Oggi la Camera dei Deputati, con 553 voti favorevoli, 14 contrari e 2 astenuti, ha dato il via libera al taglio del 36,5% dei Parlamentari che passano quindi da 945 a 600.
Lo ritengo un errore grave che ridurrà il potere effettivo di ogni cittadino, figlio da un lato del peggior populismo e dall’altro della mancanza di coraggio.
Il Parlamento è l’organo costituzionale depositario del potere legislativo, della sovranità e della rappresentanza popolare.
Dalla genesi dei parlamenti moderni, leggi elettorali a parte, si è sempre posta la questione del rapporto, nel senso di proporzione, tra rappresentati e rappresentanti essendo la democrazia un principio politico, ma allo stesso tempo una questione di metodo: contro le oligarchie e le dittature c’è bisogno della partecipazione e del voto popolare e non potendo ovviamente tutta la cittadinanza occuparsi quotidianamente della pratica legislativa sorge il metodo della rappresentanza: un gruppo di cittadini eletti periodicamente per legiferare.
Il principio cardine delle democrazie moderne, il principio cardine della nostra Costituzione repubblicana.
C’era bisogno oggi in Italia di questa riforma?
La mia personale risposta è no, ma è opportuno rispondere alle più comuni domande sollevate nel dibattito, se pur risicato, in merito.
Ci sono troppi parlamentari? Ovviamente non c’è un numero perfetto per la composizione delle assemblee legislative, ma esiste una soglia di assestamento storico abbastanza uniforme nel contesto europeo che ci riguarda che può darci un quadro lampante: prima della riforma l’Italia era la ventiduesima nazione nella UE per rapporto rappresentanti/popolazione con 1,6 parlamentari ogni 100.000 abitanti, con la riforma balzerà all’ultimo posto con un rappresentante per ogni 151.210 cittadini.
Chi saranno e chi rappresenteranno i prossimi parlamentari?
Qui interviene una questione fondamentale: da oggi, come dimostrato, ogni parlamentare dovrà rappresentare molti più elettori aumentando di fatto le distanze e la congruenza tra eletto e territorio, tra eletto ed elettori con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista politico e civico.
Inoltre i collegi elettorali saranno gioco forza più grandi ingenerando una competizione che favorirà sensibilmente i candidati con maggiori risorse economiche tali da permettersi una campagna elettorale su larga scala.
Risparmieremo? Il risparmio previsto con la riforma è di 57 milioni di euro annui netti, circa 9 centesimi per cittadino, pari allo 0,007% della spesa pubblica.
Un risparmio ridicolo in termini assoluti che si sarebbe potuto ottenere con una legge ordinaria per il taglio degli stipendi e dei privilegi, una grave presa in giro se paragonato alla perdita in termini democratici e rappresentativi.
Vi si potrà porre rimedio con una nuova legge elettorale ed altri correttivi?
No, una nuova legge elettorale ed altri correttivi sistemici, si pensi alla platea che dovrà eleggere il Presidente della Repubblica, saranno toppe necessarie per restringere il disastro, ma che non possono modificare il cuore dell’errore: il rapporto elettori/eletti.
Il Parlamento funzionerà meglio?
Tra i sostenitori del taglio circola la tesi per la quale meno parlamentari significhi procedimenti legislativi più snelli, ma se fosse stato questo il problema sarebbe bastata una riforma dei regolamenti delle Camere, la realtà è che si vuole ridurre la capacità di intervento dei singoli parlamentari, annichilendone il mandato costituzionale, a favore dei capigruppo e dei segretari politici; il sogno nascosto, la tendenza finale, già palesata da alcuni in passato, è quella del voto ponderato dove una decina di leader si siedono a tavolino e votano in proporzione del consenso ottenuto alle elezioni politiche annullando le peculiarità che ogni singolo parlamentare ha per competenza propria, il suo mandato politico nelle sue sfumature e il suo compito di rappresentanza territoriale e collegiale.
Il Parlamento non lavorerà meglio sarà solo più omogeneo ed ubbidiente.
Va inoltre denunciato il percorso segnato da questa riforma, legittima, ma maturata quasi in silenzio senza che nessuno ponesse il tema di far attraversare il Paese da un dibattito politico cosciente all’altezza di una riforma costituzionale.
Cosa si poteva fare? Questa riforma è tutta figlia del Movimento 5 Stelle, di un populismo menzognero che trae consenso con l’inganno e la semplificazione, una riforma pensata da chi vede nel popolo solo un elemento da rabbonire e soddisfare dal punto di vista emotivo, voluta da chi derubrica l’onere di essere classe dirigente svendendo la lungimiranza per il potere momentaneo.
Ma è un dato di fatto ormai che se è stato possibile approvare la riforma oggi lo si deve anche al voto del Partito Democratico e di Liberi e Uguali, due formazioni politiche che fino ad oggi vi si erano opposti convintamente. La ragione non sfugge e sta nell’accordo di governo siglato per la nascita del Governo Conte bis.
Mi si lasci dire, come sostenevo già allora, che lì è stato commesso l’errore: è già abbastanza inopportuno che una riforma costituzionale faccia parte di un programma di governo, ma diventa grave se diviene il punto di un programma scritto in poche ore, tra pochi interlocutori, senza un’elaborazione democratica di ampio respiro.
Nel mese di settembre sono intercorse condizioni straordinarie che hanno portato alla nascita dell’attuale Governo, ma ogni straordinarietà ha dei limiti e a mio avviso quei limiti sono stati superati: è stato un errore farsi imporre così una riforma costituzionale, in quelle condizioni straordinarie si è fatto bene a trattare su tutto, ma si è sbagliato su questo punto, qualsiasi fossero state le conseguenze, perché i governi passano, ma le costituzioni restano.
Cosa si può ancora fare?
La Legge, come è noto, ha ottenuto i due terzi dei voti in tutte e quattro le letture pertanto non c’è automatismo sul Referendum popolare, a meno che non ne facciano richiesta un quinto dei membri di una Camera, 500.000 elettori o 5 Consigli regionali.
Una speranza abbastanza vana, ma che potrebbe restituire al Paese il meritato dibattito e alla politica la dignità di chi sa che le regole della democrazia valgono più di un Governo o di un sondaggio e la Storia più di una legislatura.
Francesco D’Agresta
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