Qualunque siano le condizioni storico – economiche che tu sia destra, di sinistra o di centro, l’elettore medio chiederà sempre la stessa cosa: la riparazione della “buca davanti casa”. Sono gli enti locali ad intervenire, spesso le province. Ma non erano state abolite?
La enorme confusione generata da una legislatura di riforme annunciate, riforme realizzate e riforme fallite, segna un punto di rottura tutt’altro che banale nel rapporto fra i progressisti ed il suo corpo elettorale più tradizionale.
Un’intera porzione della nostra penisola è stata governata dalle sinistre per decenni, con il concorso del mondo dell’associazionismo e della cooperazione. Mai ci saremmo sognati di distruggere ciò che di buono è stato costruito per erigere…il niente.
Difatti, una volta abbandonata la strada della responsabilità e del buon governo (seppur appesantito da un burocratismo quasi feticista e da un forte corporativismo), ci siamo incamminati verso la lunga rincorsa delle forze populiste. Il Partito Democratico si è staccato dalla sua cultura e le sue tradizioni per questa rincorsa, paventando operosità e velocità al posto di “burocrazia e lentezza”. Primo obiettivo: “asfaltare” le province.
Le 80 province italiane sono state infatti riformate attraverso la celebre l. 56 del 2014, appena 44 giorni dopo l’ingresso di Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Alla conclusione del 2013 il neo-segretario del Partito Democratico tuonava “faremo provare l’ebbrezza di tornare a lavorare ai politici delle province”, “aboliremo le cariche elettive delle province per tagliare i costi della politica”.
Si parlava allora di “abolizione delle province” ma, come è noto, questo tipo di ente locale è previsto in Costituzione. Le province sarebbero state realmente abolite esclusivamente se avesse il 4 dicembre 2016 avessero prevalso i “si” al referendum costituzionale.
Risultato: grazie alla lungimiranza di un governo miope, ci troviamo oggi con enti di rilevanza costituzionale presiedute da sindaci (supportati da consiglieri eletti dai consigli comunali), con funzioni importanti e, soprattutto, senza una lira. Mentre nelle regioni a statuto speciale si corre verso il superamento della l. 56, ristrutturando gli enti (se possibile in maniera più costosa, come da tradizione), la quasi totalità del paese inveisce contro i sindaci-presidenti di Provincia: non possono garantire la manutenzione di 130.000 km circa di strade provinciali e di 5.200 scuole.
Parte degli oneri vanno oggi a gravare su comuni o altri enti intermedi formati da unioni di enti locali (come le unioni dei comuni, elette anch’esse in secondo grado), spesso culle dei conflitti fra comune e comune, completamente prive di indirizzo politico, generando ulteriore confusione fra i cittadini che dopo avere perso un riferimento nei partiti, cominciano a covare un malcelato astio nei confronti delle istituzioni, sempre più in difficoltà nella risoluzione dei piccoli problemi quotidiani, quelli che concretamente influenzano l’opinione pubblica.
Si tratta di un argomento sicuramento noioso, poco appassionante nonostante la sua importanza. Gli italiani sono stati ubriacati dalla parola d’ordine “Riforma delle istituzioni” e devono ancora riprendersi dalla sbronza del dicembre 2016. Dunque, quasi nessuno parlerà di questa tematica urgente in campagna elettorale, nonostante tutti (più o meno) scrivano a proposito della necessità di intervenire sul sistema degli enti locali dopo i pastrocchi fatti.
Durante la XVIII legislatura, parleremo ancora di riforme costituzionali?
Difficile da dirsi, intanto va raccolto un dato allarmante fra le righe dei programmi elettorali: il centrosinistra giocherà la partita sulla difensiva (“noi ci abbiamo provato”) ben sapendo che gli elettori conoscono gli autori del pastrocchio. E LeU? Non pervenuta, la questione è assente nel programma elettorale depositato al Viminale.
Ecco dunque dove perderemo queste elezioni. Non fra gli errori commessi nella composizione delle liste elettorali ma sulla nostra incapacità di “riparare le buche”, quando un tempo era il nostro pane quotidiano.
Studente, capogruppo di maggioranza per il Comune di Piteglio (PT) dal 2014 al 2017. Membro del consiglio comunale di San Marcello Piteglio (PT).
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