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Furori e orrori dalla Prima repubblica a oggi

Favola brutta per bimbi grandi

di: Carlo Crosato,

26 Febbraio 2018

Categorie: Italia, Politica Interna

C’è stato un tempo in cui la politica era una cosa nobile e seria, in cui i politici, consapevoli delle loro responsabilità, studiavano alacremente i fenomeni e i processi, ne discutevano in seminari e assemblee, scrivevano articoli e ricerche scientifiche. Non era questione di titoli di studio, quanto della coscienza del compito che la democrazia affida a chi si avvicenda al ruolo di rappresentanza e legislazione. Un compito da prendere seriamente, pena il deterioramento della stessa democrazia, lo svuotarsi non tanto delle sue strutture e delle sue procedure, quanto invece del loro valore; era la coscienza di chi sa che cosa accade se la democrazia perde di valore e diviene una mera competizione ludica per conquistare il potere: essa si trasforma in una trottola che gira, che abbacina tutti, e che così può cadere sotto il controllo di idee e persone poco raccomandabili.
C’è stato un tempo in cui la politica aveva il senso della responsabilità, in cui il politico si sforzava di intendere le dinamiche storiche nella loro profondità, con un minimo di pensiero lungo, di prospettiva. Con l’autorevolezza di chi ha bucato la superficie degli eventi e si assume il rischio di anticipare i tempi, il politico poteva arricchire il dibattito, formare l’opinione pubblica non nel senso di plagiarla ma nel senso di promuoverne una maturazione costante e progressiva.
Poi c’è stato il momento della politica ai tempi della televisione, scandita da ritmi più propri al marketing che a quelli lenti e meditati della democrazia. Il contemporaneo complicarsi delle questioni tecniche, specialmente economiche, ha scoraggiato il cittadino, che si è sentito sempre più inadeguato a comprendere e partecipare alla riflessione intorno a questioni che, purtuttavia, alla fine ricadevano su di lui. La delega e l’autorizzazione hanno sostituito la rappresentanza, il disinteresse e la sfera privata hanno sostituito sempre più il coinvolgimento nella vita della collettività. La ricerca della felicità privata era più alla portata rispetto alla ricerca di una realizzazione comune.
Mentre le sezioni di partito di svuotavano, la combinazione di rapidità e disinteresse conduceva la politica a ridurre la propria prospettiva di analisi: ci si accorgeva anzi che più complessa e articolata era l’analisi e meno attraente risultava per lo spettatore. Slogan rapidi, soluzioni immediate che permettessero al cittadino-spettatore di tornare alla propria vita privata con serenità: ci sta pensando qualcun altro. Riducendo la propria capacità di leggere le dinamiche storiche e di anticipare i tempi, il politico sprofonda nel presente: dimostra di sapere quali sono i problemi della gente comune perché ne conosce gli effetti più immediati, ma sempre più spesso riduce il caso singolo, empiricamente osservato, con la globalità del fenomeno, proprio come farebbe un osservatore sprovveduto. Il particolare è trasformato in universale, e basta osservare una persona delinquere per trasformarla in una categoria da escludere; le categorie ampie e immediatamente rapportabili all’esperienza più comune vendono e soddisfano, non impegnano e non annoiano.
Proprio quest’ultimo aspetto conduce a un paradossale ribaltamento. Dalla politica del cesarismo, per cui la delega a pochi salvatori permette di disinteressarsi della cosa pubblica, trasformando la politica in banale lettura del quotidiano e miope analisi del presente, nell’epoca di internet si ribalta nell’illusione che una simile lettura sia alla portata di chiunque, in qualunque condizione, senza nessuno sforzo. Improvvisamente un’orda di dilettanti allo sbaraglio, non tanto per incompetenza quanto per superficialità e leggerezza, invade la scena pubblica: tutti possono fare tutto senza alcun impegno, semplicemente aprendo bene gli occhi e descrivendo la realtà per quella che pare essere. È il trionfo della conservazione dello status quo: politica significa affondare nel presente più prossimo, ma con grandi capacità descrittive, scambiate per trasparenza e onestà. L’afflato aziendalista non è stato abbandonato, ma è stato riempito con tutto un arsenale comunicativo molto più adeguato al marketing contemporaneo, dando la stura a malumori indotti e suggerendo parole d’ordine da ripetere e ripetere. Si rimesta sempre nello stesso fango: un fango che spesso è lo stesso marketing ad aver riversato nel paese, distraendo, inventando, fuorviando. La formazione dell’opinione pubblica ora è la semplice imposizione di formule da ripetere e, quando tutti le hanno mandate a memoria, si grida al successo: solo noi siamo in sintonia con il paese reale.
E nessuno provi a svegliarci da questo sogno in cui finalmente la superficialità dell’uomo comune si combina con la favola del salvatore della patria.
Le favole solitamente hanno una morale. Questa potrebbe averne molte di morali, ma prima di tutto pone una domanda: e ora? Una prima risposta, insufficiente, potrebbe essere che bisogna riprendere un impegno culturale e politico orizzontale, che non si limiti a dare il potere, ma che lo eserciti con consapevolezza e responsabilità. La favola per cui tutti ora possono fare tutto non deve ribaltarsi in un incubo elitista. È necessario promuovere un progresso culturale per cui tutti possono essere all’altezza di intervenire, coi tempi e i modi opportuni, perché la democrazia non si trasformi in un affare di pochi presunti competenti, e, dall’altra parte, senza che la democrazia si traduca in un baccano disordinato e superficiale, di parole a vanvera.

Carlo Crosato

http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/index.php?s=crosato

Dottorando di ricerca in Filosofia politica. Collaboratore di Micromega: Il Rasoio Di Occam. Autore di: L'uguale dignità degli uomini (2013); e allora? (2014); Dialogare con il Solipsista (2015); Dal laicismo alla laicità (2016); Il non detto (2017).

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