Esse - una comunità di Passioni

FAITH IN THE FUTURE OUT OF THE NOW

Parte 2

di: Carlo Marzo,

8 Giugno 2015

Categorie: Archivio

Nel nostro presente pressato da una logica avida di profitti sfrenati, le tragedie aumentano e con esse la nostra impotenza, la nostra incapacità di rilanciare un discorso alternativo, a tutto ciò, nel mondo. Questo perché? Come già dicevamo in precedenza, perché sono cambiati i rapporti di forza e questo ha determinato una riduzione delle strutture politiche di controllo rispetto all’azione dei mercati e dei privati. Tant’è che tutta quella serie di conquiste sociali e di diritti avvenuta in passato (soprattutto riguardante il lavoro, ma in genere rispetto all’accesso ai diritti fondamentali) non hanno più peso o grande capacità di intervento rispetto alle contraddizioni del presente. Anche perché tali conquiste furono conseguenza e parte di un processo in cui l’organizzazione industriale e del lavoro (e in parte finanziaria) erano di tipo nazionale e con essa l’equilibrio di regole e pesi e contrappesi interno ad un dato percorso storico di un paese e della sua repubblica. Oggi tutto ciò non ha più nessun valore, i grandi blocchi produttivi sono congiunture d’interessi sovranazionali e sono altrove e ovunque. In virtù di ciò il capitalismo è libero di speculare sul prezzo del lavoro, per il plus valore, dove meglio gli aggrada. Infatti la filiera industriale, replica se stessa sull’intero globo spostandosi in continuazione lungo tutte le sue terre una volta nazioni. Insomma la realtà è opprimente e sembrerebbe lasciare poche vie d’uscita, ma i processi non sono univoci e ciò non toglie che uno sguardo lungo, dedito alla comprensione delle dinamiche alla base dei processi politici e alla prospettiva su cui tali eventi si estendono possa dare la possibilità di elaborare percorsi altri, percorsi umani. Nello specifico, che i mercati e il capitalismo continueranno la loro ascesa è inevitabile, anche in virtù delle intrinseche dinamiche di creazione della ricchezza e delle sue contraddizioni in precedenza illustrate, ma allo stesso tempo proprio in questo contesto c’è la possibilità di superare i vecchi rapporti di forza, gli arcaici vincoli di odio e violenza su cui si è fondato il mondo per millenni, costruendo un percorso politico nuovo, unito inizialmente a livello Europeo e poi man mano a livello mondiale. E tutto grazie alla capacità di una massa sociale in crisi di “condividere il proprio disagio sociale” e da qui organizzarsi politicamente, affinché, il mondo unito dal mercato e dal profitto diventi un mondo senza più frontiere, nazioni, classi, generi, razze. Un mondo di “uomini tra gli uomini”, ma meglio ancora di esseri viventi tra gli esseri viventi.
Tornando alla nostra epoca, a queste ore di tragedie, di guerre, di fughe in cui tutto sembra travolgerci lasciandoci inermi, forse proprio un sogno potrebbe ridarci la speranza per costruire il grande movimento di pace mondiale che parta proprio dall’Europa. Un movimento politico capace di superare da un lato i “ribellismi” dei movimenti e dall’altro i “dirigenzialismi” dei partiti (entrambi bloccati in una stantia, soffocante, rituale guerra di posizione), per ritrovare la prassi e con essa la realtà. Il sogno in questione è l’unione Euro-mediterranea, ma solo l’azione di una ritrovata forza collettiva dentro e fuori le istituzioni
offrirebbe la possibilità di realizzarla. Solo il coraggio di una ritrovata energia politica di speranza può sognare in maniera concreta e pragmatica un progetto così ambizioso, così grande. Per l’appunto le possibilità che aprirebbe una forza sociale unita europea sono immense e possono rimettere in discussione gli equilibri di potere attuali. L’Unione Euro-mediterranea, nello specifico, è la possibilità concreta, per tutte le forze sociali europee e per tutti gli esseri umani con una sensibilità, di fermare nel lungo termine il genocidio del mare (nel breve termine dovrebbe essere il corridoio umanitario e l’accoglienza) e di fermare buona parte delle guerre sull’altra sponda del mediterraneo. Inoltre, rispetto a quanto detto prima, tale estensione di confini converrebbe (anche se come dicevano sarà un estensione inevitabile) anche alle banche e alle destre liberali, in virtu’ del fatto che tutti questi nuovi territori saranno nuovi mercati da strutturare e successivamente su cui speculare. Per quanto il tutto sia già parte dei piani (non saprei dire se in maniera così definita), nel nostro caso, invece, ci darebbe la possibilità di prendere in contropiede tali dinamiche e di rilanciare all’interno di esse un discorso di pace, democrazia e partecipazione, favorendo, inoltre, tutte le forze laiche e pacifiste di quelle aree e cioè i movimenti che hanno animato e organizzato le varie primavere arabe. E tutto questo, non con un semplice atto di solidarietà, ma bensì attraverso forti, seri, strutturati programmi istituzionali, volti a favorire oltre che migliori condizioni di vita, soprattutto la cultura e la scolarizzazione di masse, le quali altrimenti sarebbero abbandonate a se stesse e ai “mostri della storia”. Nella fattispecie durante il cambio dei mezzi di produzione, non essendo ancora definita la nuova filiera produttiva e il conseguente nuovo mondo, avviene lo “scollamento tra capitale produttivo e finanziario”, in pratica tra chi lavora e chi manovra direttamente i mercati e per quel che può il Capitale. Si rompe il “processo d’identificazione” che la massa lavoratrice attua nei confronti della classe dominante e del suo modello di vita. Questo perché i capitalisti, come già detto, dopo aver prosciugato un’area, per rilanciare i profitti devono migliorare in efficienza e produttività il sistema industriale, ma facendolo tutte le vecchie forme sociali vengono sostituite da nuove. Quindi, in virtù di ciò, si affacciano nella società “i mostri”, ombre della Storia senza più identità sociale, pronte a tutto, sia con la nostalgia che con la violenza, a ritrovare l’ormai persa appartenenza. Maree di sbandati, di delusi, di solitari destinate a diventare, in questa fase di cambio, quelle forze (ovvero i fascismi) utili ad impiantare un nuovo sistema industriale. E tutto ciò sta accadendo adesso e di mostri ne abbiamo visti tanti dentro e fuori i nostri confini e questa nuova forza politica sociale unita a livello europeo, non solo ha la possibilità di arginare questo cieco ed erosivo mutare inumano in nome del profitto, ma anche l’opportunità di lottare per impedire che l’altra sponda del mediterraneo diventi un’area di instabilità geografica, un’area dove i nuovi fascismi vadano a prendere forma e strutturazione. Oltre ad essere un muro di difesa dalla violenza degli assolutismi, un progetto come l’unione mediterranea sarebbe un primo atto di vera giustizia nei confronti di persone e popoli che ci pagano le pensioni e non solo, ormai da secoli, sia come diretti e onesti contribuenti e sia come generici disgraziati da sfruttare.
Il presente è complicato e terribile, ma fin quando non avremo la forza di unirci e iniziare a dipanare la matassa della realtà e capire quali sono le strade di pace percorribili, in grado di far progredire collettivamente la società oltre gli egoismi di enti privati e multinazionali, tali sofferenze, tali dinamiche di sopruso non avranno fine e noi potremmo sentirci solo sempre più impotenti e sconfitti. Forse il mio discorso è incompleto, mancano pezzi, ma credo che dobbiamo avere il coraggio di “andare per il mare aperto” e spingere in questo nuovo contesto di rapporti di forza un discorso umanitario di pace e dialogo. Questo per poter approfittare della tabula rasa imposta dai mercati ma che, in virtù di ciò, ci permette di erodere i vecchi vincoli assolutistici (religiosi, culturali, nazionali), proiettandoci per la prima volta davanti alla possibilità concreta di avere davanti a noi l’umanità tutta e riaprendo, così, un dibattito e un processo politico, destinati a riportare al centro della società gli esseri viventi tutti. Insomma, come fu per il movimento operaio, che con le sue lotte ha “civilizzato l’industrializzazione”, così oggi la massa fluida d’individui della società post-industriale, incarnata inizialmente in questa forza sociale europea, dovrà avere l’obiettivo e l’ambizione di “civilizzare la modernizzazione”. Soprattutto grazie a questa ritrovata, sensibile e duttile intelligenza collettiva politica, forza di pace intenta ad elaborare percorsi che partano dalla sensibilità degli individui e dal loro diritto inalienabile a vivere elaborando la propria felicità in armonia con il prossimo e con la natura. Insomma il passaggio obbligato lungo i sentieri tracciati con violenza dai rapporti di forza imposti dal capitalismo aprirebbe la strada ai sogni, alla possibilità di invertire tali dinamiche di terrore attraverso gli strumenti della pace e della fratellanza. Inoltre, determinerebbe la rottura di tutti i vecchi schemi di odio e di sopraffazione su cui il potere e la paura hanno costruito il mondo, “imponendo”, grazie alla democrazia e al dialogo, all’interno del processo storico, la sensibilità delle cose vive. Infine tale processo, ci donerebbe la possibilità di proiettarci in direzione di una Storia realmente collettiva e non più riflesso dei desideri di sopraffazione e violenza della “produzione” e dei suoi manovratori.
Per finire, davanti all’aumentare del sistematico orrore del profitto, oltre al silenzio dei “sognatori”, ad essere peggiore del tacere è soprattutto la loro incapacità di organizzarsi, ma soprattutto di restare uniti.
Ed è, perciò, nostro dovere mobilitarci ora a livello europeo per “cambiare lo stato di cose esistenti”, per raccontare e costruire l’altro mondo possibile, per “restare umani”.

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