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Mi chiamo Brenda, ho 49 anni e mi hanno uccisa ad Orlando

Ricostruzione immaginaria dell'ultima serata della mamma-coraggio Brenda Marquez morta per salvare il figlio omosessuale dalla carneficina avvenuta ad Orlando, in America

di: Chiara Di Marcantonio,

18 Giugno 2016

Categorie: Politica Estera

A volte mancano poche ore alla tua morte e non lo sai.

Mi chiamo Brenda Marquez, ho 49 anni, ho sconfitto due tumori, adoro la salsa e ho 11 figli. Ogni tanto vado a ballare con mio figlio Isaiah, il quinto dei miei pargoli. E’ omosessuale. E’ un bellissimo ragazzo. Non lo dico solo perché sono sua madre e “ogni scarrafone è bello a mamma sua”, come sostengono in Italia. E’ davvero bello.

Un sabato sera come tanti, nella nostra Orlando, quello dell’11 Giugno 2016.

A volte mancano poche ore alla tua morte e non lo sai.

Per cena ho preparato uno degli spuntini preferiti di Isaiah, dei toast con tonno, maionese e pomodori. Dobbiamo tenerci leggeri in vista della “Noche latina” friendly al Pulse. Davanti a noi la TV accesa, un bicchiere con del buon vino rosso per me e una Fanta per lui. “Sempre meglio la Fanta della Coca Cola!”, affermo sarcastica ogni volta, anche se preferirei non bevesse affatto bevande gassate.

A volte mancano poche ore alla tua morte e non lo sai.

Dai, mamma, muoviti! Altrimenti arriviamo troppo tardi!”, mi intima Isaiah dalla sua camera mentre si sta vestendo ed io sono in bagno a truccarmi. Guardo l’orologio. Ha ragione. E poi chissà quanta fila troveremo davanti al Pulse. Prima arriveremo e meglio è.

Entriamo in macchina e partiamo. Accendo lo stereo. Musica latina ON AIR. “Alza il volume, gustiamocela per bene!”, mi consiglia Isaiah. Iniziamo a cantare insieme. Lui accenna qualche movimento con le braccia, come se si stesse allenando prima dell’arrivo in discoteca.

A volte mancano poche ore alla tua morte e non lo sai.

Eccoci. Siamo nei pressi del Pulse. Parcheggiamo poco lontano. Arriviamo davanti all’ingresso. C’è una discreta fila. Ci avviciniamo alla buttafuori del locale e iniziamo a scambiare quattro chiacchiere con lei nell’attesa. Si chiama Kimberly, ha 37 anni e si è trasferita ad Orlando appena due mesi fa per aiutare madre e nonna, entrambe residenti in città.

E’ una bella serata, il clima è mite, altre persone parlottano allegre tra loro. Si unisce alla nostra chiacchierata con Kimberly una coppia. Juan e Christopher i loro nomi. Rispettivamente 22 e 32 anni. Stanno insieme da due anni e presto si sposeranno, ci dicono raggianti.

Juan frequenta la University of Central Florida. Per mantenersi lavora come centralinista in una Banca di Credito Cooperativo, ma vorrebbe diventare un analista finanziario. Ci racconta del suo “Coming Out” in famiglia, arrivato alla fine del 2015 e accolto con serenità da tutti.

Christopher invece è nato a Detroit, è laureato in Psicologia e si dedica all’attivismo fin dai tempi dell’High School.
Ha ricevuto anche un premio per il suo impegno nella lotta per i Diritti Civili, l’Anne Frank Humanitarian Award, riconoscimento assegnato dal Florida Holocaust Museum di St. Petersburg.
Dopo il Coming Out di Juan, Christopher è subito entrato a far parte della sua famiglia. Hanno trascorso tutti insieme l’ultimo Natale.
Ad entrambi brillano gli occhi mentre ce lo raccontano, commossi. Mio figlio Isaiah li ascolta con ammirazione e anche a lui luccicano un po’ le iridi. Probabilmente in questo momento sta desiderando una storia così.

La fila si sblocca, Kimberly ci lascia entrare. “Ci ribecchiamo dentro, allora!”, ci congediamo momentaneamente così con Juan e Christopher.

A volte mancano poche ore alla tua morte e non lo sai.

Varchiamo la soglia dell’ingresso e ci dirigiamo verso la pista. “Aspetta, mamma! Prendiamo prima la consumazione!”, così Isaiah mi trascina verso il bancone. Ordina una Caipiroska alla fragola, il suo cocktail preferito. “Anche questo è decisamente meglio della Coca Cola, anche se è alcolico”, penso, mentre noto accanto a me due ragazze indecise sulla bevanda da scegliere. Le vedo indicare varie bottiglie, dubbiose.  “Ciao ragazze! Scusate se mi intrometto.. Avete mai assaggiato la Caipiroska? Mio figlio la adora, prendetene un sorso!

Le due ragazze guardano incuriosite prima me e poi il bicchiere di Isaiah. “Uhm.. In effetti no!”, rispondono incuriosite. Ne assaggiano un po’. “Mmhm.. Ottima!”, esclamano entrambe ed entusiaste ne ordinano subito due coppe. Si chiamano Amanda e Mercedes, hanno 25 e 26 anni e sono l’una la migliore amica dell’altra, da dodici anni. Dopo avermi calorosamente ringraziata per l’inaspettata scoperta alcolica, si ributtano in pista. E noi con loro.

A volte mancano poche ore alla tua morte e non lo sai.

Musica, risate, gioia. Io e mio figlio balliamo spensierati. “Un giorno senza sorriso è un giorno perso”, disse Charlie Chaplin ed io ho insegnato questo ai miei figli.

A volte, però, qualcuno irrompe tragicamente nella nostra vita per togliercelo per sempre, il sorriso.

All’improvviso sento dei fortissimi colpi. Cosa sono? Dei fuochi pirotecnici? Degli effetti sonori? No, non sono né fuochi pirotecnici né effetti sonori. C’è un uomo con un fucile in mano. Inorridita, vedo diverse persone cadere a terra come birilli sotto i colpi sferrati da quella dannata mitragliatrice. Non c’è tempo per valutare più opzioni né per fuggire. L’uomo si gira veso noi. Ci punta. Non ci penso due volte. Prontamente urlo a mio figlio: “Buttati giù!” e mi frappongo tra lui e la scarica dei proiettili. Dolore. Dolore atroce. Mi ha colpito.

Una Caipiroska rotola a terra vicino al mio corpo. Alzo la testa con le ultime forze, temendo il peggio. Cerco Isaiah con lo sguardo. E’ a terra e mi guarda in preda al terrore. Non è stato colpito. Totalmente disorientato, nel panico più assoluto, ma.. Vivo. Sono riuscita a proteggerlo. Riabbasso il capo e perdo i sensi. Il liquido della bevanda avanza. Ecco, ora sta impregnando i miei capelli e parte del mio viso.

Ma non sarà solo quest’ultimo a bagnarmi i capelli. Si sta espandendo un’enorme macchia rossa sul pavimento. E’ il mio sangue, unito a quello delle altre persone innocenti ormai senza vita.

Oltre a me, sono stati falcidiati dai proiettili anche Kimberly, Juan, Christopher, Amanda e Mercedes. E altre 43 persone. 49 in tutto.

E mi chiedo.. “Perché?”.

Così mi viene in mente una poesia di Robert Frost dal titolo “L’Uccelletto”.

° Proprio ho sperato che volasse via
e non cantasse proprio davanti casa mia.

Gli ho battuto le mani dal limitare
quando non l’ho potuto più sopportare.

Mio in parte il torto dev’essere stato…
L’Uccelletto non era stonato.

E qualcosa non va, qualcosa manca
in chi vuoI far tacere uno che canta. °

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