Quella del neoliberismo si propone come una delle questioni più scottanti in sede di analisi politica, sia per il versante scientifico, sia per quello filosofico. La sfida che il neoliberismo rappresenta è pressante; e l’urgenza di coglierla è, in primo luogo, la stessa che riguarda fenomeni di stretta attualità e, insieme, di notevole impatto storico. In altri termini, la comprensione del fenomeno neoliberista, il tentativo di coglierne le movenze e le fasi storiche, la necessità di analizzarne la forza penetrativa nelle istituzioni e negli individui, sono tutti aspetti di una missione da compiere con attenzione, pena l’errare la diagnosi e la prognosi; e da compiere in modo lesto, così da riuscire a segnalare vie alternative, prima che tutto il campo semantico venga fagocitato ed esaurito dal pensiero unico.
In ambito filosofico, ad arricchire un campo fino a poco tempo fa predominato dalla prospettiva marxista, negli ultimi anni sono comparsi alcuni studi di notevole interesse. Fra i tanti, alcuni di essi si rifanno esplicitamente alle lezioni sulla biopolitica di Foucault: è il caso dei francesi Dardot e Laval. Altri si ispirano a Foucault, pur segnalandone gli aspetti più critici: si veda, allora, il recente studio pubblicato da Wendy Brown. Matrice comune di simili tentativi è l’intento di smarcarsi da un orizzonte di analisi strettamente marxista, al fine di vedere nel neoliberismo non una semplice ideologia o un modo di autorappresentazione della nostra epoca, e nemmeno una mera riedizione riattualizzata delle dinamiche capitalistiche: il progetto, come si dirà anche qui, è quello di intendere il neoliberismo in quanto vera e propria razionalità. Cosa significa questo? In termini negativi, significa che il neoliberismo non si configura solo come l’emancipazione e l’autonomizzazione dell’economia rispetto alla politica – aspetto già in parte presente nel liberalismo classico; e non si configura come il predominio dell’economico sul politico – sebbene sia evidente l’abbandono della retorica del mercato come forza autoregolantesi e da “lasciar fare”, e l’adozione di una prassi di attiva conservazione del mercato da parte della politica.
Scavando più in profondità, si può tentare di capire come questa egemonia dell’economico sia possibile, perché sia così convincente il verbo economico-finanziario, come mai sembri del tutto svincolato da volontà visibili e del tutto immune da critica e da resistenza. Contribuendo al ripensamento di simili questioni, al fine di rilanciare una politica alternativa, sociale e umanistica, il libro di Ercolani e Oggionni tenta una prima risposta diagnostica: quella economica è una vera e propria teologia, con un proprio fondo mitico e con un orizzonte escatologico. L’orizzonte di salvezza, ciò verso cui la divinità economica ci invita a tendere, è forse l’aspetto che, essendo il più evidente, risulta di fatto alla portata anche di una riflessione non particolarmente raffinata. A essere massimamente interessante è invece quel fondo mitico che, come tale, si impone e si nasconde sotto il velo della normalità priva di alternativa.
Quella che Ercolani e Oggionni denunciano come una “teologia economica”, infatti, potrebbe essere guardata, in modo più prosaico, come l’imporsi non solo delle finalità, ma soprattutto delle categorie economiche sulla vita democratica e sulla vita privata di ognuno di noi. Questo si intendeva, poco sopra, quando si scriveva del neoliberismo come una razionalità: esso si afferma in modo carsico, non come oggetto pensato, ma come presupposto di pensiero, come sintassi di relazioni e azioni; così che, sotto la bandiera dell’efficienza e della competizione, ogni dimensione dell’esistenza umana viene reinterpretata come una economizzazione di mezzi per raggiungere fini che non coincidono con l’uomo, e che solo raramente siamo noi a scegliere – sebbene la retorica della libertà riesca a illuderci che i nostri bisogni siano naturali e le nostre scelte siano effettivamente e liberamente volute da noi.
L’imporsi di una razionalità neoliberista – ovvero la sostituzione delle categorie profonde, mitiche, degli abiti mentali, dei principi che non sono pensati ma che fungono da premessa semantica e pragmatica di ogni pensiero – è un fenomeno la cui forza penetrativa è in larga parte dovuta alla nostra quotidiana e inconsapevole collaborazione con esso: anche il critico del neoliberismo, infatti, per sopravvivere, si farà imprenditore di se stesso, accetterà di vedere la propria vita ridotta a capitale umano, parlerà di investimento emotivo e passionale, intenderà l’altruismo come una sorta di apertura di credito, e, insomma, tradurrà gli aspetti della propria vita in termini economicistici. Così come anche la politica più votata a un concetto genuino di società, si troverà coinvolta in politiche di accoglienza per cui l’essere umano è accettato solo in quanto ingranaggio integrato nel sistema produttivo, in discussioni sui diritti come oggetto di concorrenza, per cui il riconoscimento di diritti per alcuni significa il degrado del diritto già goduto da altri, e così via.
Per questo, quella che Ercolani denuncia come una fusione della dimensione strutturale e della dimensione sovrastrutturale, può essere altrimenti vista come l’accettazione supina e indiscussa dell’idioma economico: una accettazione che alimenta l’autoreferenzialità dell’apparato economico-finanziario, secondo cui ogni problema nato in esso deve essere risolto con gli strumenti che esso stesso fornisce, non essendoci alternativa a esso; e, al contempo, tale accettazione alimenta un circolo vizioso, all’interno del quale la spersonalizzazione e la disumanizzazione dovute alle istanze neoliberiste, l’eliminazione della sovranità politica dell’individuo e della società, la trasformazione dell’economia a modello, progetto e fine, e dell’uomo a suo mezzo, sono processi che aumentano la propria cogenza tanto quanto riescono a convincere in modo dogmatico e spettacolare della loro cogenza: l’apparenza diventa realtà, la narrazione diviene verità.
E, si diceva, non si tratta di un dio che si impone dall’esterno, come spesso una certa semplificazione sembra intendere. Non si tratta di una oligarchia di “supercattivi” che trama contro le sorti dell’umanità, sebbene nella dinamica neoliberista tale oligarchia si sia realmente formata e rafforzata. Se davvero quella economico-finanziaria, come scrivono Ercolani e Oggionni, è una religione, allora si può tentare la mossa feuerbachiana, consistente nella rivelazione che quel dio siamo noi, lo creiamo noi, proiettando bisogni e aspirazioni e rinunciando alla nostra autonomia; questo, in una dinamica che ha, infine, davvero dato sostanza a un dio che ci impone bisogni e aspirazioni eteronomamente. Ma la forza del neoliberismo, dalle sue origini negli anni ’30, fino alle sue concrezioni degli anni ’70 e soprattutto ’80, consiste nel contare sulla nostra collaborazione, sulla nostra accettazione incondizionata e irriflessa delle categorie che lo formano e lo rinvigoriscono. Come dire che, per distrazione, abbiamo lasciato che il fondo mitico e categoriale dal quale prendiamo a interpretare la realtà e a relazionarci con gli altri, fosse sostituito: l’abbaglio del successo possibile a tutti, anche a danno degli altri, l’illusione del mercato come realtà davvero egualitaria perché agnostica, razionale e formale, l’idea del merito come prospettiva giusta, la disponibilità ad accantonare la sovranità politica in favore di una libertà economica – sono tutti aspetti che abbiamo accettato e continuiamo ad accettare come unici, naturali e quindi buoni.
In questo senso, alla luce di tale diagnosi, deve operare l’azione prognostica prima e terapeutica poi. È in questo che le indicazioni di Ercolani e Oggionni risultano interessanti e preziose, perché proprio sul ritorno di un pensiero umanistico, non retoricamente sociale, e alla ri-acquisizione di una riflessione piena ed esigente ci si deve concentrare, se si intende indicare la via di un progresso umano. Questo, in primo luogo, richiede una demitizzazione delle categorie economico-finanziarie; ovvero, se il mercato si impone come un tutto pieno, fuori del quale vi è il nulla parmenideo, l’atto di coraggio che risulta più urgente, una volta smascherato questo bluff, consiste nell’allargamento dell’orizzonte semantico e degli schemi pragmatici attraverso cui interpretiamo la realtà. Se la malattia è l’accettazione incondizionata e irriflessa delle categorie economiche, la cura non potrà stare che in una riflessione su tali categorie, in una loro tematizzazione utile a comprendere la loro artificiosità, la loro nocività e la loro contingenza.
È un lavoro, in prima battuta, culturale, antropologico, che necessita il ripensamento dei concetti cardine sui quali, senza che siano mai messi in questione, facciamo ruotare ogni idea sul mondo. In questo, un ruolo fondamentale è giocato dalla scuola, che abitua a un pensiero critico, che ingaggia un confronto franco con lo status quo; la scuola, che permette di prendere confidenza con le differenti prospettive sulla realtà sociale, e che può aiutare nel tentativo di fuoriuscire da un pensiero tecnico-scientifico piatto, per agevolare una riconsiderazione collettiva dei fini condivisi che la società, e gli individui che la animano, devono eleggere in modo autonomo. È un compito che si pone al di là di ogni fissismo, senza temere il dialogo con istanze anche non primariamente razionali o scientifiche, come l’etica o la religione, purché si propongano come motivo di scuotimento delle condizioni precostituite e come motivo di progresso per l’uomo.
Si può dire che è necessaria una uscita dal nuovo stato di minorità rappresentato dal neoliberismo, per studiare con maturità e consapevolezza le categorie che inconsciamente lasciamo conformino il nostro sguardo sul mondo. Solo così possiamo sperare di ritornare a essere uomini fautori della storia, e solo così possiamo pretendere che l’umano sia, come diceva Kant, un fine e mai un mero mezzo a disposizione. A questo si vota, nella sua fase più costruttiva e positiva, il prezioso progetto umanistico di Ercolani e Oggionni.
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Dottorando di ricerca in Filosofia politica. Collaboratore di Micromega: Il Rasoio Di Occam. Autore di: L'uguale dignità degli uomini (2013); e allora? (2014); Dialogare con il Solipsista (2015); Dal laicismo alla laicità (2016); Il non detto (2017).
di: Franco Astengo,