Nella città pugliese dove sono nato, Andria, lunedì 11 maggio è venuto a parlare Salvini. Sembra incredibile a dirsi ma anche da noi, in vista delle comunali, c’è una lista di “Noi con Salvini” che appoggia il candidato sindaco di destra, così il Nostro è venuto a fare campagna elettorale. La risposta dei miei concittadini è stata di 3 tipologie diverse: alcuni hanno detto non merita neanche il mio sdegno, meglio ignorarlo; alcuni (pochi) sono andati a contestarlo apertamente; infine per i molti era giusto lasciarlo parlare perché siamo in democrazia. Per giustificare quest’ultima posizione c’è stata allora un’epidemia di “non sono d’accordo con quello che dici ma darei la vita perché tu lo possa dire” che neanche il morbillo.
Considerato che la situazione avutasi nella mia città è paradigmatica di tutte le città del Sud che Salvini ha deciso di inserire nel suo tour, vale la pena soffermarcisi un attimo. Nello specifico vale la pena chiedersi: c’è un limite alla tolleranza o qualsiasi cosa può essere giustificata con il motto di Voltaire per cui non sono d’accordo con quello che dici eccetera eccetera?
A scanso di equivoci va data una prima brutta notizia: Voltaire non ha mai detto quella frase. Evelin Beatrice Hall, sua biografa, gliela attribuì indebitamente, per poi ammettere in seguito che in effetti era un falso. Del resto fu facile associarla al grande filosofo illuminista considerato che è stato l’autore del “Trattato sulla tolleranza”, testo uscito nell’estate del 1763, divenuto pietra miliare della filosofia politica contemporanea. Ma cosa scrisse davvero Voltaire sull’argomento?
Nel suo libro il filosofo francese si chiese che cosa fosse la tolleranza, rispondendosi che “è l’appannaggio dell’umanità. Siamo tutti impastati di debolezze ed errori: perdoniamoci reciprocamente le nostre sciocchezze, è la prima legge di natura”.
Nella prefazione al “Trattato”, Salvatore Veca prova a inserire il messaggio di Voltaire nel dibattito politico-filosofico attuale e spiega che ci sono 3 tipi di argomentazione a favore della tolleranza: quella prudenziale, quella razionale e quella morale. In breve, quella che si addice all’ambito politico è la motivazione razionale perché il suo mezzo è la discussione pubblica. Ossia questo argomento afferma che è giusto tollerarsi perché è l’unico modo che ha una comunità per includere tutti i suoi partecipanti impegnanti a rintracciare cooperativamente la verità, comunicando reciprocamente le proprie ragioni e le proprie credenze. Potremmo dire che la tolleranza è la condizione di possibilità per la comunicazione pubblica.
Vista questa premessa è chiaro che la comunità dei comunicanti deve essere per definizione aperta ai nuovi entranti, “si accettano domande di inclusione, non proclami o annunci di secessione dalla comunità inclusiva della comunicazione”. Siamo arrivati al punto.
Il punto è che Salvini ha costruito sull’intolleranza e sull’esclusione la sua carriera politica: quando il problema erano i terroni, d’accordo col suo partito, voleva dividere il Nord dal Sud; quando il problema è diventato l’Euro ha proposto che l’Italia uscisse; quando il problema sono gli immigrati propone di non farli sbarcare; quando il problema sono i centri sociali o i campi rom propone di raderli al suolo con le ruspe. Ha una soluzione per tutto Salvini, una nel senso sempre la stessa.
Non dico che il leader leghista non accetti la discussione pubblica o il dibattito (li accetta fin troppo, in tv), ma lui discute per riaffermare e suffragare le sue intenzioni di esclusione. Questo semplicemente non vale, non si può fare, prova ne è anche la incostituzionalità di molte delle cose che dice e il supporto di tutta una serie di gruppi parafascisti di cui gode, i quali, sappiamo, hanno un rapporto quantomeno problematico con la democrazia.
Tornando a Voltaire e al suo “Trattato sulla tolleranza” (ne approfitto per scusarmi di aver citato Voltaire e Salvini in uno stesso articolo, non si ripeterà più), è consigliabile leggere il libro fino in fondo. Nelle ultime pagine c’è un capitoletto intitolato “Soli casi in cui l’intolleranza è di diritto umano”, in cui si apprende che la tolleranza si ferma davanti a quelli che “turbano la società: turbano la società non appena ispirano il fanatismo; bisogna dunque che gli uomini comincino con non essere fanatici per meritare la tolleranza”.
A questo punto le conclusioni potrebbero essere:
(1) basta con sto “non sono d’accordo con quello che dici…” messo dovunque, disinvoltamente, a giustificazione di qualunque cosa;
(2) alla tolleranza c’è un limite e, soprattutto, va guadagnata;
(3) ognuno decide il suo atteggiamento di fronte agli eventi e chi opta per non tollerare Salvini e per contestarlo ha le sue legittime ragioni.
Ne ha ancora di più poi se quel qualcuno è un meridionale, il quale per anni è stato vittima dell’intolleranza di Salvini e adesso potrebbe benissimo non accettare le sue scuse o non credere alla loro autenticità.
Andrea Colasuonno nasce ad Andria il 17/06/1984. Nel 2010 si laurea in filosofia all'Università Statale di Milano con una tesi su Albert Camus e il pensiero meridiano. Negli ultimi anni ha vissuto in Palestina per un progetto di servizio civile all'estero, e in Belgio dove ha insegnato grazie a un progetto dell'Unione Europea. Suoi articoli sono apparsi su Nena News, Lo Straniero, Politica & Società, Esseblog, Rivista di politica, Bocche Scucite, Ragion Pratica, Nuovo Meridionalismo.
di: Franco Astengo,
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