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Recensione de “Le lettere mai arrivate” di Mauricio Rosencof

ex guerrigliero uruguaiano, ebreo e comunista

di: Vittorio Bonanni,

26 Luglio 2016

Categorie: Cultura, Letteratura

Chi è nato nell’immediato dopoguerra e ha preso parte alle battaglie antifasciste degli anni ’60 e ’70 ha sempre avuto in testa una specie di identikit di chi durante il nazifascismo ha combattuto quella barbarie. Partigiano, ebreo, magari comunista o comunque di sinistra e con una grande apertura culturale e mentale. Una tipologia umana purtroppo “in via di estinzione” per ragioni complesse e svariate che non stiamo qui a ricordare. Tanti i nomi che ci vengono in mente: da Primo Levi a Leo Valiani; da Emanuele Artom a Claude Lanzmann. Facendo un salto oltreoceano crediamo fermamente sia il caso di annoverare nell’ambito che abbiamo citato anche lo scrittore e poeta uruguaiano Mauricio Rosencof e il suo lavoro “Le lettere mai arrivate” (Las cartas que no llegaron), uscito nel 2000 e tradotto e pubblicato pochi mesi fa dalla Nova Delphi Libri, (pp. 148 più foto, euro 12,00) dove l’autore, ex guerrigliero nato nel 1933 da genitori ebrei polacchi, per resistere alla dura prigionia impostagli dalla dittatura militare (1973-1984), scrive una lunga lettera, o forse più lettere, al padre per mantenere vivi certi ricordi e il loro potere straordinario per chi cerca di sopravvivere in una condizione così drammatica. Anche se in realtà la lettera è stata scritta una volta uscito di prigione, come dice lo studioso Diego Simini, Rosencof l’ha scritta “come se vi fosse ancora rinchiuso”. Il volume è diviso in due parti: la prima prevede tre capitoli, “Giorni del quartiere e di guerra”, “La lettera”, appunto, e “Giorni senza tempo”. La seconda parte è inaugurata da un saggio appunto del citato Simini, docente di Letteratura spagnola presso l’Università del Salento, dedicato a Rosencof ed intitolato “Raccontare l’assenza”, completata successivamente da riferimenti bibliografici e da una splendida sequenza fotografica della famiglia Rosencof. In questi ricordi dello scrittore, particolarmente attento anche alla narrativa per l’infanzia, come è il caso de “Le leggende del nonno di tutte le cose” (Nova Delphi Libri, 2011), si alternano ricordi del carcere come della persecuzione nazista con tutta la forza evocativa che possiamo immaginare. “E oggi sono qui, babbo – scrive in uno di questi dialoghi immaginari – e faccio il giro del mondo con tre passi corti, dietro front, tre passi corti, e di questo non te ne parlo, perché dovrei? Ma il mio mondo è questo – sembra gridare Rosencof al genitore – di due metri per uno, senza luce senza libro senza volto senza sole senza acqua senza senza e ti scrivo”. Qualche pagina indietro ed ecco l’incubo dell’olocausto: “Ci sono molte malattie nel ghetto, Isaac. Si soffre – scrive Rosencof – anche la fame, sai? E non c’è nessuno che ci voglia aiutare o ci voglia nascondere, e già cominciano le deportazioni”. Insomma un’alternanza storica caratterizza le pagine di questo struggente volume che ci ricorda quanto il ‘900 sia stato da un lato un secolo di grandi avanzamenti e conquiste continuamente contrastati da atti di barbarie che solo l’uomo nei suoi momenti peggiori riesce a concepire contraddicendo invece quegli alti momenti di solidarietà che fortunatamente proprio in queste occasioni di presentano, sia pure a fasi alterne e con intensità diverse. Ed evidentemente è proprio la solidarietà ad essere la struttura portante dei racconti di Rosencof. Lo afferma bene Simini nella sua analisi sulla vita e le opere dello scrittore uruguaiano. “ Il significato ultimo del libro forse va cercato nella comunicazione che unisce le persone, nella solidarietà che riesce a vincere anche le situazioni più ostili”, come quelle appunto dei campi di sterminio nazista o delle prigioni dei militari di Montevideo. Ebbene “Le lettere mai arrivate” può essere considerato un vero e proprio strumento di guerra contro questi orrori. “E’ un inno all’umanità – sostiene sempre Simini – intesa come collettività, come somma di individui il cui risultato è molto maggiore della mera addizione. E’ un inno alla vita”. Qualcosa di cui ancor più oggi, dove la cultura della morte sembra essere pane quotidiano, ha bisogno il pianeta, dominato invece da fondamentalismi diversi ma tutti accomunati dalla necessità di annientare l’altro.

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