Esse - una comunità di Passioni

FAITH IN THE FUTURE OUT OF THE NOW

Parte 1

di: Carlo Marzo,

7 Giugno 2015

Categorie: Archivio

Sono giorni drammatici questi, ma forse sarebbe meglio dire anni o decenni. Milioni di persone fuggono dalle devastazioni che in maniera scientifica elaboriamo da secoli nei tanti sud del mondo per approfittare delle loro ricchezze. Insieme ad essi i lavoratori del lato fortunato del pianeta sono scossi o da condizioni lavorative sfiancanti, precarie, mal retribuite e con sempre minori diritti o dall’assenza di un lavoro e con esso di un futuro. In tutto questo anche la piccola e media borghesia e’ travolta nei suoi risparmi ed investimenti dal turbine del capitalismo intento a ripensarsi. Ovunque una scia d’incertezza, d’impotenza e disperazione solca il vivere quotidiano, sempre più perplesso davanti al dipanarsi del nuovo mondo. Insomma, un’era di profonde mutazioni scuote individui e società sotto la pressa degli interessi dei mercati. La loro necessità di espandersi, per bilanciare l’inflazione (devastata dall’azione speculativa del profitto), travolge con guerre, devastazioni e speculazioni ogni continente e con diverse sfumature di terrore tutte le classi.
Ma comunque tutto questo mutare violento e forzato è il solito tran-tran di sangue legato al cambio dei mezzi di produzione. I mercati, come dicevamo, una volta prosciugato un luogo con la loro logica insana e arbitraria di profitto a tutti i costi (che sarebbe il nostro vivere in perenne crisi) non hanno altra alternativa se non quella di estendersi e riproporre la stessa dinamica di speculazione distruttiva su nuovi territori da cambiare a propria immagine e somiglianza. Tutto ciò, ovviamente, con lo scopo di riattivare la macchina del profitto, andando così a determinare tutta una nuova serie di contraddizioni, allo stesso tempo distruttive e costruttive. Semplicemente il mercato nei sud del mondo sostituisce se stesso ai vecchi regimi autoritari o religiosi, in ogni caso assolutisti, mediando tutto con il denaro. In questo modo distrugge un vecchio sistema basato su valori di appartenenza a culture, nazioni o religioni e ne costruisce uno basato dalla sola mediazione monetaria. Il dato è chiaro, cambiando i mezzi di produzione sono cambiati in maniera irreversibile anche i contesti dei processi e i loro conseguenti rapporti di forza (e per la spinta evolutiva del rilancio degli stessi mezzi a livello scientifico, anche le unità di misura esistenziali, ma questo è un altro discorso).
Il capitalismo, ha riorganizzato la filiera produttiva e lo ha fatto su scala globale. Il processo, però, nonostante le rapide evoluzioni della storia turbo-capitalista, è ancora agli albori. E noi osserviamo, lungo l’intero globo però, quello che tra fine 800 e inizi 900 è successo alle nazioni occidentali e alle sue società: la distruzione del vecchio sistema aristocratico feudale immobile e assolutista a favore delle democrazie di mercato. Ed allora come oggi, ci furono grandi esodi immense migrazioni verso le terre ricche o industriali delle nazioni stesse. E in tutto questo marasma di corpi in cerca di speranza, libertà e fortuna, s’intravedevano i primi aerei, i primi elettrodomestici o la fotografia, il cinema e le prime battaglie sociali e per i diritti. Esattamente come in questi giorni l’Isis si alterna alle primavere arabe e non o le nanotecnologie alle stampanti 3D, il tutto, oggi come ieri senza ancora una definitiva strutturazione finale del processo industriale e sociale. Stanno cambiando mezzi di produzione, rapporti di forza e unità di misura, ma quale sarà la loro configurazione finale non ci è ancora dato saperlo.
Questo passaggio non è indolore o immediato, ma è in atto e per quanto si muova spinto da egoismo e sopraffazione, per l’appunto porta con sé, come è stato per l’occidente, il seme dell’alternativa, la possibilità di un altro mondo possibile. Come mi ha insegnato un vecchio con la barba, la società è come una “vecchia gravida”, ha un corpo anziano che, però, dentro di sé ha una cosa nuova. Insomma, dietro la macabra mole di dolori e tragedie, è possibile sempre intravedere una via d’uscita di concreta speranza. In questo caso, il capitalismo per risolvere le contraddizioni da lui stesso inscenate nell’elaborare profitto cieco, come già dicevamo, ha bisogno di conquistare nuovi territori, ma facendolo, distrugge i vecchi sistemi di potere creando sempre più un contesto sociale unico di mercato a livello mondiale, senza più nessuna distinzione culturale, se non quella monetaria. Aprendo, così, la possibilità nella storia di un’umanità unita nella grande nazione mondo.
I processi, non sono univoci e i capitalisti per quanto attori e manovratori principi del Capitale, ne sono allo stesso tempo loro stessi vittime e dipendenti delle sue regole di creazione della ricchezza. Arrivato a questo punto credo che un approfondimento sulla questione sia necessario. Il Capitale è ricchezza in movimento che crea relazioni sociali, quindi per aumentare i profitti i capitalisti devono investire il capitale nella società ma, facendolo, inscenano processi sociali complessi, contraddittori e strutturati su più livelli. Il bilanciamento di tutto ciò è l’inflazione, che sarebbe l’equilibrio tra consumi e flusso monetario. Ma allo stesso tempo questa è la piattaforma di riferimento su cui attuare la speculazione del profitto. Nel senso che ogni compagnia, lobby, ente privato ha investito per assorbire il flusso monetario conseguente i consumi. Il punto però è che se io assorbo il flusso monetario come posso permettere che continuino i consumi? Da qui le continue crisi e la necessità da parte del capitalismo di estendersi e riproporre la stessa dinamica, lungo però un processo di ripensamento della produzione e dei territori intento ad aumentarne la produttività. Perché, l’unico modo per una persona avida di ingigantire la sua ricchezza non è il risparmio, ma bensì, l’investimento nella società della stessa. Ma tale ricchezza diventando sempre più grande necessita di essere governata, organizzata, gestita, e l’unico è formare nuove masse di lavoratori e di dirigenti, masse di uomini che prima erano abbandonate nei campi e nella miseria dei latifondi.
Quindi con il suo frenetico e avido mutare il capitalismo instaura sempre nuovi rapporti di forza e sulla loro analisi ed elaborazioni dovrebbe sempre basarsi una qualsivoglia politica. Quindi in un’epoca così complessa e strutturata su queste direttive globali di vorace estensione, come possiamo contrastare tutto ciò se i nostri strumenti di lotta sono ancora vincolati a forme di carattere nazionale? Formulo meglio la domanda: se la politica è elaborazione dei rapporti di forza, come si può andare a contrastare una dinamica globale con degli strumenti nazionali? Insomma nel nostro presente manca un passaggio politico nella realtà chiaro e conseguente rispetto a questa nuova strutturazione dei rapporti di forza. E cioè una forza transnazionale (internazionale) in grado di lottare democraticamente attraverso le istituzioni mondiali già esistenti (e per costruirne di nuove) per una regolamentazione globale delle lobby e dei mercati e per comuni diritti e doveri di tutti gli abitanti del pianeta. Mi rendo conto il passo è lungo, al limite del sogno ma, come cercavo di spiegare prima, è uno spazio, una possibilità offerta dai mercati stessi e dalle loro contraddizioni. Dovrebbe essere abilità e coscienza di chi crede nell’umanità e non nel denaro approfittare di tale spazio per riaprire un discorso di pace e fratellanza nel mondo. E noi in quanto europei, essendo l’esempio concreto di un territorio diventato unico, in seguito alla necessità di incessanti profitti dei mercati, ma che in virtu’ di ciò ha anche superato (o sta superando) del tutto i vecchi vincoli di odio di una società assolutista, non solo ne abbiamo la possibilità, ma soprattutto abbiamo il dovere di rilanciare un discorso partecipato di organizzazione collettiva della libertà e della giustizia. Per farla breve, la prima casa di questa grande nuova forza mondiale di progresso deve essere l’Europa. Anche perché solo liberando le ricchezze che per secoli abbiamo saccheggiato in giro per il pianeta, è possibile iniziare un serio, concreto e non pietistico progetto di redistribuzione delle ricchezze in nome della pace, della fratellanza e del rispetto, il tutto attraverso lo strumento del dialogo e della democrazia. Insomma, per uscire dall’apatia dell’impotenza, dalla rabbia delle divisioni, in virtu’ anche del contesto di rapporti di forza descritto, dobbiamo creare un forza politica sociale europea unita senza nessuna specificità nazionale che lotti dentro e fuori le istituzione, attraverso tutti i mezzi non violenti già esistenti e che la nostra fantasia unita e organizzata potrà inventare. Altrimenti fin quando saremo divisi e legati a vecchi sistemi di cose la nostra capacità di scalfire questo meccanismo di sopraffazione e violenza sarà minima se non nulla. E la Grecia stessa lo ha dimostrato, non basta la rabbia di un popolo o l’abilità di una classe dirigente a cambiare l’attuale sistema di cose esistenti. Serve grande sforzo, entusiasmo, studio e pazienza nel saper ritrovare la strada della realtà senza facili entusiasmi o estremismi, per saper percorrere con coscienza le complicate trame dell’attuale processo storico.

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