livello globale e nelle forme che questo ha assunto nella realtà europea e nella debole condizione italiana possono essere identificate forze capaci di disporre di una propria autonomia di identità e di condizione sociale per sviluppare una forma efficace di contrapposizione, come era stato nel caso in allora da parte di una classe operaia sicuramente egemone, in un Paese ormai trasformato dalla antica dimensione contadina?
Oggi è possibile pensare ancora alla formazione di un” blocco storico”raccolto attorno ad un piano ideale e progettuale?
E’ evidente su questo punto la dimostrazione di una impotente inattualità delle forze di liberazione sociale.
Rimangono del tutto incerte, se non ignote, le possibili caratteristiche “fondative” di una base del cambiamento in una situazione nella quale il combinato disposto tra le più forti contraddizioni sociali e i meccanismi comunicativi e culturali spingono ancor di più verso l’individualismo competitivo.
Quell’individualismo competitivo che poi finisce con il raccogliersi, sul piano politico, nella dimensione di una “democrazia recitativa”, priva di reale capacità di rappresentanza e ormai tendente a trasformarsi in “recitazione della democrazia”.
A mio giudizio, in questo frangente così complicato, emerge una sola possibilità per recuperare l’idea di una politica che non sia formato semplicisticamente da un intreccio tra lobbies diverse che concorrono a formare nuclei contrapposti di partecipazione alla governabilità.
Presunti soggetti politici in realtà formati da lobbies corporative che non esercitano alcuna funzione sociale, limitando proprio la governabilità ad una funzione ancillare verso tecnica ed economia.
E’ questo il punto di difformità “storica” con la fase analizzata da Oggionni rievocando il famoso convegno del Gramsci.
La sola possibilità per reagire consiste, infatti, nell’esercizio “forte” dell’autonomia nella capacità della costruzione politica utilizzando il ritorno all’esercizio di una “tensione illuministica”: l’esatto contrario di quella visione populistica dell’immediatezza che è parsa per un momento vincente.
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di: Simone Oggionni,
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