Non è nostro intento scrivere una recensione del film di cui Elio Germano è protagonista, e che esce in questi giorni nelle sale cinematografiche. Ci limitiamo a rilevare un paio di evidenze. La prima: che non era affatto facile per Renaud Fély e Arnaud Lauvet, dopo i capolavori di Rossellini, Cavani e Zeffirelli, rimettere le mani sopra un personaggio di così imponente e universale importanza. Lo hanno fatto con stile sobrio e asciutto, che a tratti ricorda il Vangelo secondo Matteo di Pasolini. La seconda: hanno potuto giovarsi di un’interpretazione persino commovente di Elio Germano, nei panni di San Francesco, e di una magistrale prova attoriale di Jérémie Renier, nei panni di Elia da Cortona.
La storia prende le mosse a partire dal 1209, nelle campagne attorno ad Assisi, dove Francesco vive in assoluta povertà dormendo prevalentemente all’aperto, seguendo i poveri e facendo la loro stessa vita, circondato da un gruppo di confratelli, fra i quali appunto Elia. Francesco ha appena subìto il rifiuto di Innocenzo III di approvare la sua Regola, riconoscimento che avrebbe messo al riparo l’Ordine dai rischi dell’eresia.
In questa fase delicatissima Elia, al quale Francesco riconosce grandi capacità intellettuali e organizzative, invece che subire passivamente gli eventi, inizia un’opera di attenta mediazione fra Francesco e il Papato. Cercando di attenuare l’intransigenza del santo e di facilitare l’accoglimento della sua Regola che, per essere accettata, doveva essere emendata. Un lavoro delicatissimo che rischia di metterlo in cattiva luce presso Francesco e di tradire non solo l’amicizia ma la sua stessa appartenenza alla comunità del santo.
È nel confronto fra i due che emerge la forza di Elia: una forza tutta umana perché si fonda sulla consapevolezza della possibilità dell’errore e che proprio per questo è doppiamente ammirevole, nella misura in cui non gode del sollievo anestetizzante di quella irresistibile tensione mistica che trascina invece Francesco in uno stato di perpetua esaltazione. Un’ebbrezza che solleva il santo da terra avvicinandolo a Dio, ma, in qualche modo, lo allontana dalla realtà. Germano è bravissimo nel tratteggiare questo aspetto, nel rendere il senso di un trasporto radicale e decisamente sovraumano.
È illuminante la breve discussione in cui Elia prova a spiegare a Francesco che il lavoro nei campi si può organizzare razionalmente, per produrre di più e aiutare meglio i poveri. C’è in questa posizione, in nuce, l’idea che la giustizia in terra deve aspirare al superamento della povertà: nessuno in una società equa e pacificata deve essere povero. Beati sono i poveri, la povertà come strumento di avvicinamento a Dio: è vero. Ma Dio insegna a tendere verso l’alto, a curare le ferite, a sanare le ingiustizie: non certo a perpetrarle passivamente. A quest’altezza si colloca anche il confronto tra i due rispetto alla Regola: da adattare alle richieste del Papato per Elia, da custodire intonsa per Francesco, da liberare persino dall’obbligo di accettare – nella Chiesa e con la chiesa – una gerarchia e una catena di comando.
L’intervento di Elia è decisivo. Evita lo strappo con la Chiesa, evita che Francesco ne subisca anche personalmente le conseguenze, apre la strada all’Ordine dei Frati minori, consente che esista un futuro per i suoi confratelli e per i poveri cui l’Ordine è consacrato. Ma la sua scelta di intervenire non è scontata. Elia non si esalta mai e paga il prezzo del suo rimanere con i piedi per terra. Egli teme di rompere la sua amicizia con Francesco. Ma anche che il santo e la sua confraternita vengano giudicati come eretici da perseguitare. Questa tensione lo usura. È lui – non Francesco, la cui intransigenza è d’acciaio – a essere fragile. In un passaggio cruciale del film Elia tenta addirittura il suicidio.
Elia diventa il personaggio centrale del film. Alla fine si caricherà sulle spalle la responsabilità di modificare in alcuni passaggi la Regola di Francesco che finalmente sarà approvata. Il duro magistero della vita reale istruisce e guida Elia in un’operazione politica che non solo salva Francesco ma mette in condizione le sue idee di durare nel tempo e di affondare le proprie radici nella storia della Chiesa. Francesco morirà di lì a poco ma anche grazie a Elia lascerà un’eredità universale ed eterna.
Ecco allora la metafora. Il film di Fély e Lauvet come metafora straordinaria della politica, che ha bisogno di un orizzonte, di un’utopia, di un grande sogno, ma anche di un partito, di un’organizzazione concreta capace di interpretarlo, di uomini che lo traducano in realtà. “La vita che ci propone Francesco – dice Elia a un certo punto del film – è un sogno meraviglioso, ma per viverlo occorre renderlo possibile”.
Vengono alla mente due cose. Senza voler essere irriverenti, pensiamo al Palmiro Togliatti della svolta di Salerno. Corregge la regola della dittatura del proletariato, il soviettismo, e lancia la via italiana al socialismo, che apre la strada alla costruzione del più grande partito comunista d’Occidente. Togliatti come Elia, evidentemente.
Ma viene in mente anche il nostro presente. Si parva licet, questa lezione serve anche a noi nel momento in cui proviamo, oggi, a dare senso ed efficacia al disegno di ridare voce e rappresentanza al popolo confuso e sconfitto dei poveri e dei maltrattati. Per farlo, come fece Elia, nel nostro piccolo dobbiamo tenere insieme il fuoco di una grande passione e l’urgenza di non disperderla definitivamente. Ma il problema ci pare precisamente questo: manca – tratteggiato chiaramente – il grande sogno di Francesco e manca Elia. Questa idea di Sinistra italiana bloccata da un anno e mezzo di temporeggiamenti, politicisimi, patti senza popolo non assomiglia né a Francesco, né a Elia. Rimettiamoci, a piedi scalzi e con la nuova Regola in mano, rapidamente in cammino.
Sono nato nel 1984 a Treviglio, un centro operaio e contadino della bassa padana tra Bergamo e Milano. Ho imparato dalla mia famiglia il valore della giustizia e dell’eguaglianza, il senso del rispetto verso ciò che è di tutti. Ho respirato da qui quella tensione etica che mi ha costretto a fare politica. A scuola e all’Università ho imparato la grandezza della Storia e come essa si possa incarnare nella vita dei singoli, delle classi e dei movimenti di massa. A Genova nel luglio 2001 ho capito che la nostra generazione non poteva sottrarsi al compito di riscattare un futuro pignorato e messo in mora. Per questo, dopo aver ricoperto per anni l'incarico di portavoce nazionale dei Giovani Comunisti e avere fatto parte da indipendente della segreteria nazionale di Sel, ho accettato la sfida di Articolo 1 - Movimento democratico e progressista, per costruire un nuovo soggetto politico della Sinistra, convinto che l’organizzazione collettiva sia ancora lo strumento più adeguato per cambiare il mondo.
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