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Appunti sugli ultimi 20 anni

Da Seattle a Oggi

Il mondo ” nuovo”, spalancato davanti agli occhi increduli di una sinistra che prima di non piacere non si piace più, appare fatto di strappi drammatici, ferite lancinanti, rincorse per inediti appuntamenti ed approdi futuri. Il cambio d’epoca sta avvenendo e porta con se, come sempre nei passaggi d’epoca e più ancora di sempre, come una mutazione non solo sociale e degli assetti dei poteri, ma perfino antropologica e civile.

DA SEATTLE AI CENTROSINISTRA
Lo avevano, forse, intuito i grandi movimenti giovanili e semi-proletari che a cavallo tra la fine del novecento e gli albori degli anni 2000, da Seattle fino a Genova 2001, puntarono criticamente una globalizzazione da cui guardarsi. Li chiamarono – ricordate – un pò semplificando “no global”. In realtà chi si mobilitò in quel passaggio cruciale fu animato da una visione cosmopolita. Compreso che ormai col dominio di economie transnazionali Stato per Stato non si cavava più un ragno dal buco, quell’accumulo di intelligenza sociale tentò la carta di globalizzare il conflitto. In fondo fu l’altra faccia del tentativo di governare la tendenza impetuosa a integrare economie, perfino sperando di trarne benefici sociali, che parallelamente ai movimenti tentò il cosiddetto “centro sinistra mondiale” di allora. Vi fu, ora ci è più chiaro, in quei tentativi di indirizzare il nuovo modello globale ingenuità e ottimismo. Ma a chi oggi si strappa le vesti per i tanti errori ( che pure vi furono ) è bene ricordare che quella sfida generosa la sinistra l’ha perduta da entrambi i versanti. Sia quello di governo che quello dei movimenti.

L’ARRIVO DEI VERI NO GLOBAL
Se quella stagione, dunque, fu pur criticamente un pro – global i veri no global sono arrivati adesso. Le sconfitte del centro sinistra mondiale e dei movimenti di Seattle e di Genova, prima dell’esito odierno , sono state seguite da una non breve transizione riempita da tappe contraddittorie che un pò hanno dato l’impressione che ancora si potesse tentare qualcosa. L’integrazione europea, rimasta incompiuta e poi degenerata nella dottrina suicida dell’austerità finanziaria, e lo stesso lungo intermezzo di Obama negli Usa, hanno tenuto, a torto o a ragione, accese ancora per un pò le speranze.

IRROMPE UN NUOVO MONDO
Intanto la talpa scavava, Inimmaginabili cambiamenti tecnici soppiantavano i passati modelli, incidevano sempre più a fondo su produzioni e consumi e sulle stesse culture diffuse. E i modelli incrinati nella parte avanzata del globo premiavano intanto universi prima mai tanto potenti. Grazie a subordinazione servili di lavoro salariato in questa parte del mondo ormai del tutto inaudite. Due mondi. L’uno con consolidati diritti sofisticati e acquisiti per una produzione però sempre più volatile e immateriale. L’altro con estesi fenomeni di nuova subordinazione schiavistica che garantiscono tassi elevatissimi di produttività e di crescita. Uno squilibrio planetario che non poteva non incorporare un formidabile propellente esplosivo.

LA SINISTRA E IL SUO ANTICO DOMINIO
La sinistra, in tutte le sue varianti che la storia ha prodotto, non poteva reggere in alcun modo a questo cambiamento di scenario. Aveva dominato il ciclo del modello industriale occidentale e dell’appoggio ai movimenti di liberazione in quello che si chiamava terzo mondo o mondo in via di sviluppo. Aveva inventato i sistemi sociali inclusivi e solidali e i diritti di cittadinanza. Aveva costruito, perfino quando la guerra fredda sembrava dividere il mondo tra democratici e non, i sistemi della democrazia rappresentativa, gli istituti della partecipazione orizzontale e della mediazione, l’equilibrio liberale tra i poteri.
C’è tra noi ancora chi si attarda a indicare colpe individuali per lo stato in cui siamo ( per lo scioglimento del PCI, il blairismo, perfino la vera e propria persecuzione da social di cui è fatto oggetto un incolpevole Bertinotti ) quando sarebbe invece ormai ora di inforcare con pazienza gli occhiali migliori e provare a indagare e capire il futuro.

LA FASE DI OGGI
In fondo l’irrompere del cosiddetto vento populista di oggi, da noi come in Usa, deriva da questo. La fine del modello industriale occidentale soppiantato da finanziarizzazione e velocità comunicativa. La caduta di ogni mediazione e funzione di rappresentanza. Il peso di economie emergenti che, per quanto in forme scomposte e con rapporti di sfruttamento selvaggio, premono sul primo mondo e cambiano la scena economica e geopolitica del globo. Le grandi migrazioni riprese fanno il resto. La reazione sociale identitaria e protezionista che si raccoglie intorno a fenomeni politici come Trump, o in forme diverse ai nazionalismi e ai populismi europei, sappiamo che alla lunga non sarà la risposta. Non può venire da li quella nuova razionalità e geometria cui allude il ribollire confuso di oggi. E i processi imponenti e impetuosi ne sfonderanno presto o tardi le fin troppo banali e provinciali e apparenti certezze. Che siano i più giovani negli Stati Uniti a non voler accettare l’esito elettorale, pur legittimo, dice tanto rispetto al futuro. Per intanto però queste risposte sono in campo, gonfiano di pericolose illusioni un corpo sociale incattivito e smarrito, sottopongono a rischio grave il residuo di democrazia che attraversa il pianeta. E costringono ai margini una sinistra ( e anche un pensiero solidale cattolico ben rappresentato dal Papa) che non hanno più da offrire una strada. Almeno non ancora.

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