Esse - una comunità di Passioni

Quale legalità?

Per una legalità costituzionale

di: giulio di donato,

2 Marzo 2016

Categorie: Archivio

Se provassimo a declinare il concetto di legalità alla luce del suo rapporto coi principi costituzionali?

Se guardiamo alla storia, vediamo come le lotte per avanzare sul terreno sociale ed economico si sono caratterizzate spesso come strappi alla legalità, come pratiche di disobbedienza alla legge del tempo. Non era certo “legale” lo sciopero, non erano certo legali le occupazioni, entrambi fondamentali strumenti di lotta dei lavoratori. Così come più avanti, non erano certo “legali” tutte quelle battaglie che, entrata in vigore la Costituzione, violavano apertamente la legge del tempo (si guardi alla straordinaria esperienza di Danilo Dolci) perchè in contrasto coi principi costituzionali. E tutte quelle lotte e pratiche di disobbedienza che hanno fatto da preludio alla grande stagione di riforme degli anni settanta.
Questo premettendo, senza voler fare alcun tipo di paragone fra le esperienze di lotta degli ultimi anni e i grandi movimenti sociali del secolo scorso. Lungi da me tentare un simile parallelo, sarebbe oltremodo forzato e antistorico.

Alcuni esempi legati alla situazione ordierna.
L’esperienza dell’ex cinema Palazzo a San Lorenzo, a Roma. Qui, un pezzo di comunità di quartiere ha dato battaglia per sottrarre quell’edificio alla speculazione privata che ne voleva fare un casinò, così offendendo la storia e l’identità di quel quartiere. Nessuna occupazione di pochi ad uso e beneficio di pochi, bensì un punto di aggregazione e incontro per la comunità dove, attraverso una gestione che a me sembra aperta e partecipata, vengono organizzate iniziative culturali, discussi e affrontati i problemi del quartiere e della cittadinanza. Insomma, un luogo dove fare esercizio di democrazia e partecipazione. Sulla stessa linea si muovono altre occupazioni che, spesso in periferia, riqualificano stabili abbandonati e fatiscenti, per offrire tutta una serie servizi alle comunità di riferimento. Ora, fermarsi solo sul punto legalità sarebbe assai miope. Certo, c’è da gestire tutta la fase che segue all’emergenza, dando forza e leggittimità alle nuove esperienze, rilanciandone lo spirito iniziale e contrastando pericolosi ripiegamenti e distorsioni, del tipo una gestione che diventa di pochi e per pochi.

Che dire, poi, delle occupazioni a scopo abitativo di edifici abbandonati da parte dei senza casa, qui a Roma, dove accanto a intere palazzine e quartieri disabitati esiste un’enorme emergenza abitativa? Che dire, ad esempio, se una famiglia senza casa si trovasse ad occupare il milionesimo appartamento invenduto, all’interno dell’ennesimo palazzo disabitato di proprietà del grande costruttore di turno? Attraverso un’esercizio di bilanciamento, guardando al dettato costituzionale che circonda di limiti e cautele la proprietà privata allo scopo di assicurarne la “funzione sociale”, si giustificherebbe pienamente quella esperienza di lotta facendo prevalere il diritto fondamentale all’abitare del singolo piuttosto che il diritto di proprietà del grande costruttore sulla sua milionesima casa.
Così discorrendo, che fare se una comunità di lavoratori decidesse di occupare la propria fabbrica in chiusura, richiamando il datore di lavoro alla sua “responsabilità sociale” nel momento in cui questi decide di trasferire altrove la produzione per avere migliori margini di profitto, per mere esigenze di mercato e di competitività? Qui basterebbe la semplice lettura dell’art. 41 della Costituzione: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.”

Insomma, il lavoro, i diritti di cittadinanza, i beni comuni si difendono anche con occupazioni, lotte di resistenza e pratiche di disobbedienza. In questo scenario, le lotte sociali incarnano oggi lo spirito rivoluzionario della nostra Costituzione: superare i privilegi, estendere i diritti, promuovere la giustizia sociale, sottrarre spazi e beni comuni alla speculazione privata, al potere onnipervasivo del mercato, alla sua tendenza a tutto mercificare. In una fase storica da molti definita come post-democratica, con una politica immobilizzata dalla varie compatibilità date, forse solo il conflitto può riaprire un discorso per l’applicazione dei principi costituzionali.

Ps. In una fase di “normalità democratica”- mi chiedo: questa quanto lo è? – vanno utilizzati tutti gli strumenti che la nostra preziosa seppur manomessa Costituzione ci offre. Ben consapevoli, però, del difficile e problematico rapporto fra capitalismo e democrazia, del fatto che appena si arriva ad un certo livello di compromesso c’è la continua minaccia di venir ricacciati indietro (si pensi al ripetuto attacco al welfare state e alla regressione in termini di diritti e tutele degli ultimi anni), che quando si azzardano radicali e avanzate riforme di trasformazione sociale ed economica (vedi il piano Meidner e l’omicidio di Olof Palme in Svezia), ecco agitarsi, a strenua difesa dei propri privilegi, il cosiddetto “sovversivismo” delle classi dominanti.

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giulio di donato

Romano. Militante di base. A Sinistra, in direzione ostinata e contraria.

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