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Cadornismo e Renzismo

L'ex Segretario del PD, lungi da una vera autocritica, continua a porsi sopra tutto e tutti con arroganza

di: Roberto Gramiccia,

11 Luglio 2018

Categorie: Politica Interna

“Ci rivedremo a Congresso e perderete ancora!” è la maledizione che Matteo Renzi, nell’aprire la Direzione del suo partito, ha lanciato alla sinistra PD, concludendo un intervento più simile ad un comizio che ad una argomentazione riflessiva. Un’orazione tutta a petto in fuori, capace di sfoderare un’aggressività e un linguaggio del corpo che non si è capito bene se scelta consapevolmente (magari su suggerimento di qualche nuovo spin doctor) o “dal sen fuggita” a causa di un’incapacità a controllare gli istinti animali di chi non può non sentirsi capo (o capobranco). E soprattutto non riesce a sopportare che gli altri comincino ad avere qualche dubbio su questo punto (nonostante la complice impunità di cui l’ex Segretario ha sempre goduto nel suo partito).

 

Noi propendiamo  per la seconda ipotesi. Perché utilizzando le normali (non renziane dunque) capacità di analisi di cui disponiamo, non riusciamo a capire che interesse abbia costui a mettersi contro gran parte del suo partito. Non solo la Sinistra, per altro sempre misurata nel difendersi dagli affondi del capo di un partito ridotto ormai al lumicino, ma persino Gentiloni, che tutto ha fatto meno che tradire la fiducia di Renzi, dal quale del resto era stato scelto per guidare il governo sotto il suo controllo.

 

Si è ipotizzato che tanto furore argomentativo sia stato motivato dal desiderio di serrare le fila dei renziani. Ma a noi francamente sembra un argomento debole: i mercenari infatti non hanno granché bisogno di essere corroborati dall’amor di patria, essendo altri gli interessi che li guidano.

 

L’impressione che abbiamo tratto, avendo seguito quasi in diretta l’intervento dell’ex Segretario (per fortuna dimissionario se no figuratevi che avrebbe combinato), è quella di essere davanti a un militare di alto lignaggio (si fa per dire), diciamo un generale o un capo di Stato Maggiore che, di fronte a una sconfitta epocale tragica e senza appelli, si vantasse del suo operato. E ci è venuto in mente Cadorna. Una scena un po’ come se Cadorna avesse preso la parola sulle macerie di Caporetto vantandosi spudoratamente e dando la colpa della  rovinosa sconfitta ai suoi soldati.

 

Trascinati da questa fantasia, ci è venuto in mente una delle tante e illuminanti categorie gramsciane, una di quelle che legge la realtà attraverso il filtro della storia proprio perché ogni realtà è “storica” e non ha valore in sé se non in quanto tale. Parliamo del “Cadornismo”.
L’unica esitazione che abbiamo nel procedere nel nostro ragionamento è quella di comparare la grandezza tragica (e luciferina nonostante il suo bigottismo) di Cadorna con una figura come quella di Renzi. Esitazione che però non ci frena se pensiamo all’entità dei danni prodotti sul corpo inerme della cosiddetta sinistra riformista dal politico fiorentino.

Non trascuriamo la congiuntura internazionale sfavorevole alla Sinistra e neanche l’ ”autofobia” (termine rubato a un maestro come Canfora) di tanti dirigenti ex PCI che hanno contribuito a disarmarla. Ma veramente quello che è riuscito a fare Renzi in poco tempo non era riuscito a farlo nessuno.

 

Riprendendo il filo dunque, a proposito del Cadornismo gramsciano, notiamo che molto spesso il pensatore sardo usa la strategia militare come metafora di accadimenti politici su cui egli applica la sua riflessione (pensate ad altre due sue categorie: “guerra di movimento” e “guerra di posizione”).
Gramsci definisce Cadorna un “burocratico della strategia” il quale “quando aveva fatto le sue ipotesi ‘logiche’, dava torto alla realtà e si rifiutava di prenderla in considerazione”, anche quando questa assumeva le caratteristiche dell’evidenza e dell’innegabilità storica.

 

Esattamente come accade oggi per la “Caporetto politica” di cui Renzi è il principale responsabile. Un’altra caratteristica peculiare del Cadornismo che calza a pennello al Renzismo è quella di scaricare sui suoi “soldati”, disertori o infedeli o incapaci, la responsabilità delle sue terribili sconfitte.
Nel caso di Renzi tutt’al più questa responsabilità si estende ai supposti autori (la stampa mainstream) del “mostrificio” che avrebbe demonizzato lui, la sua famiglia e il suo sin troppo noto cerchio magico. E qui ci fermiamo perché la metafora ci sembra già  sufficientemente chiarita.

 

Quello che non capiamo è come mai non si sia ancora posta con l’energia necessaria la questione del licenziamento del capo che ha portato le sue truppe al fallimento più totale. Cadorna fu sostituito da Armando Diaz. E noi vincemmo la guerra. Qui invece tutto è stato congelato per un anno.
Sarà il caso che i compagni – perché così ci ostiniamo a chiamarli – che ancora e malgrado tutto hanno a cuore le sorti di un PD che vuole continuare ad avere a che fare con la Sinistra (cosa che ha smesso di fare da anni) prendano finalmente coraggio. L’intervista di oggi a Provenzano su Il Manifesto è incoraggiante. Ma non basta. Non può bastare. O dopo Caporetto non ci sarà il Piave.

 

Le ultime righe per dire che non c’è supponenza o alterigia nella nostra richiesta. Anzi, al contrario, c’è la consapevolezza che senza un poderoso processo che travolga e vada oltre il Cadornismo del PD e del suo dirigente principale, difficilmente ci sarà futuro per una Sinistra che voglia competere con le destre e i populismi di oggi.

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