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Sinistra. Lavori in Corso

Spunti per la ricostruzione e la ripartenza della Sinistra

di: Emilio Russo,

31 Marzo 2018

Categorie: Politica Interna

1. Bisogna partire dalla constatazione che il risultato di LeU ha condannato le forze di sinistra che avevano dato vita alla coalizione all’irrilevanza politica. La conseguenza più ovvia e immediata è la sua sparizione dai radar della discussione politica e dalle scelte parlamentari e di governo di questa fase e il fatto che la discussione si sia di nuovo concentrata sul mantra – stucchevole e autoreferenziale – del “futuro della Sinistra”. Gli sviluppi possibili della dinamica in atto – confermate dal “verbale” dell’assemblea di SI – mi sembrano i seguenti:

a) Il riflusso di pezzi della coalizione verso le tradizionali posizioni della “Sinistra radicale”: è lì che portano i giudizi che SI sta esprimendo sul voto del 4 Marzo, che mi sembrano di una grande superficialità e ispirati unicamente al proposito di consumare una ritorsione verso la componente che ha guidato il processo (MDP) evocando una generica “radicalità” senza contenuti.
In queste posizioni vedo anche l’intento di regolare i conti con il Pd in quanto tale, con un “L’avevamo detto” molto retrospettivo che non distingue tra un partito che prendeva 12 milioni di voti nel 2008 e uno che ne prende la metà dieci anni dopo e che non riesce a rendersi conto del cambiamento di paradigma che si è prodotto nell’insediamento sociale e nel posizionamento politico scelto dal partito in questione.
La cosa più sorprendente è che, mentre si condanna senza appello e senza nessuna analisi storica l’esperienza del Pd, si elude la riflessione sui fallimenti delle diverse sigle in cui si è espressa la vocazione minoritaria di cui si è eredi.

b) Il riflusso di una parte dei protagonisti e degli elettori di LeU verso il PD, a partire dalla duplice convinzione che non sia possibile far acquisire nessuna rilevanza politica alle idee “di sinistra” al di fuori di un partito che abbia una rilevante massa critica e che, dopo la sconfitta elettorale, il PD sia di nuovo un partito “scalabile”.
Entrambi presupposti mi sembrano deboli ed esposti a un’unica obiezione comprensiva: non tengono conto del fatto che il cambiamento intervenuto nel PD ha probabilmente un carattere strutturale (va al di là del ruolo di Renzi, che continua comunque a essere decisivo) di cui, nel bene e nel male, bisognerà tenere conto e che, a questo punto, una revisione profonda del suo indirizzo politico comporterebbe probabilmente una sua rottura, con una parte tentata dall’avventura “macronista” e un’altra che potrebbe trovare le ragioni di un rilancio solo attraverso il dialogo con una forza di orientamento socialista, oggi assente.

c) La creazione di una forza politica autonoma che prenda atto della sconfitta – non solo elettorale – di LeU e archivi questa esperienza facendo tesoro dei suoi elementi positivi e dei suoi limiti.
Insistere nella continuità vorrebbe dire rispondere agli elettori – potenzialmente di sinistra – che non ci hanno votato che sono stati loro a non avere capito e non noi ad avere sbagliato, e partire con la zavorra di contenuti e di atteggiamenti che hanno impedito, sia pure con le attenuanti delle difficili condizioni della breve campagna elettorale, di apparire nemmeno lontanamente come una forza politica popolare, di massa e con una vocazione di governo.

2. I tempi e le modalità di questa ultima operazione politica sono le questioni, tra loro intrecciate, che occupano la nostra discussione. Meno, purtroppo, la riflessione e il confronto sui contenuti e sulla “missione” che oggi questa nuova forza politica dovrebbe avere in Italia e in Europa e sui suoi riferimenti culturali: l’area della socialdemocrazia europea, con tutti i suoi problemi e con le esigenze di un radicale ripensamento della sua “visione del mondo” o quella del populismo di sinistra minoritario?
Il tema dirimente è questo: vogliamo essere una testimonianza identitaria che si oppone alle derive della globalizzazione non governata o un partito che si carica, senza velleitarismi ma con coraggio, del compito di mettere al centro della sua battaglia politica le grandi “questioni” che le classi dirigenti italiane non hanno mai saputo affrontare in modo del tutto convincente: lo sviluppo e il lavoro, lo squilibrio tra Nord e Sud, la lotta contro l’illegalità diffusa?
Vogliamo essere dentro la ricerca di un nuovo equilibrio tra economia e politica, tra Stato e mercato, tra individuo e comunità (cioè impegnati nella costruzione di un nuovo riformismo) o affidarci al mantra per cui – come nel programma elettorale di LeU – è buono per definizione solo ciò che è “pubblico”? Continuiamo a ritenere corretto – anche sul piano antropologico – il collegamento tra democrazia e lavoro contenuto nell’Articolo 1 della Costituzione o ci adeguiamo – come mi sembra stia facendo qualcuno – all’idea che il compito fondamentale della sinistra sia quello di battersi per garantire un reddito alle vittime della globalizzazione e dell’innovazione tecnologica?

3. Sia Possibile che SI rivendicano l’esigenza di tempi lunghi per l’avvio della “fase costituente” del nuovo (eventuale) partito. Se ho capito bene, Civati addirittura ha deciso che il tema potrebbe essere ripreso solo dopo le elezioni europee del prossimo anno.
Per questo motivo, entrambi i movimenti hanno scelto di mantenere la propria organizzazione e di procedere a tesseramento, congressi ecc. Si tratta di scelte legittime e che ritengo – sia pure da un punto di vista opposto – opportune. Con ciò, credo che dovremmo definitivamente renderci conto che la sigla, l’identità politica, la formula organizzativa di LeU non sono più spendibili.
Resta però un vuoto politico enorme che deve essere riempito. Non possiamo pensare che i prossimi mesi – con le scadenze amministrative, i temi sociali, la prospettiva del voto europeo ecc. – non vedano in campo “la sinistra” o siano riempiti dalle schermaglie dei relitti di LeU. In sintesi, la mia opinione è che il processo avviato con LeU, debba essere sviluppato ma solo su basi del tutto rinnovate, con nuovi riferimenti simbolici, un nuovo programma e una nuova leadership.
Personalmente ritengo che i riferimenti fondamentali siano quelli contenuti nel Manifesto di Articolo 1 – MDP, che mi permetto di riproporre: “Siamo donne e uomini che si impegnano in un movimento democratico e progressista con l’obiettivo di dare all’Italia un governo che corrisponda ai bisogni e gli interessi del nostro Paese. Un progetto di governo che si avvalga dell’esperienza delle donne per realizzare una società più equilibrata, accogliente, meno individualista, che si batta per sviluppare una coscienza dei diritti e delle libertà fondamentali.
Pensiamo che l’Italia abbia urgente necessità di questo impegno per contrastare il populismo e l’avanzata delle forze antisistema e della destra isolazionista e reazionaria. Per questo serve costruire e radicare in tutte le comunità un campo di esperienze democratiche e progressiste legate alle culture socialiste, liberali, cattoliche democratiche e ambientaliste, al mondo civico dell’associazionismo e del volontariato, alla grande mobilitazione popolare manifestatasi nel recente referendum costituzionale”.

4. Personalmente, rimango convinto che queste siano le basi di partenza per un progetto politico da porre alla base del nuovo partito. Non altre. E sfido chiunque a riconoscere nell’esperienza di LeU qualcosa che assomigli a quel progetto, dalla vocazione di governo all’apertura alle diverse culture, all’ambizione di concorrere alla ricostruzione di un campo più ampio.
Ho anzi il sospetto che la ragione fondamentale del tracollo elettorale sia stata quella di allontanarsi da esso privilegiando invece lo slogan dell’unità della Sinistra, di una vecchia sinistra in cui si sommavano i tic elitari, le debolezze teoriche, gli opportunismi del ceto politico – nessuno escluso – che ha fatto vivere, in una forma insopportabilmente assemblearistica e centralistica, l’esperienza di LeU, vanificando gli sforzi generosi di tante e tanti militanti.

Allora dico: facciamo un partito, da subito, rivolgendoci senza altre esitazioni, con il nostro progetto, alle componenti che citavamo nel Manifesto: al “campo di esperienze democratiche e progressiste legate alle culture socialiste, liberali, cattoliche democratiche e ambientaliste, al mondo civico dell’associazionismo e del volontariato”, a partire dalle diverse realtà territoriali – non esclusa quella di Como – e con un messaggio politico nazionale chiaro. Se i silenzi imbarazzanti di queste settimane del gruppo dirigente di MDP erano (anche) in funzione del tentativo di non apparire settari e di “stanare” le altre forze, va bene. Ma adesso si tratta di passare il Rubicone.
Visto il risultato del 4 Marzo, abbiamo solo da perdere le nostre catene. Se si parte – permettemi di parlare per me – io ci sono. Se prevarrà la tentazione di rifare LeU, tradendo – diciamolo apertamente – parte delle ragioni della mia e nostra adesione a MDP, ci penserò due volte.
Così come sarà decisiva la riconferma dell’obiettivo politico di concorrere alla rifondazione di un campo rinnovato del centrosinistra di cui un partito come quello che vorrei contribuire a costruire non potrebbe che essere una componente essenziale.

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