Nel 1557 Filippo II d’ Asburgo, alle prese con una difficile crisi di liquidità, decise di dichiarare bancarotta. Anni di guerre di conquista e di spregiudicatezza politica gli avevano lasciato in eredità un impero vastissimo, l’ “impero su cui non tramontava mai il sole”, ma allo stesso tempo l’indebitamento statale era diventato insostenibile, mentre le entrate fiscali non bastavano più a ripagare gli interessi e a rimborsare i capitali ai creditori.
L’ascesa politica di Carlo V e degli Asburgo era stata favorita dai grandi banchieri : il solo Jakob Fuegger, della famosa dinastia di banchieri tedeschi, aveva messo a disposizione di Carlo l’impressionante cifra di 500.000 fiorini per comprarsi il favore dei grandi elettori, che lo avrebbero elevato al soglio più alto del Sacro Romano Impero.
Ma con il figlio Filippo la ragion di stato ebbe il sopravvento, e i Fuegger furono costretti dal sovrano a perdere i capitali ingenti che avevano prestato all’impero e alla sua causa.
Ai Fuegger non restava altra scelta che bruciare nel camino i titoli di credito di cui disponevano, come ben raffigurato in un famoso quadro di Carl Ludwig Friederick Becker in cui si scorge Jakob Fuegger, che manda letteralmente in fumo i suoi investimenti sotto lo sguardo impassibile dell’imperatore.
L’arte ci viene incontro per svelare, con la forza che gli è propria, lo stato della fitta trama di relazioni che intercorrono tra potere politico e potere finanziario in un passaggio storico fondamentale, in cui alla fine è la finanza a dover cedere di fronte alle decisioni del Principe, del sovrano “superiorem non recognoscens”.
Ma c’è un altro aspetto della questione.
I poteri in gioco nel quadro di Becker sono poteri “visibili”, hanno il volto di Jakob Fuegger e di Filippo II.
Oggi uno degli elementi su cui siamo chiamati a ragionare, e ai quali con un’ apprezzabile dose di coraggio provano a dare una risposta Paolo Ercolani e Simone Oggionni nel loro Manifesto per la sinistra e l’umanesimo sociale, è il cambio di paradigma per cui “ fino agli ultimi decenni del secolo scorso, il governo di una nazione, che fosse esercitato da un monarca assoluto, da un dittatore o da un leader eletto dal popolo ha sempre presentato la caratteristica fondante di essere visibile e quindi definibile”, mentre oggi “il potere, il vero potere che stabilisce ciò che altre istituzioni dovranno codificare e ratificare, si è fatto invisibile”.
Non è una novità la tendenza storica del grande capitale a nascondersi, camuffarsi e quasi sfuggire alla nostra vista, come non è un caso che il nome con cui vengono tuttora designate in molti ordinamenti giuridici le società per azioni è quello di società anonime.
Ma oggi siamo in presenza di un notevole salto di qualità, in cui grazie all’alleanza tra economia e tecnica, che da Ercolani viene rappresentata marxianamente nei termini di una fusione fra struttura e sovrastruttura, ci troviamo ad avere come avversario un “meta –potere economico che il Capitale esercita nei confronti degli Stati, ovvero a una forma di potere di nessuno”.
Una forma di potere talmente pervasivo e potente da subordinare alla “ragione governamentale” e disciplinare che lo sostiene ogni campo dell’umano, contando sul sostegno del pensiero unico e necessario dell’ideologia dominante e accreditandosi con forza come “indiscutibile e impossibile da sostituire con una valida alternativa” .
Per questo motivo l’umanesimo sociale, la proposta politica che viene dagli autori de Il manifesto, “non mira ad abbattere il capitalismo o l’economia di mercato, operazione storicamente fallimentare e velleitaria, bensì a guidarne quanto più è possibile le dinamiche in vista di un ritorno alla centralità dell’uomo e dei suoi bisogni, nonché all’affermazione della giustizia sociale”.
Sin qui il lavoro teorico di Ercolani che, pur nella sua inevitabile incompiutezza, ha il merito di porre con efficacia i termini della questione . A completare il discorso interviene la seconda parte del libro, quell’officina politica che nasce dalla lunga esperienza di militanza e dalla riflessione attenta di Simone Oggioni.
Il discorso di Oggionni muove dalle urgenze del tempo presente, dalla necessità di “scrivere una nuova storia” e di “organizzare un’alternativa che abbia un senso compiuto, una forza egemonica, una grande ambizione che non tradisca le radici e che al contempo vinca e convinca nel presente per il futuro”.
Lo aiuta nell’analisi una solida formazione politica e un saldo ancoraggio a una lunga storia, che ha ereditato e attraversato negli anni della sua militanza nelle organizzazioni della sinistra italiana.
I riferimenti culturali sono espliciti, ma Gramsci, Hobsbawn, Benjamin, Horckeimer, Adorno, Pasolini, Calvino, Berlinguer fino ad arrivare a Lucio Magri e Pietro Ingrao, a cui lo scritto è dedicato (giusto per citarne alcuni) , non sono “santini per un Pantheon démodé” .
Oggionni ha ben presente la lezione di Benjamin, che criticava quella forma di cultura oziosa e contemplativa tipica delle esistenze “protette” e che, escludendo le culture della maggior parte dell’umanità, cova in sè i germi della barbarie.
Come è implicito il riferimento a quel Don Chisciotte che si colloca sulla linea di confine tra due epoche distinte nell’archeologia del sapere di Foucault. Per Don Chisciotte i libri sono “più il suo dovere che la sua esistenza e deve consultarli senza posa per sapere che fare e che dire e quali segni dare a se stesso e agli altri per mostrare che la sua natura è la stessa del testo dal quale è uscito”. Un’attitudine donchisciottesca che è ben visibile nella ripetizione liturgica di pratiche ormai obsolete di quanti hanno abbandonato il terreno della lotta per la trasformazione della società, rifugiandosi negli ideologismi innocui degli sconfitti.
Scriveva Benjamin che il metodo dialettico deve fuggire dalla tentazione dell’immedesimazione emotiva con i protagonisti della storia passata, anche perché “l’immedesimazione con il vincitore risulta sempre vantaggiosa per i vincitori di ogni tempo” e quindi anche per i vincitori di oggi.
In questo senso per Oggionni “la teoria non è la retorica che recepisce e replica leggi ineluttabili del processo storico che vigono al di sopra della realtà ma è la forma attraverso cui soggettivamente partecipiamo alla Storia”.
E allora la domanda è : attraverso quale forma possiamo partecipare alla Storia nel tempo presente ?
Un quesito che ritengo fondamentale nel momento in cui muove i primi passi il processo costituente del nuovo partito della sinistra italiana.
La proposta di Oggionni è articolata, ma non perde di chiarezza e concretezza quando propone di ripartire dalla Politica.
Se la rivoluzione neoliberale ha portato a compimento il suo disegno egemonico, si deve anche al progressivo arretramento della politica e della democrazia. Una vittoria che ha ricercato e conquistato l’adesione passiva di gran parte di quelle forze politiche, sociali e intellettuali che per tradizione, origine e cultura dovevano porsi al servizio degli interessi delle classi subalterni.
Per realizzarsi ha potuto contare su una sorta di statalismo capitalista.
Se “il battesimo di fuoco” del neoliberismo è stato il Cile di Pinochet, in presenza di una società civile più ricca e articolata come quella europea, ha dovuto inventarsi tecniche più raffinate per affermarsi nella lotta per l’egemonia.
Le politiche della Thatcher in Gran Bretagna segnano idealmente la fine del trentennio glorioso, in cui le forze del lavoro e del progresso avevano conquistato significativi diritti nella loro lotta contro lo sfruttamento capitalistico, ma senza dubbio il progetto dell’Unione Europea, così come è stato realizzato, è “il paradigma più cristallino del processo di ridefinizione neoliberale del concetto di democrazia”. La tecnocrazia di Bruxelles, i trattati della vergogna, l’indipendenza della Banca Centrale Europea e l’analisi obiettiva dello scontro a cui abbiamo assistito nel corso del 2015 tra il governo del popolo greco e la Troika, ci devono portare alla consapevolezza che oggi è necessario “liberare lo Stato dall’occupazione del capitale e recuperarne la funzione sociale e redistributiva”.
E’ questo l’obiettivo che, senza mezzi termini, dovrebbe porsi il nascente partito della sinistra.
Ovviamente Oggionni è consapevole che la struttura statale, così come immaginata nelle democrazie liberali, è una macchina essenzialmente capitalistica, il “capitalista collettivo ideale” nella nota definizione di Engels. Ma con sapienza e arguzia bisogna avere il coraggio di incursioni in territorio nemico, per conquistare casematte e nuovi presidi da cui rilanciare l’offensiva.
La conquista del governo non deve in alcun modo concepirsi come una nuova forma di “assalto al cielo”, ma deve essere l’obiettivo dichiarato di un partito che rivendichi la sua autonomia e predisponga collettivamente i suoi programmi per una decisa avanzata sul terreno della democrazia e della giustizia sociale.
Un ultimo accenno a una questione ben presente nel dibattito a sinistra degli ultimi anni.
Oggionni riconosce l’importanza di Horckeimer e di Adorno nell’aver individuato la mercificazione, il processo di riduzione a merce di ogni ambito del reale, come la nuova forma che assume il capitalismo nella sua età matura.
La quantità di contraddizioni e di conflitti che genera sono immensi, e sono fondamentali alla crescita democratica della società tutte quelle forme di autogoverno e di cooperazione sociale che ritagliano oasi di resistenza attiva e di economia alternativa in una società dominata dalla logica del profitto.
A queste esperienze il nuovo partito deve guardare per stringere alleanze e costruire un blocco sociale che sostenga l’alternativa, ma questo non significa che abbia perso la sua centralità la questione del lavoro . Se è indubbio che l’irrompere della finanza, del conflitto tra l’uomo, la natura e le altre speci , la rilevanza del lavoro autonomo e intellettuale nelle società postindustriali avanzate allargano l’area della conflittualità sociale e politica, è sempre sul piano della difesa dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici che ancora oggi si misura l’efficacia di un progetto politico di alternativa e di progresso.
Oggionni cita nel suo manifesto il monito di Mahler a “non adorare le ceneri ma a custodire il fuoco. Il fuoco di un progetto di cambiamento e di rottura che passa necessariamente dall’indicare linee nuove per un nuovo modello di società” .
Un monito che spero in tanti possano raccogliere per tornare protagonisti della Storia.
Vive a Catania. Attivista politico antirazzista, antisessista e antispecista. Si interessa di questioni economiche e di politica europea e internazionale.
La Sinistra, Politica Interna,
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di: Simone Oggionni,