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Ricominciamo dal festival di Sanremo

Quando la musica è più avanti della politica

Ecco, si è toccato il fondo. La sinistra non c’è più, solo un naufrago che annaspa aggrappato alla tavoletta di legno del tre per cento. Il centro-sinistra, per parte sua, era da tempo un guscio vuoto, risolto nelle scorribande di un avventuriero isterico e della sua truppa di vacui arroganti: politique d’abord, senza un’idea, senza un progetto.

Non hanno fatto tutto da soli, la sinistra e il Pd. Perché la crisi viene da lontano. Dalla globalizzazione, accolta con entusiasmo ovunque, nella socialdemocrazia europea, come una grande occasione. L’occasione di una vita nuova. Che ben presto si trasforma in un bagno di sangue sociale, fra dislocazioni produttive e strapotere della finanza. Tracollo dell’uguaglianza, consistenza politica del lavoro ridotta a zero, forme di sfruttamento degne dell’Ottocento. Dispersione e disperazione. Rabbia. E puntuale ripresa della destra, anche estrema, a guidare la solita guerra feroce e ignorante dei penultimi contro gli ultimi.

Ma ci hanno aggiunto anche molto del loro, la sinistra e il centro-sinistra, in Italia. A cominciare dalla stessa logica che ha dato i natali al Pd: mettere insieme una sinistra in crisi d’identità e un “centro” in via di estinzione, sbrancato verso gli estremi del rancore e del risentimento. Il risultato elettorale è la tomba definitiva del prodismo, non solo di Renzi. Non ne sembra ancora consapevole l’attuale gruppo dirigente, attanagliato dalle contingenze più immediate e pericolose: assumersi la responsabilità di garantire un governo al Paese, col rischio molto concreto di fare da stampella ad altri, o continuare nel gioco disperato al rialzo del suo ex segretario, restando col cerino in mano di nuove elezioni, dove verrebbe relegato a variabile insignificante nello scontro cruciale fra destra e 5Stelle. Alternativa terribile, sul piano tattico. Succede, quando in politica non ti sei costruito una via alternativa, nel caso ti trovi sbarrata quella principale. Un altro capolavoro di Renzi, fra i tanti. Ma la radice è strategica. È nell’idea stessa del Pd.

Liberi e Uguali finisce al di sotto di ogni previsione. Sbagliate tante cose. L’uscita troppo tardiva dal Pd, da parte di molti. La scelta del leader, dopo tante titubanze e giravolte. La formazione delle liste. Non è questione di anagrafe, ma di prospettive politiche. Che un gruppo dirigente cerchi di garantire se stesso non è di per sé un male, ma servono anche proposte nuove, emblematiche per i problemi che intendi rappresentare: le sofferenze nel mondo del lavoro, l’emarginazione sociale, la scuola, il rilancio dei servizi pubblici primari. Altrimenti «non ti si vede», specie se finisci per risolvere la tua prospettiva in una sorta di improponibile e ben poco entusiasmante ritorno a «prima di Renzi». E la fiumana che affoga il Pd travolge anche te.

Al Festival di Sanremo vince una canzone che parla del terrorismo, e delle conseguenze che può produrre nella vita di ciascuno di noi. Al secondo posto si piazza un gruppo bolognese che predica la «vacanza», il rifiuto all’asservimento nel conformismo e nel consumo; indossano magliette che recano i nomi di alcuni operai della Fiat, licenziati perché sindacalisti, riassunti da una sentenza del tribunale e tuttavia costretti a restare a casa, pur percependo il salario; e cantano accompagnati da chi ancora vive la stagione della spontaneità (i bambini) e da chi la spontaneità ha saputo riconquistarla (una vecchia che balla). Spontaneità, e un’idea diversa di bellezza. Tra i cosiddetti “giovani” arriva secondo un brano davvero toccante sul naufragio di un barcone di migranti, raccontato con lo sguardo di un bambino morente. Sono solo canzonette, non saggi della Scuola di Francoforte. E sono spettacolo, con le sue inevitabili dinamiche accattivanti e le sue facili mozioni degli affetti. Nel mondo dello spettacolo, in ogni caso, il Festival di Sanremo ha saputo raccontare le sofferenze della società meglio di quanto la sinistra abbia saputo rappresentarle in quello della politica. Dà il senso della disfatta. Ma indica anche l’unico orizzonte dal quale sarà possibile ricominciare.

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