L’annuncio della costituzione di gruppi unitari della sinistra in Parlamento è un’ottima notizia. Come lo è l’avvio di un processo costituente che ha come obiettivo la creazione di un partito unico della sinistra italiana, affiliato al partito della Sinistra Europea, e luogo attivo di partecipazione politica per quanti non si rassegnano a subire passivamente i duri colpi dell’austerità neoliberista dell’Unione Europea , dei vincoli di bilancio e dei ricatti della tecnofinanza.
Tuttavia perché il processo vada avanti occorre che le difficoltà e i nodi controversi vadano affrontati e sciolti.
La storia non è il regno della necessità e il suo sviluppo vive nelle gambe e nelle intenzioni degli uomini e delle donne che la abitano, nei loro desideri, nella loro volontà, nelle vittorie e nei fallimenti, che pure qualcosa dovrebbero insegnarci.
Volendo fornire alcuni spunti utili per la riflessione, mi soffermerò su uno dei punti più controversi della storia della sinistra italiana degli ultimi anni . Mi riferisco alla questione delle alleanze.
Gran parte di noi in questi anni ha partecipato direttamente o indirettamente alla vita del partito della Rifondazione Comunista. Un partito che, detto senza alcun intento polemico, ha a mio avviso esaurito la sua funzione storica. Eppure negli anni è riuscito a intercettare le speranze di cambiamento e le lotte di milioni di donne e di uomini diventando in alcuni momenti un punto di riferimento per tutti.
Penso di non sbagliare se affermo che basterebbe recuperare queste storie di impegno e di attivismo per partire con il piede giusto, e contare su una base sociale sufficientemente ampia e motivata per un nuovo grande partito della sinistra antiliberista.
La storia di Rifondazione tuttavia è stata attraversata da una serie infinita di scissioni, la maggior parte delle quali dovute al nodo delle alleanze per il governo nazionale e dei territori. Ce n’è abbastanza per riflettere e non compiere gli stessi errori. Come?
Innanzitutto credo che la questione del rapporto con il Pd e della partecipazione a eventuali giunte di centrosinistra, così come è stata sinora posta, sia un chiaro esempio del complesso di inferiorità da cui non riesce a liberarsi una buona parte della sinistra italiana.
Noi non siamo i “fratelli separati” del partito democratico e la svolta della Bolognina è avvenuta più di venti anni fa. La nostra proposta politica è autonoma e alternativa a quella rappresentata dal partito della Nazione e dei suoi alleati di governo. Le vicende degli ultimi giorni, con il ruolo giocato da Verdini nella controriforma della Costituzione ci ricordano che il PD di Renzi conta su ben altre “fratellanze” per il suo progetto di governo.
Per questo motivo non mi scandalizza l’idea che in certe città si possa pensare di costruire un’alleanza di governo con altre forze politiche. Si può fare a determinate condizioni senza necessariamente dover vendere l’anima al diavolo.
Il PCI nel secondo dopoguerra ha formato un’intera classe di amministratori onesti e competenti, governando le città operaie in coalizione con i socialisti che, almeno dagli anni sessanta in poi, avrebbero partecipato alle coalizioni di governo a guida democristiana.
Lo poteva fare perchè manteneva una chiara e salda autonomia di elaborazione e proposta politica.
Non è un caso, quindi, che a porre con maggior forza la questione delle alleanze siano quanti, e mi riferisco ovviamente a Civati e alla sua neonata associazione Possibile, fino all’altro ieri militavano nel partito democratico. Dovrebbero elaborare in fretta il lutto della loro separazione e con spirito cooperativo mettersi al servizio di un progetto autonomo e alternativo.
Ciò detto. Non mi sembra utile nè auspicabile congelare il dibattito attorno a questioni che potrebbero ritardare il processo unitario e il suo radicamento.
Se in questa fase la questione delle alleanze alle prossime amministrative approfondisce i solchi, potrebbe tranquillamente essere messa da parte.
Con un’avvertenza.
La sinistra in alcuni casi potrebbe ancora presentarsi divisa alle prossime amministrative.La cosa importante è ricondurre la dialettica politica entro ambiti di civiltà e di responsabilità : non sono dei traditori i compagni che dovessero scegliere di dare continuità alle esperienze di governo cittadino che li ha visti protagonisti, e non sono settari i compagni che vogliono far vivere l’alternativa al di fuori di recinti istituzionali sempre più angusti e difficili da abitare
Per Hannah Arendt l’amicizia è “essere e pensare con la mia propria identità dove io non sono; non generica immedesimazione, né accattivante empatia, ma dal sé fare spazio all’altro, con il proprio concreto esistere intraprendere il viaggio politico e pubblico verso la diversità in me e fuori di me, accettando il cambiamento di ciascuno /a che ne deriverà”. Se è questo essere amici, a maggior ragione dovrebbe esserlo dirsi compagni.
Vive a Catania. Attivista politico antirazzista, antisessista e antispecista. Si interessa di questioni economiche e di politica europea e internazionale.
La Sinistra, Politica Interna,
di:
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di: Luigi Nappi,
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