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Articolo 18: il liberismo al ribasso

La storia è a un passo dal baratro: o ci cadiamo noi, o ci cade il sistema capitalista.

di: Boff,

26 Febbraio 2017

Categorie: Diritti, Italia, Lavoro, Politica Interna, Società

“Sai che l’Articolo 18 dello Statuto dei lavoratori c’è ancora, vero?” è la principale replica che si sente in difesa dei provvedimenti renziani su questo argomento. Poco importa che sia stato svuotato del suo ruolo protettivo: rimane. Per loro ciò che conta è questo: la finzione e l’apparenza.

L’accusa all’Articolo 18 era la sua iniquità: proteggeva alcuni, i dipendenti delle aziende più grandi, non riguardava altri, quelli delle aziende più piccole. La soluzione a una disparità oggettiva è stato il livellamento: puntare al ribasso conferma chi già ha e a pagare sono coloro che hanno meno.

Il canale di soluzione del neoliberismo è questo: di fronte a un problema che si evidenzia con disparità di trattamento, la proposta è l’abbassamento delle condizioni per tutti. Lo è stato in Italia con i “patti di stabilità”, prima, con il pareggio di bilancio in Costituzione, poi; lo è su scala internazionale, con la delocalizzazione e con i flussi di ritorno, dove per recuperare occupazione si spinge i lavoratori a rinunciare ai diritti acquisiti, abbassando il proprio livello a quello di stati dove tali conquiste non sono ancora acquisite. l’Articolo 18 ha precedenti altisonanti.

Questi eventi dovrebbero farci riflettere su due elementi: l’insensatezza della strada neoliberista e l’intrinseca malvagità che risiede in essa.

Il semplice uso della logica, indirizzata al bene comune, avrebbe portato a risolvere le disparità dell’articolo 18 con una sua estensione: estensione ad altri contratti, estensione ad altre aziende e così via. Coprire più persone con diritti certi nel campo del lavoro e non ridurre i diritti di alcuni, per pareggiare i conti con chi diritti non ne ha.

L’articolo 18 non è la guerra: è solo un campo di battaglia. Eppure il licenziamento indiscriminato oggi permesso – nonostante esteriormente possa non sembrare così – è un danno diretto alle persone. Risiede lì la malvagità: nel distruggere le vite, nel contorcerle, nel rendere il nostro tempo una servitù ad altri.

Il punto critico è prossimo: a forza di togliere diritti parziali o integrali, l’intero mondo del lavoro si trasformerà in qualcosa d’altro. Sta al sistema scegliere se proseguire questa strada o intraprenderne un’altra.

C’è chi sostiene che non esista alternativa: solitamente la loro replica più brillante è sulla linea di “Hai visto cos’è successo al comunismo”. Rimane la percezione di un mondo con due soli possibili paradigmi economico-sociali: quello capitalista e quello marxista. Chi ha studiato un poco sa che di paradigmi ne esistono molti; chi ha ascoltato alcuni degli esponenti più illuminati ne conosce anche alcuni. E non dobbiamo dimenticare che i paradigmi nuovi non sono mai prevedibili e comprensibili fino in fondo prima che si avverino. Certo, si tratta di guidare un po’ alla cieca, ma sarebbe pur sempre un guidare conoscendo la direzione e affidandosi a una strada da costruire passo passo. Ma insieme, senza lasciare nessuno indietro.

La storia è a un passo dal baratro: o ci cadiamo noi, o ci cade il sistema capitalista.

Ho anche sentito collegare l’articolo 18 al merito, ma questa è un’altra favola nel tomo del delirio renziano…

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