Il 31 maggio scorso, un giorno prima del 25° anniversario della costituzione della Provincia della Tierra del Fuego, la polizia antisommossa ha posto fine all’occupazione che da oltre 90 giorni viveva nella calle San Martin.
Un attentato nel cuore della notte: gas, lacrimogeni e un incendio che non avrebbe fatto ricredere Magellano sulla denominazione della Provincia Fueguina.
Ciò che è visibile alle prime luci del mattino, di fronte la Casa de Gobierno, è un catasto di macerie: accampamenti distrutti, compagni feriti e un inverno che sembra farsi ancora più gelido.
Alcuni funzionari, all’indomani dell’appiccamento, hanno denunciato gli stessi manifestanti di aver incendiato le tende come atto di protesta per reagire allo sgombero – come se il danno non bastasse!
Rosana Bertone, la gobernadora della Provincia, in un fiume di giustificazioni miste a menzogne ha esordito: «Non do peso a chi mi accusa di autoritarismo».
«Abbiamo avuto richieste da parte dei commercianti e di chi lavora nel settore turistico. Abbiamo preso questa decisione perché c’erano molte tende vuote».
«Un cambiamento nel sistema pensionistico non giustifica la violenza di un gruppo di minoranza che vuole solo destabilizzare il Governo. Viviamo in una società democratica».
Viene da chiedersi che gradino occupa la libertà di espressione e di manifestare in una società democratica.
L’Uniòn des Gremios in risposta alla repressione subita ha infittito la programmazione dei lavori. Ad Ushuaia le manifestazioni quotidiane hanno visto la partecipazione oltre 2.000 persone. Il Palazzo del Governo resta blindato e tutt’oggi presidiato dalla polizia.
Fernando Germani, militante del Partito Obrero ci racconta:
«Abbiamo alzato la posta. Quello che chiediamo adesso non è più lo stesso di quello che abbiamo chiesto quando è iniziato il conflitto. Non vogliamo soltanto l’abrogazione del pacchetto di leggi che ci priva dei nostri diritti sociali, ma vogliamo che le tariffe del gas ritornino quelle di sei mesi fa. E tutta la nazione è dalla nostra parte. Il nostro interlocutore non è più soltanto Rosana Bertone, ma anche il presidente Macri».
«Non cederemo di un passo. La dittatura di Rosana Bertone ha i giorni contati. Continueremo a manifestare per i nostri diritti. Ni un derecho menos!»
Come direbbe De André: “Voi non avete fermato il vento, gli avete fatto soltanto perdere tempo!”
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