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Pasolini e i meridionali

Appunti sul personalissimo e misconosciuto meridionalismo del grande intellettuale

di: andrea colasuonno,

22 Marzo 2016

Categorie: Cultura, Letteratura

Pier Paolo Pasolini nacque a Bologna nel 1922. Durante l’infanzia, a causa del lavoro del padre, visse in molti posti, frequentando spesso il Friuli. In età adulta decise di stabilirsi nella Capitale, poi nel 1959 scrisse “avevo sempre pensato e detto che la città dove preferisco vivere è Roma, seguita da Ferrara e Livorno. Ma non avevo visto ancora, e conosciuto bene, Reggio, Catania, Siracusa. Non c’è dubbio, non c’è il minimo dubbio che vorrei vivere qui: vivere e morirci, non di pace […], ma di gioia”.

Scrive queste parole in un diario di viaggio, poi pubblicato col titolo “La lunga strada di sabbia”, dove si racconta di un tour estivo che lo scrittore fece a bordo della sua Millecento lungo tutte le coste italiane. Il tragitto pensato non escludeva le coste del Nord, partiva dalla Liguria per concludersi in Friuli, ma l’attesa più grossa fu riservata al Sud. “Il cuore mi batte di gioia, di impazienza, di orgasmo. Solo, con la mia Millecento e tutto il Sud davanti a me. L’avventura comincia”, così annota nel tragitto da Ostia a Napoli.

E in effetti il meridione non lo delude. Nonostante alcune crude e impietose osservazioni che gli provocano, anche in questo caso, qualche accusa e polemica (definisce Cutro, in Calabria, “il paese dei banditi”), le immagini che usa per descrivere la parte più esotica e misteriosa della Penisola, sono quelle di uno spasimante. Nel tragitto verso Vallo Lucano, concorda con quanto aveva scritto Boccaccio di quella costa 700 anni prima, cioè che è la più bella del mondo. “[…] Qui la bellezza produce direttamente ricchezza. La gente vive in una specie di agio tranquillo, lasciando che la bellezza lavori per lei”. L’incanto, col passare delle ore e dei giorni fa il suo corso, così solo, al buio nelle strade vicino Agropoli, annota “la notte nel Meridione è ancora quella di molti secoli fa”.

“Ma il mio viaggio mi spinge nel Sud, sempre più a Sud: come un’ossessione deliziosa, devo andare in giù, senza lasciarmi tentare”. Dunque la Calabria e poi la Sicilia: Maratea, Villa San Giovanni, Siracusa. Poi ancora più in fondo, fino a Porto Palo dove “la strada finisce” e dove “la gente è tutta fuori, ed è la più bella gente d’Italia”. Di fronte al porticciolo c’è un isolotto, e lo scrittore ci si fa portare al tramonto, giunta la notte entra in mare e riporta “faccio il bagno nella più povera e lontana spiaggia d’Italia”.

Dopodiché comincia la risalita direzione costa adriatica. Taranto è “città perfetta. Viverci è come vivere all’interno […] di un’ostrica aperta”. In Puglia trova lo spettacolo del “brulichio infinito”: “ogni altro brulicare già a me noto è nulla, in confronto a questo”. Ai pugliesi “un’elica gli gira dentro, l’elica del sesso, della curiosità, della voglia di esistere”. In Salento, “coi suoi paesi greci in sciopero secolare”, “tutto minaccia di non essere”, e “mi trascina una gioia tale di vedere che quasi son cieco”.

Otranto e Ostuni, “le città del silenzio del Sud”; ancora Bari, “il modello marino di tutte le città”; il Gargano, “cattedrali e poveri ragazzi nudi, confuse città perpendicolari e informi”; Pescara, “splendida. Unico caso di città […] che esista solo in quanto città balneare”. Così via passando per Ancona, fino a Trieste.

Per Pasolini il Sud rappresenta un mondo incontaminato che in qualche modo resiste alla modernizzazione capitalistica che tutto corrompe. Da questa convinzione deriva il fascino che lo scrittore è contento di subire. In un colloquio con Alberto Arbasino, l’intellettuale spiega che nel futuro dell’Italia vede “Due Preistorie: la Preistoria arcaica del Sud e la Preistoria nuova del Nord. […] La coesistenza delle due Preistorie […] mi rende un uomo solo davanti a una scelta ugualmente disperata: perdermi nella preistoria meridionale, africana […], o gettarmi a capofitto nella preistoria del neocapitalismo, nella meccanicità della vita delle popolazioni ad alto livello industriale, nei reami della televisione”.

Pasolini, già negli anni ’60, di fronte a un’Italia travolta dall’ottimismo del miracolo economico, aveva ben chiaro che la crescita monetaria promessa dal capitalismo, non avrebbe significato automaticamente emancipazione sociale e culturale. Piuttosto si sarebbe rivelata una nuova forma di barbarie pronta a spazzar via la civiltà contadina e il suo mondo simbolico. Quando allora parla di “preistoria arcaica del Sud” definendola “africana”, lo fa in maniera assolutamente favorevole, pensando a delle vite trascorse in atmosfere sacre e regolate in base a un rapporto armonico con la natura. Questo tipo d’uomo non sarà liberato, ma non conduce la sua esistenza cercando di curare malesseri personali all’interno di una comunità disintegrata.

Per l’intellettuale il Mezzogiorno resta un mondo agrario e superficialmente cattolico, rispetto a un Nord diventato puritano e protestante. Mentre qui la produttività si accompagna a un forte senso di responsabilità, al Sud la morale dominante è un insieme d’irreligiosità, senso dell’onore e sacralità della famiglia, cosa che finisce per costituire un sistema di valori precristiano e premoderno. Semplificando potremmo dire che il Sud, Napoli, le borgate romane, sono per l’Italia ciò che il Terzo mondo è a livello internazionale: certo qualcosa di povero e pieno di questioni sociali irrisolte, ma anche di non corrotto, misterioso e quindi affascinante. Pasolini, assieme a Moravia, viaggerà per Medio Oriente, Africa e India. Quegli immaginari resteranno sempre al centro della sua poetica, mentre le idee suscitate diverranno paradigmatiche nel suo sistema di pensiero.

In questo senso a Napoli dedica alcuni dei passi più belli e chiarificatori. “Io so questo: che i napoletani oggi sono una grande tribù, che anziché vivere nel deserto o nella savana come i Tuareg o i Beja, vive nel ventre di una grande città di mare. Questa tribù ha deciso […] di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quello che chiamiamo la storia, o altrimenti la modernità. […] È un rifiuto sorto dal cuore della collettività […] una negazione fatale contro cui non c’è niente da fare. Essa dà una profonda malinconia come tutte le tragedie che si compiono lentamente; ma anche una profonda consolazione, perché questo rifiuto, questa negazione alla storia, è giusto, è sacrosanto”.

È seguendo questa sorta di ragionamenti che nell’agosto del ’59, guidando verso Ancona, definisce il mondo che ha appena vissuto “privo d’intelligenza storica”. Viaggia spedito verso il settentrione razionale, moderno, rassicurante, non gli resta che salutare e chiudere la porta dietro di sé. “Addio Sud, cafarnao sterminato, alle mie spalle, brulichio di miseri, di ladri, di affamati, di sensuali, pura e oscura riserva di vita”.

Odysseo

andrea colasuonno

Andrea Colasuonno nasce ad Andria il 17/06/1984. Nel 2010 si laurea in filosofia all'Università Statale di Milano con una tesi su Albert Camus e il pensiero meridiano. Negli ultimi anni ha vissuto in Palestina per un progetto di servizio civile all'estero, e in Belgio dove ha insegnato grazie a un progetto dell'Unione Europea. Suoi articoli sono apparsi su Nena News, Lo Straniero, Politica & Società, Esseblog, Rivista di politica, Bocche Scucite, Ragion Pratica, Nuovo Meridionalismo.

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