Esse - una comunità di Passioni

Appunti da Marina di Pisa

Breve resoconto della tre giorni, tra idee e contraddizioni.

Trecento giovani, trecento valigie stipate dentro un albergo. Guardando quella sala piena, un po’ di emozione nasce spontanea. È il nostro primo vero ritrovo e, pochi o tanti che siamo, l’effetto è comunque impressionante.
La prima sera è Enrico Rossi a parlarci. Senza bisogno di paroloni, di giri di parole, ci invita a essere critici verso il partito. A essere autonomi, a stare con il fiato sul collo e soprattutto ad essere radicali.
Gli applausi si sprecano. Eppure, nei giorni che seguiranno, si farà fatica a dimostrare quelle parole.
Alle nove dell’indomani, ciascuno sceglie un tavolo tematico. Finalmente, per la prima volta, c’è anche un tavolo in cui si parla di comunicazione.
A parlarcene è un professore, il quale non si spreca a farci sermoni, né spiegazioni lunghe, ma per la maggior parte del tempo ascolta ciò che noi abbiamo da dire. In poche ore vengono fuori tante idee, tanti concetti, non le solite frasi di convenienza, ma modi chiari e concreti per rilanciare la comunicazione di un partito che, nessuno fatica ad ammetterlo, è purtroppo carente da quel punto di vista.
Finalmente c’è un clima in cui ci si dice le cose in faccia: un leader ci serve, non per venire a dettare le regole, ma per essere facilmente identificabili dagli elettori; lo storytelling non è una parola di destra, ma è forse il miglior modo esistente per comunicare, in un periodo storico in cui le persone si nutrono principalmente di storie.
Si parla di social e si parla di vita fuori dai social, delle sedi di partito che andrebbero rilanciate come luogo di attivismo e di ritrovo, dell’importanza di semplici volantinaggi davanti alle scuole che servono anche solo a dire: noi ci siamo.
Nasce l’idea di creare un coordinamento nazionale che si occupi solo di comunicazione, e tutti i presenti la accogliamo con entusiasmo.
Al pomeriggio, è previsto un dibattito sul socialismo europeo, insieme a Laforgia. Gli interventi sono liberi, e quasi tutti ne approfittano per prendere la parola. Tuttavia, di tutto si parla, fuorché di Europa. Viene fuori l’autocritica, insieme alla rabbia di aver perso del tempo e di non stare facendo abbastanza. La voglia di mettersi in gioco c’è, ma le difficoltà quotidiane ci avviliscono, nutrite dalla mancanza di una rappresentanza eletta e dal perenne stato di temporaneità. Quando interviene Laforgia, per la seconda volta veniamo spronati ad essere autonomi, critici, radicali. A essere noi i propulsori della nuova organizzazione che nascerà, a stare con il fiato sul collo di chi prende le deicisoni.
La sera, grazie anche all’enorme quantità di vino presente sui tavoli, passa velocemente tra chiacchiere e allegria. C’è quella sana gioia di ritrovarsi tra simili, tra giovani che hanno gli stessi pensieri e che lottano per gli stessi obiettivi, che hanno una passione sana. Perchè alla fine è quello che spinge noi e che può spingere altri giovani come noi a fare politica: vedere persone che fanno ciò che fanno perché ci credono, non perché ne traggono un guadagno, non per arrivare “da qualche parte”.
E la Domenica doveva essere quel momento, quello in cui avremmo deciso collettivamente il da farsi, quello dove la famosa autonomia critica di questa nuova giovanile, tanto spronata dai nostri rappresentanti, si sarebbe coraggiosamente tirata fuori.
Invece, si è consumato tutto in un povero rituale politico. Non c’è stato spazio nemmeno per relazionare i tavoli. Qualche giovane ha avuto spazio per parlare, altri, come me, non hanno potuto. Questione di tempistiche.
Eppure qualcuno ha parlato più di altri, anche a nome di altri, senza averne titolo, con parole intrise di politicismo e di scarna retorica. Lo spazio maggiore è comunque riservato ai nostri dirigenti, quelli ai quali dovremmo essere autonomi e con il fiato sul collo, come per l’ennesima volta ci invitano a fare Rossi, Scotto e Speranza.
È proprio l’intervento di quest’ultimo a infiammare di più il pubblico, quando viene fuori la rabbia per essere stati definiti dei “traditori” da Renzi. “Sei tu che hai tradito i nostri valori!” ribatte Speranza, e l’orgoglio fa scattare in piedi trecento giovani, che non aspettavano altro che un motivo fra i tanti per cui essere fieri della strada che hanno deciso di prendere.
Alla fine parte Bella Ciao. Perchè nonostante i problemi, nonostante la discussione stroncata, abbiamo una storia da rivendicare tutti assieme, e un’unica strada sulla quale ritrovarci.
Perciò, forti dell’ebbrezza dell’entusiasmo di quei tre giorni, non ci resta altro che raccogliere al volo l’invito dei nostri dirigenti. Essere critici, essere autonomi, essere radicali. Non siamo dei portabandiera, non siamo sagome da mostrare all’elettorato.
Le idee ci sono, il coraggio di dirci le cose in faccia anche. Ora dobbiamo solo darci un impianto, senza replicare i tanti errori che abbiamo già visto commettere da chi è più grande.
Con la nostra passione, con la nostra gioia e, soprattutto, con il nostro sano disinteresse.

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