Non so che scelte faremo nelle prossime settimane. Discuteremo insieme, fedeli all’idea – sempre più eretica in tempi drammatici come questi – che la politica è sempre una scelta collettiva, mai individuale, mai dettata da contingenze o da logiche strumentali.
E tuttavia a me viene da dire già adesso una cosa, la appunto su di un post it come promemoria, personale e collettivo.
Non basta un congresso, un maquillage, non bastano nuovi leader. Serve tutto questo, ma non basta.
Non c’è futuro senza riconquistare una vera autonomia culturale, di pensiero, di idee, un’autonomia da ricostruire con il coraggio, la radicalità e la capacità di innovazione che occorrono nei momenti drammatici.
Senza una collocazione di valori e strategica lontana anni luce dalle agende Draghi, dalle compatibilità dei vincoli esterni, senza un’immersione profonda nel mondo reale, nelle paure e nelle sofferenze di milioni di nostri concittadini impoveriti, precari, ai margini, in difficoltà, in crisi. Senza coinvolgere chi non vota più e chi ha votato senza alcun entusiasmo.
Dico una cosa impegnativa, ma ci credo veramente: occorre riprendere il filo della storia spezzato strappo dopo strappo a partire dal 1989. Occorre ricostruire, in forme nuove, una sinistra di popolo e di trasformazione. A gestire l’esistente, le diseguaglianze, il capitalismo sono più brave le destre.
Una cara compagna mi ha ricordato che nel gennaio 1919 Rosa Luxemburg, nel suo ultimo articolo, commentando la sconfitta della rivolta spartachista, scriveva: “L’insurrezione è stata sconfitta. Forse non era matura né organizzata. Ma dalla sconfitta di oggi fiorirà la vittoria futura”.
La nostra colpa è di avere smesso di organizzare l’insurrezione. Di avere smesso di pensare alla trasformazione possibile in Occidente.
Questioni gigantesche, che l’incubo della guerra mondiale nucleare rende ancora più grandi. Ciò che oggi è in campo non è attrezzato ad affrontarle. Questo è il nostro compito.
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