Confesso di aver vissuto con una certa apprensione l’avvicinarsi di questa nuova assemblea. E ciò perché, sulla riuscita di questi tre giorni sono riposte, fomentate da mesi di annunci, le aspettative della sinistra di questo paese, da troppo tempo priva di un luogo inclusivo che esprima senso ed efficacia politica. L’apertura generosa avvenuta con Human Factor, la consapevolezza sempre più plastica della non autosufficienza della sinistra dispersa in mille rivoli, le contraddizioni che hanno indotto divorzi rilevanti dal pd, la costituzione di un gruppo parlamentare unitario che al Quirino ha, di fatto, esposto una piattaforma programmatica che esprime una cultura politica alternativa al Partito della nazione. Tutto questo sono acquisizioni che hanno autorizzato sin qui speranze ed investimenti , sostenuti da un’esigenza fortemente sentita, quella di riconciliarsi con l’azione trasformatrice della politica. Quell’azione che sa cambiare la realtà e che non può prescindere dalla struttura.
Il processo che chi è qui si dispone ad animare, letteralmente, anche se con differenti sfumature, non era ulteriormente rinviabile, pena il perdurare di quel debito di rappresentatività ed efficacia che ci lega colpevolmente a quella parte prevalente del paese le cui condizioni di vita materiali ed immateriali vorremmo migliorare. Di qui la cautela e il supplemento di sensibilità che richiede a tutti noi questo delicato passaggio. Non si sacrifichi o laceri un patrimonio già disponibile e potenziamenti espansivo, nel tentativo di condizionare l’esito di un percorso che dovrà, per sua natura, essere aperto e contenibile. Non viziamo i presupposti di questo nostro atto costituente collettivo, con modalità che evocano le ragioni per le quali l’Italia è ancora un’anomalia in un contesto internazionale in cui, oltre a Spagnna, Portogallo, Grecia anche Gran Bretagna e Stati Uniti sembrano poter restituire una prospettiva a sinistra.
Va assunto qui l’impegno al superamento dei recinti ancora esistenti, nella consapevolezza che si trasferirà la propria comunità di idee, di passioni, altrove, perché l’obiettivo è ineludibile. E’ esaurito il tempo delle ambiguità, se non quello scandito dalla nostra percezione, certamente quello storico, che non si adegua all’esigenze inerziali di chi con operazioni di cosmesi pensa di non cambiare nulla. Sono esauriti i margini dei microposizionamenti, gravidi di caricaturizzazioni reciproche, sospetti paralizzanti e letture distorte dei contributi offerti al dibattito.
E’ il tempo della politica, quella vera, quella che non ha il timore di nominare e di riconoscere, ad esempio, che la parola sinistra è troppo ricorrente per essere abbandonata. E’ ricorrente perché allude ad una storia, ad una collocazione distintiva di cui la ragione ha bisogno, perché evoca un’orizzonte di senso e contenuti costruttivamente legati al principio di equità e chiarezza che quel termine esprime, permettendo di non risolvere in un indistinto penoso sofferenze, disuguaglianze riconducibili al conflitto capitale-lavoro. Rimuovendo, il quale, lo si dica, non sei svela che la precarietà, comunque intesa, è al contempo una conseguenza e un presupposto del capitalismo. Anche per questo è necessario uno strumento di raccordo tra lotte sociali ed istituzionali, un’organizzazione che solleciti intelligenze, fornendo luoghi di approfondimento e di costruzione dell’iniziativa politica.
Non alludo a perimetri in cui sopravvivano logiche pattizie, che legittimino il permanere delle strutture di provenienza. Non federazioni, non cartelli elettorali, non sommatorie di entità interessate solo a mantenere le proprie rendite di posizione. Sono tutte formule già sperimentate, la cui strumentalità deteriore, talvolta associata ad un’insopportabile minoritario, ha prodotto risultati disastrosi. >Guardiamo invece ad un nuovo, grande partito includente e capace di darsi un profilo autonomo che non sia la risultante di negazioni e posizionanti elettorali, ma l’esito consapevole di una rinnovata cultura politica che sappia attraversare le generazioni, ricomponendo quel patto sociale ferito da quel nuovissimo superficiale e reazionario di cui il partito di Renzi è formidabile interprete.
Perché se è vero che su quel partito pesa la responsabilità di avere disperso un enorme patrimonio politico ed istituzionale, formalizzando un patto strutturale con le componenti più arretrate del Paese, i cui contenuti eversivi hanno completa traduzione governativa, noi abbiamo la responsabilità di non avere ancora occupato quello spazio deserto, pronto ad ospitare un grande partito della sinistra. Un partito organizzato e radicato, che non risolva nelle piattaforme digitali i propri processi decisionali, pur riconoscendone l’importanza per facilitare le dinamiche partecipative.
Non diventichiamo che è solo nella fatica e nella bellezza delle relazioni che troveremo l’entusiasmo necessario a ritrovarci lunedì. E’ mela fatica dello studio che emergeranno non slogan ma programmi compiuti in grado di avvicinare le persone in carne ed ossa, coinvolgendole in un progetto che estingua, finalmente, il mito dell’ineluttabilità.
Abbandoniamo dunque liturgie incomprensibili, ambiti vuoti, ma gelosamente custoditi.
Cambiamo passo, al riparo da sigle elettorali e scambi tra vecchio e nuovo ceto politico. Irrompiamo nel futuro del paese con la forza della ragione ed il coraggio della possibilità.
La Sinistra, Politica Interna,
di: Luigi Nappi,